Maggie Cheung (Cheung Man-yuk) è un'attrice hongkonghese, è nata il 20 settembre 1964 a Hong Kong (Hong Kong). Maggie Cheung ha oggi 60 anni ed è del segno zodiacale Vergine.
Naturalmente non c’è soltanto Maggie Cheung, vincitrice all’ultimo Festival di Cannes del premio destinato alla migliore attrice per Clean di Olivier Assayas, vincitrice di un analogo premio al Film Fest di Berlino 1992 per Center Stage di Stanley Kwan. Ci sono Gong Li, Zhang Ziyi, Carina Lau, Faye Wong, tante altre: però Maggie Cheung rappresenta meglio di ogni altra la bellezza, diversità e raffinatezza delle attrici cinesi, creature lievi, eleganti, forse non specialmente espressive ma portatrici d’un fascino, d’un incanto mai visto nelle attrici occidentali, d’una personalità interiore e misteriosa che resiste pure quando il cinema asiatico, come adesso, non è al meglio né al vertice.
Maggie Cheung ora ha quarant’anni. Sembrano ventiquattro. È nata a Hong Kong, per vicende famigliari è cresciuta in Inghilterra, ha fatto la modella, a un certo punto ha sposato il regista francese Olivier Assayas dal quale ha presto divorziato. Parla tre dialetti cinesi, inglese e francese, in italiano sa dire «Grazie mille», «Ciao» e «Non ci penso neppure». Porta abiti squisiti disegnati da William Chang. Brava nelle arti marziali, ha interpretato circa ottanta film dei registi più famosi di Hong Kong, Jackie Chan, Tsui Hark, JohnnyTo, soprattutto Wong Katwai. Era già una leggenda prima di incontrare Assayas e di interpretare per lui nel 1996, in Irma Vep, la parte di se stessa: «Maggie Cheung, star di Hong Kong, arriva a Parigi per recitare nel personaggio di Irma Vep che fu di Musidora in un rifacimento televisivo de I vampiri, film 1915 di F. Geuillade...» Ma il film che l’ha resa memorabile è In the Mood for Love di Wong Karwai, bellissima storia d’amore segreta vissuta interiormente e silenziosamente, sensuale e casta, raccontata all’insegna del ricordo, di un passato sfocato e indi-stinto: accanto a Tony Leung, l’attrice e l’essenza dell’eleganza. Negli stupendi cheongsam che indossa, nel modo di camminare e muoversi leggero e raccolto, nell’andatura ondulante, nei piccoli gesti trattenuti, nella sublime compostezza e malinconia della faccia intensa, è un’apparizione indimenticabile.
In Clean (pulito, la definizione dei tossicomani che hanno smesso di drogarsi) è invece un personaggio occidentale: la vedova d’un musicista pop morto di overdose, decisa a cambiare vita per poter riavere la custodia del figlio bambino. Ma si capisce che il premio è andato al suo mistero, al carisma e alla infinita grazia delle attrici asiatiche, inarrivabili e delicate.
Da Lo Specchio, 19 giugno 2004
FIying Snow è «una tosta». Sotto questo soprannome leggiadro, “neve che vola”, volteggia una killer che, nella Cina di duemila anni fa, è parte di una triade di killer intenzionati a uccidere il re del regno di Qin. Certo, fra un combattimento e uno scannamento, le capita spesso di piangere. Ma la colpa non è sua. Lei - dice - delle lacrime avrebbe fatto volentieri a meno, però ZhangYimou gliele ha imposte.
Flying Snow è Maggie Cheung, protagonista di Hero, diretto dal regista di Lanterne rosse e interpretato anche da Tony Leung Chiu Wai, suo partner già di In the mood for love. Maggie è l’anti Gong. L’altra faccia, dai lineamenti più spigolosi, del divismo cinese. Le due donne hanno in comune l’età (una subito prima e l’altra subito dopo i 40), un ex marito regista (non lo stesso: per Li era Zhang Yimou, per Cheung il francese Olivier Assayas) e il film Chinese Box. Nient’altro. Nemmeno la lingua. Perché Gong parla solo mandarino, mentre Maggie conversa tranquillamente in inglese o francese e, quanto a idioma naturale, si esprime in cantonese. Mentre la prima impone in Occidente il fascino dell’esotico, la seconda è occidentalizzata da sempre.
Basta lasciarla parlare: «Diverse volte ho ricominciato da capo la mia vita: sono nata a Hong Kong negli anni 60, sono stata adolescente a Londra nei 70, negli 80 sono tornata a Hong Kong per cominciare a lavorare, ma a quel punto il mondo lì era cambiato completamente; infine, alla fine dei ‘90, mi sono trasferita a Parigi, ho sposato un francese, ho bazzicato quel cinema. Oggi mi sento un mix di tutte queste cose. È curioso: ovunque sia andata, non mi hanno mai considerata di casa, mi sono sempre sentita una straniera». Con quella faccia da straniera ha combattuto spesso. Anche nel nuovo Hero: «È il mio addio ai film d’azione: dopo che su un set di Jackie Chan mi sono rotta la testa, ora ho molta più paura, non intendo rischiare la vita solo perché questo è il mio lavoro. Un tempo la tecnica era completamente diversa. Per far finta di volare dovevi farti appendere ai cavi, affrontare un grande sforzo fisico e diversi rischi. Oggi, invece, la tecnologia digitale ti permette di saltare le montagne senza muoverti, così ti puoi concentrare sulla recitazione».
È così che a Cannes quest’anno ha vinto il premio come migliore attrice per Clean, diretto dal suo ex Assayas: «Sul set mi portavo i vestiti da casa. Per la prima volta ho recitato quasi senza trucco e in jeans, come sono nella realtà: è un totale senso di libertà non doverti sottoporre a makeup e infinite trasformazioni. Pensare che In the mood for love aveva ogni giorno una preparazione interminabile. Ma io mi preferisco al naturale».
Da Vanity Fair, 14 ottobre 2004