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Rassegna stampa di Silvana Mangano

Silvana Mangano è un'attrice italiana, è nata il 21 aprile 1930 a Roma (Italia) ed è morta il 16 dicembre 1989 all'età di 59 anni a Madrid (Spagna).

IDA BIONDI
MYmovies.it

Dopo avere partecipato a concorsi di bellezza e avere lavorato come indossatrice, fece il suo ingresso nel mondo del cinema, interpretando una piccola parte ne L'elisir d'amore (1947, Mario Costa). Tuttavia, il vero successo, di portata internazionale, fu da lei conquistato con la sua apparizione in Riso amaro (1949, regia di Giuseppe De Santis), in cui interpretava il personaggio di una mondariso. La vicenda, girata in un drammatico bianco e nero sul desolato sfondo delle risaie piemontesi, narrava la durissima vita delle mondine, sfruttate brutalmente dai loro datori di lavoro, ma anche aperte a prendere coscienza di sé e della loro dignità, in un ambiente in cui cominciavano già a farsi sentire i primi fermenti della lotta di classe. Il film presentava numerose scene degne di nota; in particolare, quella del ballo della Mangano con il "cattivo" di turno, impersonato da Vittorio Gassman, conferì il dovuto risalto all'aggressiva bellezza dell'attrice, che si impose immediatamente all'attenzione di un pubblico mondiale. In seguito, la Mangano ricalcò parzialmente questo ruolo sostenuto con tanto successo, in altri due film, Il lupo della Sila, 1949, Duilio Coletti) e Il brigante Musolino (1950, Mario Camerini), che avrebbero forse meritato un maggiore approfondimento del suo personaggio. Tale maturazione, accompagnata da una più complessa strutturazione drammatica, apparve invece, in un contesto narrativo di tipo molto diverso, in Anna (1951, Alberto Lattuada). Qui la Mangano, protagonista di una vicenda ispirata al fumetto e al romanzo d'appendice, che la vedeva nel duplice ruolo di amante passionale prima e di monaca spirituale dopo, rinnovò lo strepitoso successo di pubblico con cui era stato accolto Riso amaro. Intanto l'attrice, che dimostrò di preferire la qualità alla quantità, interpretando non molti film, ma sempre sotto la direzione di registi di valore o di ottimo mestiere, continuava il lavoro di affinamento delle sue doti drammatiche. Ella arricchì infatti la sua recitazione di una sottile vena satirica e umoristica, che si rivelò pienamente nella piccola parte della prostituta ne La grande guerra (1959, Mario Monicelli), in cui apparve ancora a fianco di Vittorio Gassman, e nel personaggio della donna misteriosa e sofisticata in Crimen (1960, Mario Camerini), raggiungendo poi il massimo risalto nelle multiformi caratterizzazioni femminili de La mia signora, 1964, autori vari) e de Le streghe (1967, autori vari). Tuttavia, la forte personalità della Mangano, sensibile e disponibile a ruoli di notevole impegno, era già evidente fino dal 1954, quando, in un film a episodi diretto da Vittorio De Sica, L'oro di Napoli, interpretò l'episodio in cui una giovane prostituta, ospite di una casa di piacere, si sposa con un giovane ricco che le fa credere di amarla, mentre in realtà desidera solo sciogliere un voto, per liberarsi da un rimorso. Infatti, qualche tempo prima, egli aveva spinto al suicidio una giovane e innocente fanciulla, respingendo freddamente il suo amore e accusandola di essere attratta solo dal suo denaro. Per questo motivo, aveva deciso di espiare la sua colpa, unendosi ad una prostituta in un matrimonio puramente formale, senza tenere in alcun conto né i sentimenti né la dignità della donna, ridotta a puro strumento della sua maniacale volontà di autolesionismo. Ma la giovane, una volta venuta a conoscenza della storia, profondamente ferita, lo abbandona immediatamente, preferendo tornare al suo vecchio mestiere, che le permette almeno di conservare la coscienza di sé come essere umano. Con una progressiva evoluzione, la Mangano si è rivelata attrice di valore in altri film, come La tempesta (1958, Alberto Lattuada) e Jovanka e le altre (1960, Martin Ritt); ha fornito un'ottima prova dando vita al forte personaggio di Edda Ciano ne Il Processo di Verona (1963, Carlo Lizzani), interpretato con sensibilità ed efficacia drammatica; inoltre ha dato vita e credibilità al complesso e ambiguo personaggio di Giocasta nell'Edipo re, una reinterpretazione dell'omonima tragedia di Sofocle, girata nel 1967 da Pier Paolo Pasolini, rivelando così, nonostante il numero relativamente basso di film da lei interpretati, un temperamento drammatico, poliedrico e disponibile ai ruoli più diversi. È stata sposata con il produttore Dino De Laurentiis.

LIETTA TORNABUONI
La Stampa

Attrice brava e senza voglia, gran personaggio, bellissima donna elusiva, reticente, segreta, Silvana Mangano era molto malata da mesi. L'avevano curata per un tumore ai polmoni a Los Angeles e a Parigi, poi era voluta tornare a Madrid dove stava dal 1985 perché ci abita sua figlia Francesca, sposata con il cineasta spagnolo Pepe Escrivà, madre di due bambini, e dove la sua esistenza, raccontava, era quieta: “Vivo per conto mio. Leggo, ascolto musica. Ricamo a piccolo punto: mi piace la calma, la solitudine, dei lavori d'ago, soprattutto mi piace l'esattezza, la pazienza che esigono. La mia vita è molto, molto ordinata:forse ho l'impressione che l'ordine possa salvaguardare dalla confusione del mondo. Ho casa con Mercurio e Giove, i due cani cocker che erano di Federico”. La fine tragica di quel figlio in un incidente aereo l'aveva ridotta per anni “ quasi morta”, tornava continuamente nei suoi discorsi. L'eleganza rimaneva una passione, impersonata da Giorgio Armani, dal suo stile asciutto e perfetto tanto simile all'immagine ideale della Mangano: nell'ultima primavera era andata alle sfilate milanesi di Armani, aveva posato per i fotografi di “Vogue ” italiano indossando alcuni suoi vestiti e coprendo spesso con le mani la faccia alterata dai farmaci. Stava già male, era marzo. A luglio, con la forza della speranza o dell'illusione, la produttrice Silvia d'Amico preparava per lei un nuovo film, Ti trovo un po' pallida, tratto dal racconto di Fruttero e Lucentini.
Ma era troppo tardi, cosi l'ultimo film di Silvana Mangano resta l'affascinante Oci Ciornie cechoviano di Nikita Michalkov, affrontato con quella malavoglia e resistenza di sempre che a lei non parevano nevrotiche ma razionali:

BRUNO FORNARA
Film TV

Persistenza del mito. In Isole secondo episodio del Caro diario, Nanni Moretti sbarca a Lipari, entra in un bar e viene attratto dal televisore. c’e Silvana Mangano, suora e cantante di nightclub!, in Anna di Alberto Lattuada (1952), melodramma di misticheggiante erotismo. La suora Anna balia il mambo in un provocatorio flashback, accompagnata da muscolosi ballerini con maracas, e canta «Ya viene el negro zumbon, bailando alegre el baion...». Moretti è affascinato, imita l’attrice, ne rifà le mosse. Primo piano della Mangano: «Tengo gana de bailar el nuevo compás, dicen todos cuando me ven pasar: “Chica donde vas?”, “Me voy a bailar el baión!”».

ALBERTO BEVILACQUA

Silvana Mangano. Mi è capitato sotto gli occhi un articolo in cui una giovane attrice, Luisa Ranieri, dialogava su ipotesi di immedesimazione con la grande interprete. C'era anche una foto: la Ranieri nella posa arcinota della Mangano in Riso amaro di De Santis (stesso abbigliamento, stesso tentativo di apparire altera, ma quale differenza dalla vita in giù: fianchi e gambe senza uguale potenza). Una profonda nostalgia mi ha preso. Per il ricordo di lei, di Silvana. Il titolo di questa rubrica è preso da un mio libro di anni fa dove spicca un ritratto della Mangano scritto con passione affettiva.

UGO CASIRAGHI

«Silvana Mangano sarà una delle grandi fortune del film». Questa profezia viene da lontano. La formulava su l'«Unità» del 14 luglio 1948 un giovane e già autorevole inviato, da Torino recatosi nel Vercellese, esattamente a Veneria di Lignana, sul set di un film allora in lavorazione, il cui titolo sarebbe diventato famoso come il nome della protagonista. Era il giorno dell'attentato a Togliatti, il quale poi (in un biglietto privato indirizzato ad Antonello Trombadori) avrebbe apprezzato Riso amaro assai più dei critici del quotidiano del suo partito.
«È romana, ha 18 anni, il viso e i capelli della Venere di Botticelli, ma un'espressione più fiera, dolce e fiera insieme, occhi scuri e capelli biondi, un incarnato terso e limpido, senza ombre né luci, spalle che s'aprono con una dolcezza da cammeo, un busto d'una ardua armonia di linee trionfali e aeree, la vita come uno stelo snello, e un mirabile ritmo di curve piene e d'arti longilinei...». Insomma il giovane cronista sapeva già scrivere ma era già cotto, come lo sarebbero stati i futuri spettatori. Ai quali comunque assicurava che «nessuna fotografia può bastare a darne un'idea». Quell'inviato speciale così sicuro del suo pronostico si chiamava Italo Calvino.
Quando, nel dicembre scorso, come un fulmine a ciel sereno filtrò in Italia la notizia che Silvana Mangano si trovava in coma irreversibile in una clinica di Madrid, l' «Unità» ripropose quel vecchio «pezzo» mentre altri giornali (a questo si è ridotto lo scoop?) si slanciarono a pubblicare il necrologio dell'attrice addirittura prima della sua dipartita. Di fronte a tale insensibilità morale e professionale, restava solo da sperare che il verdetto dei medici si rivelasse sbagliato e che la paziente riuscisse a sopravvivere. Così purtroppo non è stato.
Silvana Mangano divenne nel 1949, all'uscita di Riso amaro, la prima diva del neorealismo, anche se non voleva affatto esserlo. La testimonianza in proposito è di Giuseppe De Santis che la diresse e lanciò, e che proprio in questi giorni torna alla regia (auguri!) dopo un incredibile quanto vergognoso ostracismo protrattosi per decenni. Inoltre c'è il fatto che, nell'ultimo scorcio degli anni Quaranta, il neorealismo era già pericolante. Soffermiamoci rapidamente su questi due aspetti.
Nel suo fulgore fisico Silvana anticipava le «maggiorate» che in clima di restaurazione sarebbero divenute incontenibili nella loro esuberanza come nella loro piattezza artistica. «Meglio il sesso che i problemi sociali» era del resto la nuova bandiera sventolata dal cinismo politico di chi controllava allora il nostro cinema come ancor oggi controlla il nostro governo. Sebbene reduce anch'essa dai concorsi di bellezza, la fiorente ragazza aveva però per natura altra riservatezza, altra classe. Aveva fatto Riso amaro per bisogno e, nonostante il successo mondiale, non si sentiva disponibile al cinema quanto lo era invece per la famiglia. Tuttavia sposò un produttore, ed è questo il secondo aspetto della questione. Come abbiamo ripetutamente osservato in altre occasioni, il neorealismo era nato senza i produttori e sarebbe finito con i produttori. Specialmente con quelli tipo Ponti (poi marito della Loren) e De Laurentiis (che subito impalmò la Mangano, anche per farne la star della casa). Essi, al contrario, erano portati da natura allo spettacolo colossale, cosmopolita, all'americana. Silvana fu dunque la prima diva del neorealismo ma anche l'ultima. Era un'anomalia, una contraddizione in termini, difficile da digerire per tutti, e in special modo da lei.

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