Carlo Vanzina è un attore italiano, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, assistente alla regia, è nato il 13 marzo 1951 a Roma (Italia) ed è morto il 8 luglio 2018 all'età di 67 anni a Roma (Italia).
«Ho votato per Silvio Berlusconi, per Forza Italia, nel 1994. Ho votato proprio per lui, non per la sua coalizione: ho dato un voto al produttore cinematografico e televisivo più libero che abbia mai conosciuto. Era sceso in campo per salvare le sue aziende: imprese che sono un patrimonio per l'Italia. Oggi, no, non lo voterei più. Il primo a essere sfiduciato mi sembra proprio lui. Come imprenditore e come uomo lo ammiro, è geniale, è un incantatore. Ha tutti i difetti e tutte le virtù dell'italiano medio: si adatta, è elastico, vuole bene agli altri ma pensa soprattutto a se stesso. Ama le donne, il calcio – visto come soffriva a Istanbul, alla finale fra Milan e Liverpool? – è davvero un eroe della commedia all'italiana. Ma la politica no, non è il suo mestiere. Il miglior politico di casa nostra è Gianni Letta. Sembra finto, donato: sta al chiodo venti ore al giorno ed è sempre gentile, sorridente, preparato.»
A casa di Carlo Vanzina, un pianterreno con piscina in una delle strade più tranquille dei Parioli, a pochi metri dallo zoo, le bambine sono eufonriche per la fine della scuola e corrono a piedi nudi, la biondissima moglie Lisa Melidoni organizza la cena per quattro amici, l'atmosfera è accogliente e familiare. Ma i veri padroni sono i cani, un anziano labrador nero e cieco e due zompettanti west-island terrier: salgono sui divani, mangiano pizzette direttamente dai vassoi, alla fine assistono all'intervista accucciati adoranti ai piedi del regista.
I ragazzi Vanzina non sono cambiati tanto, negli anni. Fisicamente identici, sono ancora un po' capelloni, portano fissi la camicia e il jeans, i mocassini. Proprio come allora. Negli anni Sessanta erano gli invidiatissimi figli del grande Steno, regista e sceneggiatore di tutti i più grandi film comici. Arrivavano a piazza Euclide, dov'erano parcheggiati i giovani borghesi che avrebbero poi raccontato e preso in giro nei loro film, e raccontavano le storie degli attori che avevano incontrato sul set, ma soprattutto erano cresciuti accanto a donne come Brigitte Bardot, «mi tenne in braccio quando avevo cinque anni, ricordo ancora il calore delle sue gambe», Anita Ekberg, «ci sembrava una statua, un sogno» e Annamaria Pierangeli, «passai un'estate con lei, sul lago di Garda, avevamo accompagnato papà a girare, com'era bella, ma la più sexy è sempre stata Elsa, Elsa Martinelli».
Ridevano, i Vanzina, dei loro amici, diventati poi sessantottini, «il più divertente era Roby Bloch, il proprietario del meraviglioso negozio Schostal in via del Corso. Contestava con la Porsche sotto casa». Loro frequentavano la scuola francese, «mia madre Maria Teresa ci teneva. Era figlia di un ferroviere, lavorava al ministero degli Esteri, era affascinata dai diplomatici: d'estate ci mandava a studiare inglese in Svizzera, sperava che Enrico e io diventassimo dei grandi ambasciatori. Ci proponeva tutte fidanzatine col filo di perle e sognava che sposassimo una contessina o, ancora meglio, una principessina. E invece, mi sono sempre piaciute quelle vistose, biondissime, appariscenti, proprio come le attrici». Papà Steno, grandissimo imitatore di Mussolini, autore di satira sul «Marc'Aurelio», la rivista che faceva la fronda al regime e fu la palestra di tutti i grandi autori del dopoguerra, era stato antifascista e fu costretto a scappare a Napoli, insieme a Dino De Laurentiis, per sfuggire all'arresto (la sua storia, raccontata in un diario pubblicato postumo, è stata pubblicata nella raccolta Sotto le stelle del ‘44). Steno, diversamente da tutti i suoi colleghi, ha fatto il padre sul serio: adorava i figli e li portava con sé ovunque. «È stata la nostra fortuna, siamo venuti su in fretta, ascoltavamo a bocca aperta i discorsi dei grandi, frequentavamo il set, incontravamo Sergio Corbucci e Sergio Leone, ricordo la via Veneto di Flaiano, De Feo e Talanico, pensa che dopo cena anche noi piccoli eravamo ammessi alle chiacchiere al bar Doney, il mio soprannome era “il Patti del Duemila”, avevano fatto i conti che avrei avuto l'età dello scrittore Ercole Patti, allora quarantanovenne, alla fine del millennio. Forse, siamo diventati come dei vecchi giovani, sempre a cena con Mario Camerini, Mario Monicelli, Suso Cecchi D'Amico, Alberto Sordi. Papà era un superantifascista, anticomunista, un mangiapreti, detestava e ridicolizzava i democristiani. Il suo leader politico era Giovanni Malagodi: ha sempre votato per i liberali. Uno dei pochi, gli altri erano socialisti, tutti per Nenni: da Carlo Ponti a Monicelli, da Scarpelli a Scola, a Camerini... Anche io, come primi partiti avevo scelto il Pri e il Psi. Quando arrivò Bettino Craxi, gli amici di papà si spostarono a sinistra e io cominciai a votare per Pannella e la Bonino: mi piaceva la loro battaglia per gli spinelli liberi.»
Carlo debutta come aiuto-regista di Monicelli nel secondo Brancaleone, poi lo segue in Romanzo popolare e in Amici miei. Intanto, scrive soggetti per divertimento. «Il mio primo, mai realizzato, era ambientato a Cortina, dove andavamo in vacanza un mese d'estate e a Natale. La storia era prima divertente, poi tragica. Per sbaglio, mentre sono diretti negli Stati Uniti, i russi invadono l'Italia – era la grande paura degli anni Sessanta – e tutti i beceroni in vacanza sulle Dolomiti fuggono di corsa su un treno. La destinazione è ignota, loro salgono con le pellicce, le valigie, i gioielli, le tate, i pupi. Dopo poco, iniziano a litigare: alla fine, si uccidono tutti fra di loro.»
Un cinema severo con la borghesia, durissimo con le mode e con le debolezze dei vip veri o presunti può essere anche un cinema politico? Secondo Carlo Vanzina, «assolutamente sì. Ci hanno confinati in serie B per anni, ne abbiamo sofferto, poi finalmente siamo stati sdoganati: abbiamo contribuito a fissare per sempre l'immagine di una certa società italiana, lo capì per primo il critico di “Repubblica” Paolo D'Agostini. Ma chi ha ridicolizzato gli yuppies, quei quattro zozzoni che litigavano al ristorante al momento del conto? E i nobili, le finte bionde, la mania della palestra, i circoli come sedi di affari? Per un lunghissimo periodo, è stata dura: più i nostri film guadagnavano miliardi, più ci confinavano nel trash, nella volgarità. Adesso che è finita, ora che tutti ci celebrano, devo ringraziare un innamorato del cinema, l'unico comunista di cui mi fido e per il quale ho votato: Walter Veltroni, anche lui ci ha sempre apprezzato, rideva alle nostre battute, ai nostri giochi di parole sui cognomi romani, come ha fatto sempre anche il sindaco di prima, Rutelli, quasi un figlio mancato del nostro adorato Alberto Sordi. E, naturalmente, Berlusconi: un nostro grande ammiratore. È un sostenitore, grazie ai diritti d'antenna, di tutto il cinema italiano. Vedi, mi fa rabbia vedere che i registi che lo disprezzano, come Ettore Scola e tanti altri, poi si fanno produrre dalla sua Medusa. Che ipocriti».
Anche il presidente Carlo Azeglio Ciampi ha riso alle vanzinate. «Andai al Quirinale alla proiezione del Pranzo della domenica, storia in perfetta pan condicio fra il comunista e il fascista. Fu molto affettuoso, si divertì. Ciampi è un italiano solido, che merita fiducia, rispetto.» Uno dei prossimi film di Carlo, appena finito di girare il secondo Eccezzziunale... veramente, con Diego Abatantuono e Sabrina Ferilli, ha un titolo pescato dalla fantascienza: Italia 2051. Una satira contro il leghismo. «È una sorta di Risorgimento parte seconda. Un gruppo di carbonari italiani sbarca in Sicilia, dove ormai regnano gli arabi, con i loro minareti, le moschee, le donne in burqa. Loro risalgono la penisola, per liberarla dai signorotti del futuro. Nel nostro immaginario 2051, la Lega avrà costruito un muro come quello israeliano fra Nord e Sud, per bloccare l'avanzata del Regno delle due Sicilie. I nuovi rivoluzionari attraverso il granducato di Toscana, governato da Vittorio Cecchi Gori, le Marche di Vittorio Merloni e Diego Della Valle, lo stato pontificio dove regneranno i nuovi palazzinari e così via.»
Ridiamo. Ma sulla religione il regista non scherza. Nel taschino della camicia a righine c'è un'immaginetta di santa Rita, «mi ha fatto una grazia venti anni fa. Da allora, ogni anno vado in pellegrinaggio a Cascia e sono tornato a messa. Ho preso la comunione anche dal santo padre, Giovanni Paolo II. Mi sono commosso quando la sua bara, così semplice, è andata via per sempre. Ho due problemi, speriamo che Dio mi capisca: non sopporto le suore e faccio fatica a confessarmi. Una volta, un sacerdote mi chiese in che posizione facevo l'amore, mi alzai e me ne andai subito. Che dici? È ora che riprovi?». Il tramonto sul parco dei Daini, in giugno, è emozionante. Sul cancello, al momento dei saluti, guardando il buffo e inconfondibile sorriso di Carlo Vanzina, è facile immaginare che ci sarà ancora tanto su cui ridere. Per lui, per noi, per il pubblico che guarda e riguarda i suoi film, al cinema e in Tv
Da Registi d'Italia, Rizzoli, Milano, 2006
Figlio del regista Stefano (in arte Steno) e fratello dello sceneggiatore Enrico, esordisce nel cinema ad un anno, interpretando la parte d'un neonato in Totò e le donne, firmato dal padre. Dopo aver studiato presso una scuola francese, lavora tra il 1969 ed il 1975 come aiuto regista ancora per il genitore (Il vichingo venuto dal Sud, 1971; La poliziotta, 1974), ma in primo luogo per Mario Monicelli (Brancaleone alle crociate, 1970; Romanzo popolare, 1974; Amici miei, 1975) ed Alberto Sordi (Polvere di stelle, 1973; Finché c'è guerra c'è speranza, 1974).
Esordisce dietro la macchina da presa nel 1976 con Luna di miele in tre, una commedia interpretata da Renato Pozzetto; al mediocre Figlio delle stelle (1979) fanno seguito alcuni film col gruppo de I Gatti di Vicolo Miracoli - composto da Jerry Calà, Franco Oppini, Nini Salerno ed Umberto Smaila - e con Diego Abatantuono, da Arrivano i gatti (1980) a I fichissimi (1981), da Viuuulentemente...mia (1982) a Il ras del quartiere (1983).
Diversi suoi lavori successivi come Sapore di mare (1983), Vacanze di Natale (1983), Sotto il vestito niente (1985),Yuppies (1986) risultano tanto fortunati da generare uno o più seguiti, quasi mai diretti da lui: egli diviene, così, uno dei beniamini del grande pubblico popolare.
Dotato di robusto mestiere, ha diretto nell'ultimo quindicennio - con alterne fortune - innumerevoli pellicole, delle quali vanno almeno segnalate Via Montenapoleone (1987), La partita (1988), Le finte bionde (1989), Tre colonne in cronaca (1990), Sognando la California (1992), I mitici (1994), A spasso nel tempo (1996), Il cielo in una stanza (1999), Quello che le ragazze non dicono (2000), South Kensington(2001), Febbre da cavallo - La Madrakata (2002), Il pranzo della domenica (2003).
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