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Rassegna stampa di Clara Calamai

Clara Calamai (Clara Calama) è un'attrice italiana, è nata il 7 settembre 1909 a Prato (Italia) ed è morta il 21 settembre 1998 all'età di 89 anni a Rimini (Italia).

LIETTA TORNABUONI
La Stampa

È l'attrice che resta con Anna Magnani l'immagine esemplare del neorealismo italiano. Sui casi che la portarono a essere nel 1943 protagonista di Ossessione di Luchino Visconti l'aneddottica è vasta e nota, la leggenda del cinema e la diva stessa hanno rievocato tutto. Come per il film fosse stata scelta la Magnani, che era incinta. Come i ritardi della lavorazione resero la gravidanza della Magnani troppo avanzata ed evidente per poter essere occultata. Quanto Maria Denis, amica di Visconti, desiderasse la parte e come il suo desiderio venisse frustrato. Come Visconti avesse visto una fotografia di Clara Calamai "casualmente "realistica", spettinata, dimessa", e in quell'immagine avesse intuito le sue possibilità d'interpretare il personaggio. Come nell'albergo di Ferrara dove regista e diva s'incontrarono lui continuasse per un intero pomeriggio fino a sera a spettinarla e ripettinarla con l'aiuto del truccatore Alberto De Rossi. Come l'attrice, la prima volta che si vide in proiezione, scoppiò a piangere, gridando d'esser stata rovinata, di non voler più andare avanti. Come la Calamai, non diversamente da tutte e da tutti, subì "quell'influenza, quel dominio che Luchino aveva sui suoi attori... completamente affascinata, mi misi interamente nelle sue mani". Il risultato fu un'interpretazione tanto perfetta e memorabile da bastare a un'intera vita d'attrice, da rimanere esemplare, proverbiale. Magnifica. Soprattutto attraverso di lei affiorava finalmente un'Italia diversa da quella immaginata e propagandata dal fascismo, ma differente anche da ogni schema e luogo comune: popolare e ambigua, doppia e passionale, portata all'estremo dal desiderio. Oltre cinquant'anni dopo, sino a ieri, capitava d'incontrare Clara Calamai in uno dei quartieri più solidamente borghesi e meno belli di Roma, in quelle strade dai nomi eloquenti (via Quintino Sella, via Antonio Salandra) e dagli edifici color ocra senza bellezza nei quali i piemontesi alla fine dell'Ottocento esprimevano la loro idea d'una capitale. Clara Calamai abitava nei dintorni. Era sempre impeccabilmente ben vestita, anche la mattina presto, anche durante le attese nella sala d'aspetto del medico della Usl, anche girando per compere: senza ostentazione né stravaganza, con un'eleganza funzionale e ricca da milanese. Non aveva fretta e neppure indugiava; non si guardava intorno, lo sguardo era come ripiegato su di sé; la faccia toccata dal tempo eppure assolutamente riconoscibile aveva sempre qualcosa di chiuso, difensivo, scontento, remoto. Non era mai stata una natura lieta, racconta chi la conosceva bene: anche se non doveva essere poi stato male, il tempo della sua celebrità. Il debutto all'inizio del 1938 e trentaquattro film in pochi anni, sino al 1943. I madrigali di Diego Calcagno per la Mostra di Venezia 1939: "Festival. Sopra il Lido/son giunti, dai più lontani/ approdi, tutti... E tutti i calamaretti/vengono a galla, vischiosi e gai,/per vedere i fianchi perfetti/di Clara Calamai...". Le risposte vaghe e devianti a domande giornalistiche innocue e rispettose nello stile dell'epoca: "È stato il caso a portarmi per mano nei labirinti di Cinelandia: un giorno andavo per una strada qualunque, senza scopo, senza meta, disperatissima... Mi si è avvicinato un tale... mi parlò di cinematografo, mi fece una proposta di lavoro... Ecco tutto". Le lettere di Natale inviate nel 1942, come altre dive del momento, ai soldati tedeschi della seconda guerra mondiale: "Voi combattenti germanici che, insieme ai camerati italiani e agli alleati, difendete la civiltà europea, siete tra i miei amici più cari, ai quali si rivolge ogni mio riconoscente pensiero". L'unicità di una diva dal segno singolare: non un'ingenua come Maria Denis o Irasema Dilian, non una brillante come Alida Valli o Assia Noris, non una vamp mediterranea come Luisa Ferida o Elli Parvo, invece un'attrice bruna sottile e bella alla francese (un poco somigliante, infatti, ad Arletty), una donna senza vezzi puerili né enfasi melodrammatiche, moderna eppure bravissima a muoversi nelle vesti impegnative e ridondanti dei film in costume che erano una specialità sua e del tempo. Il fornaretto di Venezia, Ettore Fieramosca, Regina di Navarra, Caravaggio e naturalmente La cena delle beffe di Alessandro Blasetti, 1941, tratto dal testo teatrale di Sem Benelli. Giuseppe De Santis, allora critico cinematografico di "Cinema", la rivista di Vittorio Mussolini, liquidava bruscamente ("Clara Calamai soggiace al pornografico senza alcun intento artistico") un fatto rimasto famoso nel provincialismo italiano d'epoca: il regista che impone alla diva, in parrucca bionda e pagata per la parte cinquantamila lire, di lasciarsi strappare la camicia mostrando il petto nudo; quel petto piccolo e ben fatto che subito diventa leggendario; la rivalità divistica che induce Doris Duranti a ostentare pure lei il petto nudo in Carmela di Flavio Calzavara, 1942, tratto da un racconto di Edmondo De Amicis, con la differenza, precisa la Duranti, che "il mio fu il primo seno nudo ripreso all'impiedi... apparve eretto com'era di natura, orgoglioso, senza trucchi... invece la Calamai si fece riprendere sdraiata, che non è una differenza da poco"; l'esasperazione di Clara Calamai per l'episodio che le pareva irrilevante, e che per tutta la vita le è stato riproposto dalla banalità giornalistica come importante, quasi sensazionale. La diva seducente diventò un'attrice grande in Ossessione: e il legame con Visconti non finì. Dopo la seconda guerra mondiale la Calamai, sostiene Carlo Lizzani, "dal punto di vista della carriera sbagliò un pò tutto". Rifiutò d'interpretare Roma città aperta, raccontava: "Rossellini m'avrebbe voluta senonché io ero impegnata in Due lettere anonime di Camerini e quindi non mi fu possibile accettare" (ma pure Assia Noris e Isa Miranda raccontavano analoghi rifiuti, per colpa della mamma o d'altri film). Rifiutò d'interpretare Il sole sorge ancora di Aldo Vergano, il regista del suo debutto in Pietro Micca, e venne sostituita da Elli Parvo in quella storia partigiana che nel 1946 aveva una sua rilevanza. Rifiuti magari casuali, ma Clara Calamai, moglie del conte Leonardo Bonzi, neppure allora era certo un'attrice impegnata né intellettuale né di sinistra, come può testimoniare chi l'abbia vista a Milano nel 1948 protestare sdegnata insieme con il marito alla prima di Anni difficili di Luigi Zampa, tratto dal libro di Vitaliano Brancati Il vecchio con gli stivali, considerato dagli oppositori un film antipatriottico, rosso. Per qualche anno, dopo la seconda guerra mondiale, Clara Calamai seguitò a sbagliare, a interpretare film senza storia: ma per L'adultera di Duilio Coletti vinse il Nastro d'argento 1945-46 come migliore attrice protagonista (nella stessa occasione, Anna Magnani vinse per Roma città aperta soltanto il premio secondario per la "migliore interpretazione femminile di carattere"). Seguì il percorso di molti divi del cinema fascista, utilizzati con assoluta continuità dal cinema post-fascista nei suoi primi anni, poi via via sostituiti da nuove generazioni di star. Ma riapparve nel 1957 in un film di Luchino Visconti, Le notti bianche, e poi dieci anni dopo ne La strega bruciata viva, ancora di Visconti, sketch del film a episodi Le streghe. Erano piccole parti, una prostituta, una ex attrice con un caschetto di capelli neri, ma testimoniavano un intreccio incancellabile di gratitudini e ricatti. E l'ultima apparizione, l'anziana attrice assassina vestita di nero lucente in Profondo rosso di Dario Argento, 1975, è ancora l'omaggio a una ossessione, a una signora dei nervi, a un'attrice dal destino unico e strano.

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Nel film di Luchino Visconti c'è realismo, dramma, letteratura e persino un melò nobile.
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