Charlotte Rampling è un'attrice inglese, è nata il 5 febbraio 1946 a Sturmer (Gran Bretagna). Al cinema il 3 ottobre 2024 con il film Juniper - Un bicchiere di gin. Charlotte Rampling ha oggi 78 anni ed è del segno zodiacale Acquario.
Metti una sera a cena a Venezia, molti anni fa: d’improvviso, elegantemente, dolcemente, Charlotte Rampling scivola sotto il tavolo, folgorata da un sonno repentino da alcol o da fatica Adesso non potrebbe succedere: a quasi sessant’anni s’è fatta più controllata e regolare la vita della brava interprete de Le chiavi di casa di Gianni Amelio, alla quale sono affidate le battute più difficili del bellissimo film.
Recitando il personaggio d’una madre che ha interamente dedicato la propria vita alla figlia malata, incontrando il protagonista Kim Rossi Stuart che accompagna il figlio disabile, dice: «Strano, vedere un uomo. Questo è il lavoro sporco riservato alle madri. I padri non ce la fanno». E più tardi confida: «A volte mi chiedo: ma perché non muore?».
La grande bellezza di Charlotte Rampling se n’è andata, come si poteva vedere in Swimming Pool di François Ozon, dove la sua scrittrice di romanzi polizieschi si mostrava sul letto supina completamente nuda: con sfida coraggiosa, più che con esibizionismo.
Restano il fascino, l’inarrivabile eleganza, l’intensità che hanno resa famosa l’attrice più europea.
È nata in Inghilterra, a Sturmer. Ha studiato in collegi inglesi e francesi. Ha cominciato a lavorare in Francia come fotomodella, ha debuttato nel cinema in Inghilterra nel 1965 in Non tutti ce l’hanno di Richard Lester. In quasi quarant’anni ha interpretato ventitré film: molti in Italia (La caduta degli dei di Luchino Visconti, Sequestro dì persona di Gianfranco Mingozzi, anche Yuppi Du di Celentano), in Stardust Memories di Woody Allen ha recitato la tormentata compagna del regista in crisi, in Max, mon amour del grande Nagisa Oshima la moglie di un diplomatico inglese a Parigi innamorata di uno scimpanzé.
Il suo personaggio assolutamente memorabile è quello in Portiere di notte di Liliana Cavani (1974), la giovanissima prigioniera di un campo di concentramento nazista che seduce uno dei suoi carcerieri, un ufficiale delle SS legato a lei da un rapporto sadomasochista profondo: l’immagine dell’attrice con indosso panni militari, con le bretelle della divisa sul torace scarno e nudo, rimane indimenticata, un grande simbolo.
Dopo un brutto periodo di vita personale, il regista francese François Ozon le consente nel 2001 di tornare bene al lavoro in Sotto la sabbia, dove è una moglie che non accetta la scomparsa del marito, continuando a comportarsi come se fosse sempre accanto a lei: un personaggio in qualche modo autobiografico, recitato con molta bravura.
Da Lo Specchio, 1 ottobre 2004
La lezione di Visconti. Il lavoro con Ozon. Ma anche la depressione. E l'amore per il cinema. La grande attrice racconta se stessa alla vigila recita evento al Maggio Fiorentino.
Sulle prime la Lady ci aveva dato appuntamento a casa sua, ai limiti del XVI arrondissement di Parigi, quartiere di viali albera6 che appaga almeno in parte il desiderio nostalgico di questa esule della campagna inglese, quartiere ricco ma discreto, come le strade di Chelsea dove risiede ogniqualvolta cede all'ardente desiderio di tornare "a casa". In seguito, però, la Lady ha cambiato idea. L'incontro con "L'espresso" si sarebbe tenuto nei saloni, anch'essi discreti e lussuosi, dell'Hotel Lutetia. Lutetia, albergo elegante, requisito dai tedeschi nel 1940, durante l'occupazione divenne sede dei comando centrale della Gestapo e in seguito, alla Liberazione, si trasformò incentro di accoglienza dei sopravvissuti dei campi di concentramento. Parabole della storia. Se si pensa poi che questo gioiello dell'art déco ha ospitato il generale De Gaulle Per la sua luna di miele, la grande viaggiatrice ed esploratrice Alexandra David-Néel di ritorno dall'Estremo Oriente e che Albert Cohen vi scrisse il celebre romanzo "Bella del Signore" (in Italia Bur), passionale e tragica storia ambientata in una Parigi dell'alta società degli anni Trenta,- è evidente che non avremmo potuto incontrarla che qui, e da nessuna altra parte. Perché la Lady in questione è Charlotte Rampling.
Invece la Rampling è trattenuta dalle prove con il suo maestro di pianoforte a un altro indirizzo mitico, Piace Dauphine, capolavoro dell'architettura del XVIII secolo, piccolo triangolo di serenità, di verde, di lusso, dove abitavano Yves Montand e Simone Signoret. Dal Lutétia a Place Dauphine i viali sono bloccati dalla polizia, dopo che una manifestazione di liceali ha preso d'assalto i boulevard. I giovani reclamano più soldi per i loro professori. Lontano dall'agitazione e dalla politica, Place Dauphine spalanca invece le braccia agli innamorati e ai melomani. Davanti alla sala prove che affaccia sull'ingresso della piazza, da una tenda filtra una melodia dolce e compassata. Sarà un'aria di Schönberg, forse? Occorre aspettare che la Lady finisca e arrivi al Bar du Caveau.
Eccola. È vestita completamente di nero, porta un paio di occhiali fumé che lasciano trapelare uno sguardo di giada. Al collo indossa un foulard di seta bianca e nera annodato alla perfezione. Eleganza parigina, come non si vede più in giro. Eppure, Charlotte Rampling è inglese, una vera inglese. Trasferitasi in Francia dopo il suo primo matrimonio con Jean-Michel Jarre alla metà degli anni Settanta, non ha mai «ambito a prendere la nazionalità francese», dice. «No, sono inglese e tanto basta », esclama, scoppiando poi in una risata. Charlotte Rampling sa chi è e da dove viene. Nondimeno, i francesi la considerano una di loro. «Sì, ed è molto gradevole, mi piace questa affinità». La cordialità, invece, non è il suo forte: «Dicono che io sia fredda, ma non è affatto così. Sono riservata, è diverso».
La Lady esce dunque dalla lezione di pianoforte, presso il suo maestro: in questo periodo sta esercitandosi per la composizione di Arnold Schönberg "Un sopravvissuto di Varsavia", che sarà diretta a Firenze da Zubin Mehta con la direzione artistica di Peter Greenaway e che inaugurerà il Maggio Musicale Fiorentino. Charlotte Rampling reciterà. La sfida (è un'opera basata sulla testimonianza di un sopravvissuto al ghetto) la intimorisce e la entusiasma allo stesso tempo. «All'inizio pensavo che si trattasse di leggere un testo con un sottofondo musicale. Poi ho scoperto che non era affatto così. Schönberg si serve dell'attore come di uno strumento: deve parla re al momento giusto, non si può farlo con nemmeno mezza nota di ritardo. Per fortuna, so leggere la musica e ho subito chiamato il mio maestro di pianoforte per esercitarmi con lui». L la prima volta che si cimenta in qualcosa di così difficile, confessa: «Anche se amo le novità. Non riesco però a capire perché abbiano pensato a me per questo ruolo, ma era da tempo che meditavo di salire su un palcoscenico e di leggere brani letterari, poesie o lettere di grandi scrittori ». Questo tipo di performance è diventato popolare in Francia e attori del calibro di Jean-Louis Trintignant e Fabrice Lucchini hanno riscosso un grande successo. «Amo le sfide, le esperienze nuove».
Difficile nutrire dubbi in proposito: questa inglese, figlia di un colonnello dell'esercito britannico, diventata l'archetipo della londinese bella e spregiudicata e la musa degli anni Sessanta, in particolare dopo il successo di "Non tutti ce l'hanno" (1965) e "Georgy svegliati" (1966), all'improvviso da giovane decise di rivelare una personalità molto più complessa di quanto le minigonne dell'epoca da lei indossate non facessero supporre. «Ricordo bene quando Visconti mi propose una parte ne "La caduta degli dei". Avevo 23 anni. Non sapevo nemmeno chi fosse. La sceneggiatura era impegnativa e non capivo proprio perché avesse scelto me. Arrivata a Roma per l'audizione, con i capelli cotonati, in minigonna, gli dissi che in realtà non mi vedevo affatto in quella parte. Lui mi rispose: "Io posso insegnarle due o tre cosette che potranno tornarle utili per il suo mestiere di attrice. Sarà anche la più bella di Cinecittà: avrà i vestiti più belli, il trucco più bello, i gioielli più belli. Dai suoi occhi, dal suo sguardo, io so che lei può interpretare il ruolo di Elizabeth. Abbia fiducia in me"». E quali sono le due o tre cose che Visconti le ha insegnato? «C'era una scena molto difficile, quella nella quale dovevo supplicare la glaciale Ingrid Thullin. Non ero affatto sicura di esserne capace. Prima di girare la scena, Visconti mi sussurrò all'orecchio: "Io sarò dietro la cinepresa. In ogni istante sappi che qualsiasi cosa starai per fare, tu farai esattamente ciò che io desidero da te". Il rapporto che si instaura tra regista e attore è un rapporto di fiducia assoluta. Visconti mi diede proprio sicurezza in me stessa, una sicurezza che in seguito non mi ha mai abbandonato. Senza questa fiducia non si può fare nulla, non ci si può donare fino infondo». Visconti, dunque, ha aiutato Charlotte Rampling a dare, cinque anni dopo, tutto ciò che aveva da dare in un film che desta ancora oggi profondo turbamento, "Il portiere di notte" (1974) di Liliana Cavani. «Quel filtra, nel quale il mio amico Dick Bogarde mi ha voluto al suo fianco, ha significato per me accostarmi alle realtà della Seconda guerra mondiale e alle sue atrocità. La mia generazione, nata alla Liberazione, conosceva poco quella parte di storia, troppo recente. I nostri genitori, mio padre colonnello, per esempio, ci avevano risparmiato i loro ricordi, per pudore o forse per vergogna, a seconda del loro vissuto personale».
Dopo quel ruolo sconvolgente, da vittima eroina (lei prigioniera di un lager sopravvive perché intreccia una perversa relazione con una Ss), Charlotte Rampling ne ha interpretato un altro, nella vita vera, quello della madre e sposa appagata. Ha vissuto da qualche parte fuori Parigi, in campagna, «tra i cani, i gatti e i bambini in braccio». Anchein quella parte ha dato tutto ciò di cui era capace, ma alla fine le apparenze hanno finito col riempirsi di crepe. Una lunga depressione e il ricordo doloroso e ossessivo di una sorella morta suicida all'inizio degli anni Sessanta l'hanno condotta sull'orlo del baratro. Ha meditato di ritirarsi definitivamente dalle scene, finché un giovane di trent'anni non le ha proposto un ruolo fatto su misura per lei. Era "Sotto la sabbia" (2000) di François Ozon, storia di un dolore insormontabile, che l'ha lanciata nuovamente sotto i riflettori, in prima linea nel Pantheon dei cinema. L'hanno rassicurata, non l'avevano dimenticata. Era impossibile. Tuttavia, è stato così piacevole ritrovarla: eccola tornare sul grande schermo, infatti, più bella che mai a 50 anni e passa, con una bellezza naturale che le avversità della vita avevano soltanto esaltato. Certo, la psicoanalisi è un prodotto di bellezza molto più efficace di qualsiasi tipo di intervento estetico e delle iniezioni di botox. Oggi le sue palpebre un po' più pesanti conferiscono ancora più importanza al suo sguardo trasparente e penetrante.
Charlotte Rampling è una superstite. Dell'amore, della fama, di una storia familiare particolare. Le chiediamo se suo padre, ex militare (e pittore) distaccato alla Nato negli anni Cinquanta, ha un'opinione, sulla situazione in Afghanistan o in Iraq. «Mio padre - poveruomo! - non sa neppure chi è lui e chi sono io. Tuttavia gode di ottima salute. È assurdo, no?».
Da oltre 15 anni ormai la Rampling gira un film dietro l'altro, quasi voracemente. Il cambio della guardia dei cinema francese - François Ozon, ma anche Laurent Canter e Dominik Mol - ne ha fatto il proprio feticcio, il proprio portafortuna. Charlotte Rampling ha una presenza scenica che turba, una bellezza - a 62 anni - che eccita, una profondità che attrae. Da poco ha terminato le riprese di "The Duchesse", un film nel quale interpreta la parte della madre di Kiera Knightley e della suocera di Ralph Fiennes, il ruolo di un'aristocratica inglese dalle convinzioni ben definite. «); stata una bella parte. Non vedo l'ora di vedere il risultato».
II Bar du Caveau si svuota, Charlotte Rampling finisce di inzuppare pezzetti di torta bretone nel cappuccino. Un refolo di aria fredda riempie il locale mentre la proprietaria si mette a spazzare rumorosamente dietro il bancone. Continuiamo a conversare mentre percorriamo a piedi la strada dal Pont Neuf al Jardin du Luxembourg. Parla dei suoi viaggi. «Soltanto per lavoro, ma talvolta accetto una parte o una trasferta in funzione del luogo delle riprese. In un certo periodo della mia vita credo di aver accettato di recitare in film italiani per avere l'occasione di vivere in Italia. Per me è un Paese di una bellezza assoluta, quasi spudorata. Di recente, invece, c'è mancato poco che andassi al Festival di Istanbul. Sento dire da tutti che è una città seducente. Fare cinema significa viaggiare, ed è questo a piacermi». Affiora così anche questo suo aspetto inglese, pionieristico, di cittadina di un Paese di viaggiatori sempre felici di posticipare il più a lungo possibile il ritorno in Inghilterra, terra che i suoi abitanti adorano detestare. Con un piede qui e l'altro altrove: così appare Charlotte Rampling, personaggio che attrae e al contempo sa mantenere le distanze, la vera ricetta dei mistero.
Da L’Espresso, 24 aprile 2008
Elegante, nobilmente atteggiata, attraente perché enigmatica, seducente eppure lontana, pudicamente impudica. Charming e ravissante, per stare alle sue lingue madri, lei, figlia di un colonnello inglese diventato comandante della Nato, regalmente educata alla “Jeanne d’Arc Académie pour Jeunes Files” di Versailles e all’esclusiva e molto british St. Hilda’s School di Bushley.
Charlotte Rampling comincia come modella, poi esordisce al cinema in una piccola parte come sciatrice d’acqua in The Knack... and How to Get lt di Richard Lester, nella swinging London del 1965. Il titolo originale del film e il titolo italiano, Non tutti ce l’hanno, le portano fortuna: sono pochi quelli che possiedono per natura quel-qualcosa-in-più che ti fa notare da un regista. Lei ce l’ha: e se ne accorge Luchino Visconti che nella Caduta degli dei, fosco e incestuoso melodramma apocalittico, le affida la parte di Elisabeth, destinata a morire nel campo di Dachau. La Rampling resta in Italia e resta legata al buio della storia e al nazismo per il film che la fa diventare, come si dice adesso, una icona Berretto militare con aquila e teschio, seno scoperto, bretelle, pantaloni neri a righine, guanti neri fin sopra il gomito, nel Portiere di notte di Liliana Cavani (1974). Lucia, ebrea riemersa dalle tenebre per ripiombarvi quando ritrova l’ufficiale nazista (Dirk Bogarde) che nel lager l’ha torturata e asservita ai suoi piaceri: e con quell’uomo, lei rivive (rivive?) una relazione di amore e odio, feticismo e masochismo, attrazione e repulsione.
Prima del Portiere ha già recitato nel fantastico Zardoz di John Boorman. Poi, è al fianco di Robert Mitchum nel disincantato Marlowe, il poliziotto privato di Dick Richards (e anche al fianco di Celentano in Yuppi du). È l’amante, ricoverata in clinica, del regista in crisi Woody Allen in Stardust Memories. Nel Verdetto di Sidney Lumet, si converte a Paul Newman, avvocato alcolizzato e per una volta vincente. Diventa ereditiera vendicatrice in Un’orchidea rosso sangue di Patrice Chéreau, attorniata da tante grandi attrici d’un tempo, Alida Valli, Edwige Feujllière, Simone Signoret, Valentina Cortese. È un’avvenente irlandese in Un taxi color malva di Yves Boisset e una divoratrice di uomini in Shocking Love di Jacques Deray. Ritorna a una figura che le si confà appieno, vista la sua propensione per l’eccentricità, l’amoralità e l’anticonformismo sessuale (sarebbe stata un’interprete perfetta per Bunuel!), in Max amore mio di Nagisha Oshima, dove è la moglie di un marito piuttosto ordinario (fin qui niente di speciale) e l’amante di uno scimpanzè (però...).
Passa un lungo periodo di silenzio, quasi scompare dagli schermi, ritorna nel 2000 in Sotto la sabbia di François Ozon. Ed è un’altra. La Charlotte Rampling prima maniera aveva detto in un’intervista: «Il mio punto di partenza è il pudore. Poi, quando ho accettato un film, è come una relazione amorosa e del pudore me ne frego». La nuova Rampling, riservata e consapevole, è invece al pudore che si ferma. Si fa donna segreta e malinconica. Nel film di Ozon resta vedova all’improvviso quando il marito scompare su una spiaggia, forse annegato, forse suicida, forse fuggito. E lei nega la realtà, lo vede ancora accanto a sé, vive di allucinazioni e di dolore. Così, la chiama Gianni Amelio per Le chiavi di casa, un film dove la consapevolezza del dolore è la chiave forse non per entrare ma almeno per affacciarsi, pudicamente, alla porta della casa di un altro che ci vive accanto e che è tanto lontano da noi.
Da Film Tv, n. 5, 2005
Dopo aver iniziato la sua carriera di attrice a 17 anni interpretando uno spot pubblicitario, e aver lavorato per un po’ come modella, la Rampling ha fatto la sua prima, brevissima apparizione cinematografica nel film di Richard Lester Non tutti ce l’hanno…, nel 1965. Un anno dopo ha interpretato il ruolo di Meredith nel film Georgy svegliati! Da quel momento, la sua carriera ha avuto una svolta sia in Francia che in Inghilterra.
Charlotte Rampling ha spesso interpretato ruoli controversi. Nel 1969, nel film di Luchino Visconti La caduta degli dei interpretava una giovane moglie spedita in campo di concentramento. Nel film del 1974 Portiere di notte, di Liliana Cavani, interpretava una ex-internata in un lager coinvolta in un rapporto sado-masochista con il suo ex-aguzzino, interpretato da Dirk Bogarde. Nel 2005 è stata la protagonista del film di Laurent Cantet Verso il sud, un film sul turismo sessuale femminile.
Si è imposta all’attenzione del pubblico americano prima con il film Marlowe, il poliziotto privato (1975), e poi con Stardust Memories (1980) di Woody Allen, e soprattutto Il verdetto, un apprezzato film drammatico diretto da Sidney Lumet e interpretato da Paul Newman. Ha lavorato col regista François Ozon in diversi film, come Sotto la sabbia, Swimming Pool e Angel - la vita, il romanzo. Tra i suoi altri titoli ricordiamo anche I’ll Sleep when I’m Dead, diretto da Mike Hodges, Lemming, diretto da Dominik Moll, Basic Instinct 2, diretto da Michael Caton-Jones, e il film di prossima uscita Babylon A.D, diretto da Matthieu Kassovitz.