D.W. Griffith (David Llewelyn Wark Griffith). Data di nascita 22 gennaio 1875 a LaGrange, Kentucky (USA) ed è morto il 21 luglio 1948 all'età di 73 anni a Los Angeles, California (USA).
Certamente il più leggendario, forse il più grande che il cinema degli Stati Uniti abbia mai avuto: "Un gigante del cinema. Fu non l'inventore ma, ciò che è meglio, il creatore di un linguaggio cinematografico fondato sul montaggio" (Georges Sadoul); "Il primo regista che abbia usato consapevolmente di mezzi tecnici in funzione artistica" (Francesco Pasinetti); «piace riconoscere in Griffith un maestro che ha saputo limitare la propria ambizione ad uno sforzo costante, volontario, a una tenace ricerca di creazione. Quest'artista crea. Ognuna delle sue realizzazioni, lungamente e pazientemente studiata e maturata, ci rivela qualche nobile verità" (Léon Moussinac). Figlio di un colonnello sudista rovinato dalla guerra di secessione, fece numerosi mestieri e infine quello dell'attore, specializzato in parti di carattere. Nel 1907 ebbe un contratto con la Edison, e subito dopo con la Biograph. Un anno dopo esordì come regista, narrando la storia di una bimba rapita dagli zingari: The Adventures of Doll. Nel periodo 1908-1912 realizzò quattrocento film circa, naturalmente della lunghezza assai limitata in uso all'epoca. Dal punto di vista tecnico, e creativo, egli andò organizzando, sistemando e assimilando tutti i ritrovati delle esperienze cinematografiche precedenti (primo piano, montaggio, effetti di luce ecc.). A proposito del suo film The Lonely Villa,in cui vi è un esempio di montaggio alternato (quello che diverrà poi popolare attraverso il detto "Arrivano i nostri!") gli storici sono discordi. Per taluni questo espediente narrativo è senz'altro originale e da attribuirsi a Griffith come invenzione ("Montaggio alla Griffith" si disse, infatti); ma altri (tra i quali Sadoul) fanno notare che il procedimento era già stato usato in precedenza. Un altro non indifferente merito di Griffith fu quello di divenire punto di riferimento di tutti gli attori più dotati: da Mack Scnnett a Mary Pickford, da Lionei Barrymore alle sorelle Lillian e Dorothy Gish. Con Griffith il cinema americano, prima diviso fra New York e Chicago, si assestò definitivamente sulla costa californiana. Dal punto di vista produttivo, infine, fu di grande rilievo la fondazione, avvenuta nel 1919, dalla United Artists ad opera appunto di Griffith, insieme con Mary Pickford, Charles Chaplin e Douglas Fairbanks (Griffith rimase nella società fino al 1933, anno in cui si ritirò dal cinema). Nel 1914-15 Griffith realizzò La nascita di una nazione, il film del quale ancor oggi si dice che incassò più di qualsiasi altro nella storia del cinema. Con parte delle somme ricavate il regista finanziò l'altro suo colosso, Intolerance,che fu invece, commercialmente, un insuccesso, e condizionò non poco la sua ulteriore carriera. Con Griffith il cinema diventò un'arte non solo nei senso che, tecnicamente, il linguaggio cinematografico si arricchì e si sviluppò nelle sue opere fino ad un livello di piena maturità ma, e soprattutto, nel senso che Griffith fu un autore ispirato, e si identificò completamente nel cinema come nella forma espressiva che sentì più propria e congeniale, favorito in questo dall'essere un autodidatta in una, nazione giovane, alla ricerca di un cantore epico capace di servirsi del nuovo meraviglioso mezzo espressivo. Filmografia essenziale: The Adventures of Dolly,1908 (fra circa cinquanta film); The Lonely Villa,1909 (fra circa centocinquanta film); Ramona,con Mary Pickford, 1910 (fra circa cento film); Enoch Arden,1911, da Tennyson (fra circa settanta film); Il nemico invisibile, Il massacro, La genesi dell'uomo,1912 (fra circa sessanta film); The Battle of Sexes, Judith of Bethulia,1913 (fra circa venti film); The Escape, Home Sweet Home, The Avenging Conscience,1914; The Birth of a Nation (La nascita di una nazione),1915; Intolerance,1916; Hearts of the World,1918; Broken Blossoms (Giglio infranto),1919; Way Down East (Agonia sui ghiacci),1920; Dream Street,1921;' Orphans of the Storm (Le due orfanelle),1922; The White Rose,1923; America,1924; Sally of the Sawdust,1925; That Royle Giri, Sorrows of Satan,1926; Drums of Love, The Battle of Sexes,1928; Lady of the Pavements,1929 (suo primo film sonoro); Abraham Lincoln,1930 (suo primo film parlato); The Struggle,1931.
David Llewelyn Wark Griffith è stato probabilmente il maggior regista nordamericano del periodo immediatamente precedente la guerra. Nato a La Grange in Kentucky nel 1875, figlio di un colonnello sudista rovinato dalla guerra civile, Griffith era dotato di una forte personalità (era di origini irlandesi), che con la sua tenacia portò nel 'cinema primitivo' americano unitamente a una cultura acquisita attraverso gli studi fatti alla Kentucky University.
Particolarmente interessato alla letteratura e al teatro, egli accettò per vivere anche la fatica di mestieri umili come quello di bracciante ed operaio agricolo; lavorò anche come attore in piccole parti per il teatro e poi per il cinema (sempre per ragioni economiche). In seguito passò rapidamente alla sceneggiatura, e dopo l'esordio nel 1909 con Edgar A. Poe (prodotto dalla Biograph Film Company), divenne produttore indipendente e regista di un centinaio di film. Assieme a Billy Bitzer, operatore della Biograph, per sedici anni costituì la partnership più riuscita del cinema, con i primi anni di attività fatti di sperimentazioni ma soprattutto di successi commerciali. Dopo aver lasciato la Biograph, Griffith confezionò, fra il 1913 e il 1922, i suoi film più importanti: Nascita di una nazione, Intolerance, Cuori del mondo, Giglio infranto, Agonia sui ghiacci, Le due orfanelle.
L'esperienza accumulata nel periodo in cui lavorò per la Biograph fu determinante per la creazione dei suoi capolavori. In seguito, nel 1919, Griffith fonda la United Artists con Chaplin, Pickford e Fairbanks, ma già dal 1922 inizia la sua parabola discendente, accelerata dall'avvento del sonoro. I suoi ultimi film La canzone del cuore (1929) e Il cavaliere della libertà (1930) costituirono un insuccesso finanziario, mentre The struggle (1931) non fu nemmeno messo in programmazione.
Amareggiato, il grande regista abbandonò la regia, ma non Hollywood, dove, di tanto in tanto, fu chiamato quale supervisore di alcuni kolossal della Paramount, lasciando interessanti ricordi in Quando il cinema era giovane (When movies were young, 1925).
Griffith è morto a Hollywood nel 1948.
Le curiosità su Griffith
Tra il 1908 ed il 1915 Griffith riuscì a realizzare un centinaio di film (da alcune fonti addirittura 180). Non bisogna però farsi impressionare dalla quantità: di fatto queste opere avevano semplici sceneggiature, rapide riprese, breve durata (10 minuti al massimo) e, riguardo la fase del montaggio, questa era quasi inesistente.
Griffith abbandonò la Biograph nel 1913 a causa del fatto che la casa produttrice non gli concedeva più di girare film che superassero i due rulli di pellicola.
Nel 1919 Griffith forma insieme a Chaplin. Fairbanks e Mary Pickford un gruppo di artisti produttori indipendenti, la United Artists.
In tutti i suoi film, ben 400 tra il 1908 e il 1914, introdusse novità espressive che gli valsero la fama di 'padre della settima arte'. Oltre al flash-back introdusse nel cinema l'uso del primo piano, del dettaglio, del campo lunghissimo, dei contrasti di luce e ombra. Alla pari di Ejzenstejn utilizzò il montaggio in funzione drammatica. Rinomati, tra l'altro, i suoi finali di film, anch'oggi chiamati 'alla Griffith', dove il montaggio di sequenze diverse a ritmo concitato provoca nello spettatore una forte tensione emotiva e nervosa.
Figlio di un colonnello sudista rovinato dalla guerra civile, dopo aver tentato la carriera letteraria e quella teatrale, si avvicinò al cinema come sceneggiatore, e dal 1908 passò alla regia. Già nella sua opera d'esordio The adventures of Dollie si distinse come sperimentatore applicando per la prima volta la tecnica del flash-back.Griffith ebbe subito chiara la specificità del linguaggio cinematografico e basò il suo programma sull'esigenza di dare al cinema un linguaggio diverso da quello teatrale. In tutti i suoi film, ben 400 tra il 1908 e il 1914, introdusse novità espressive che gli valsero la fama di «padre della settima arte». Oltre al flash-back introdusse nel cinema l'uso del primo piano, del dettaglio, del campo lunghissimo, dei contrasti di luce e ombra. Alla pari di Ejzenstejn utilizzò il montaggio in funzione drammatica. Rinomati, tra l'altro, i suoi finali di film, anch'oggi chiamati «alla Griffith», dove il montaggio di sequenze diverse a ritmo concitato provoca nello spettatore una forte tensione emotiva e nervosa. Griffith non è solo innovatore formale e tecnico, è anche grande narratore dotato di grandioso lirismo che si esprime in particolare ne La nascita di una nazione (1914) storia epica dell'America negli anni della guerra di secessione e in Intolerance (1916) affresco sull'intolleranza dell'uomo nella storia. Dai grandi affreschi storici e spettacolari passò a temi più intimistici basati sull'analisi dell'animo umano come Giglio infranto e Agonia sui ghiacci (entrambi del 1919). Nel 1922. con il popolarissimo, ma eccessivamente edulcorato, Le due orfanelle firmò l'ultima opera importante per la United Artists, la società di produzione che aveva fondato nel 1919 con Chaplin, Pickford e Fairbanks. Da questo momento iniziò la sua parabola discendente, accelerata dall'avvento del sonoro. I suoi ultimi film La canzone del cuore (1929), Il cavaliere della libertà (1930) costituirono un insuccesso finanziario, mentre The struggle (1931) non fu nemmeno messo in programmazione. Amareggiato, il grande regista abbandonò la regia, ma non Hollywood, dove, di tanto in tanto, fu chiamato quale supervisore di alcuni kolossal della Paramount.
Benedetti gli anniversari, in questi tempi di smemoratezza. Come il sessantesimo anniversario dalla morte di David Wark Griffith (23 luglio 1948), ricordato da un Castoro, che non si può non definire straordinario, dedicato al grandissimo e controverso autore di Nascita di una nazione (1915) e di Intolerance (1916).
I «Castori», per chi non li avesse mai incontrati, sono una nobile e antica collana di volumetti, dedicati ai grandi del cinema, inizialmente edita, dal è1974, da La nuova Italia (la prima terna di saggi era quella dedicata a Michelangelo Antonioni, Lue Godard e Federico Fellini, tanto per chiarire l'area originale del gusto di riferimento), poi, dal 1991, passata a una casa editrice indipendente sotto la direzione di Renata Gorgani. E i grandi del cinema devono essere veramente tanti se si è arrivati, con questo «Castorone» doppio a firma di Paolo Cherchi Usai, al numero 226/227.
Un «Castorone» straordinario, si diceva, non solo per la mole (560 pagine) e per il numero delle foto (trecento), ma soprattutto per il lavoro che c'è dietro. E non ci si poteva aspettare di meno da Paolo Cherchi Usai, cofondatore delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone (uno dei cinque festival italiani considerati imperdibili da Variety), per anni a capo della Selznick School of Film Preservation della George Eastman House di Rochester, a New York, ora direttore del National Film and Sound Archive of Australia, saggista, regista di Passio (2007), un film che mescola frammenti di cinema muto e grande musica. Insomma, quello che si dice un superspecialista.
E infatti Paolo Cherchi Usai profonde in questo minuzioso volume (come c'era da attendersi) tutta la sapienza del ricercatore e dell'archivista, catalogando e illustrando, accanto ai grandi film, decine e decine di titoli minori griffithiani. Ma che (in maniera meno prevedibile) ci rivela anche il lato umano del personaggio Griffith: con le sue inquietudini, la sua genialità, il rapporto con le donne, l'orgoglio offeso, il suo quasi folle senso di onnipotenza. Imperdibile, per i veri cinefili.
Da Il Venerdì di Repubblica, 30 maggio 2008
Irene Bignardi
Figura imponente, inimitabile, diede al cinema i rudimenti di un linguaggio - di origine «bassa», popolare - che ancor oggi vale. La suddivisione dello spazio in inquadrature ciascuna a suo modo espressiva (il primo piano soprattutto), il concetto e la pratica del montaggio delle inquadrature in senso narrativo, il celebre «last minute rescue» (il «salvataggio all'ultimo minuto» che consiste in un montaggio alternato dell'azione di chi è in pericolo e di quella di chi accorre), la illuminazione d'impronta grezzamente pittorica ma efficace («Rembrandt Lightning» fu pomposamente definita) sono i contributi maggiori forniti da questo autodidatta di provincia, attore di teatro e poi di cinema, scrittore poco fortunato, infine – dal 1908 - regista come tanti altri impegnati a dirigere innumerevoli storie di due o tre rulli (era la misura del tempo), presso la Biograph.
Megalomane, s'imbarca in imprese folli. La prima si chiama Nascita di una nazione (1915), storia di due famiglie amiche, divise dalla guerra civile, che costa al produttore (la Reliance-Majestic) e al distributore (la Mutual) la cifra impressionante di 110 mila dollari. È un racconto convulso, incalzante nel finale (con il «last minute rescue»), reazionario e razzista senza mezzi termini. Il successo è enorme, come enorme è la lunghezza per l'epoca (due ore e quaranta minuti), come sono enormi le reazioni negative e le censure. Con i proventi del film Griffith escogita un'impresa ancor più temeraria, Intolerance (1916), quattro storie lontanissime l'una dall'altra ma accomunate dall'esplodere della intolleranza (la caduta di Babilonia nel 538 a.C., la passione di Gesù Cristo, la notte di San Bartolomeo nel 1572 e un recente scontro tra scioperanti e polizia). Le riprese durano un anno, le costruzioni sono così colossali che resisteranno per decenni alle intemperie, il costo raggiunge i due milioni di dollari. Non può non essere un fiasco economico anche se l'intreccio delle storie (si svolgono in parallelo), la suggestione delle scene di massa, la tesa drammaticità dei contrasti e dei conflitti conferiscono a Intolerance un fascino straordinario.
Con altri tre film variamente interessanti, di stile melodrammatico - Giglio infranto (1919), Agonia sui ghiacci (1920), Le due orfanelle (1921) - Griffith conclude il suo periodo creativo e sopravvive, di insuccesso in insuccesso, sino al 1931, quando si arrende dinanzi al sonoro. Gli restano molti anni di silenzio e di oblio. Dice Ejzenštejn, che da lui parecchio ha tratto, come tutto il cinema degli anni '20: «È Dio padre. Ha tutto creato, tutto inventato». La sua figura è stata rievocata da Paolo e Vittorio Taviani in Good Morning Babilonia (1987).
Fernaldo di Giammatteo, Dizionario del cinema. Cento grandi registi,
Roma, Newton Compton, 1995
A rivedere La nascita di una nazione (1915), a rivedere Intolerance (1916), si ripropone la fisionomia di David Wark Griffith, che in America è addirittura detto «padre del cinema». Sono definizioni a piedistallo, sempre pericolose nei loro entusiasmi; per restare in quell'atmosfera celebrativa, e rendendola un po' familiare, si potrebbe più facilmente ammettere che una paternità Griffith la ebbe, ma nei confronti del mondo cinematografico americano. Nel suo nome infatti convergono e in parte si fondono i molteplici tentativi dei primi pionieri cinematografici di oltre Atlantico. Più che un artista Griffith fu un chiarificatore e un organizzatore: di nozioni, di mezzi, di tentativi, di sporadiche scoperte, di tendenze, di non-dispersioni. Una mente di un raro, tenace equilibrio, senz'altro paragonabile a quella del nostro Pastrone, che aveva però il non piccolo vantaggio di essere un latino. La scoperta del «carrello», da troppi attribuita a Griffith, fu invece del Pastrone, basta rivederne Cabiria.
Quasi con caparbia Griffith si pose e si impose quello che doveva sempre più essere il problema di qualsiasi uomo di cinema: come riuscire a raccontare una vicenda su di uno schermo, come avvincerne gli spettatori. Di qui la sua formula fin troppo nota, che dette valore di postulato e di definizione al «montaggio alla Griffith», al «finale alla Griffith», ovvero una tensione in crescendo. Derivava da un calcolo fin troppo semplice. Man mano che un film dipana i suoi metri l'attenzione dello spettatore ne ha come un'usura, bisogna quindi man mano ridestarla e ravvivarla, con iniezioni o eccitazioni, inavvertite e successive; il limite estremo della tensione deve quindi coincidere con la fine del film.
Una norma che poteva diventare, come divenne, fin troppo meccanica. Era sopratutto una ricetta; e ignorava, o addirittura disprezzava, sfumature e indugi, diminuendo e sordine. Ma se la «paternità» e le «scoperte» di Griffith si fossero limitate a quella sua norma, forse oggi si ricorderebbe appena il suo nome. Il regista ebbe invece una sua importanza, e gli è dovuto un posto nella storia del cinema, per il suo quotidiano lavoro dietro il treppiede di un apparecchio di ripresa o a una tavola di montaggio; per quel suo instancabile costringersi a definire mezzi espressivi ancora incerti, per quella sua incontentabile ricerca di un linguaggio. Stacchi e incastri, ritmi alterni e paralleli, illuminazioni sempre più calzanti, e sopratutto la sagace intuizione di questo o quel particolare, suggerito e imposto allo spettatore come elemento riassuntivo e risolutivo, in codesta ricerca il pioniere fu quasi un maestro; e tale sua ricerca doveva portarlo dalle grandi spatolate della Nascita di una Nazione (che, da due novelle di Thomas Dixon, parecchio procede per asterischi e sommari) e dal fastoso, barocco geometrismo di Intolerance (che troppo procede per contrapposizioni) all'umanità di Giglio infranto (1919). Poi, con il film sonoro, Griffith tacque. Gli parve forse di avere esaurita quella che altri doveva poi definire la sua «missione», l'aver collaborato a chiarire e concretare un linguaggio, coordinando e superando i primi mezzi tecnici dei pionieri. Più che un artista fu un artigiano; ma un grande artigiano, al quale il cinema deve, tra l'altro, una collocazione sintattica del primissimo piano, la dissolvenza in apertura e in chiusura, lo sviluppo funzionale dell'uso del carrello, una ferma spregiudicatezza del montaggio (di dove partiranno i migliori dei registi russi per giungere a ben altra potenza, a ben altro rigore). Quelle sue ricerche miravano a uno stile che, ancora equidistante dalla tecnica e dall'arte, fu in realtà una sagace, meditata maniera; ma feconda, in quegli anni, di conquiste e d'insegnamenti.
(1941)
Da Film visti. Dai Lumière al Cinerama, Edizioni di Bianco e Nero, Roma, 1957