Sempre alla ricerca di nuovi volti, in America, nel cinema americano, si sono ora accorti che si può essere belli di fuori e brutti di dentro. Mentre prima i gangsters avevano il volto grifagno di Robinson, quello affaticato di Muni o l'altro, funesto, del primo Gable: il nuovo eroe "cattivo" Alan Ladd ha un volto dolcissimo, di ragazzo per bene, di complessione un po' fragile, di quelli che si dice la mamma tiri su in mezzo alla bambagia. Poi, nel corso dei suoi film, Alan Ladd si rivela per tutt'altro. Dietro il volto di angelo un demonio; dietro un corpo che appare fragile una violenza fisica e una resistenza al dolore da dar dei punti a un pugilatore o a uno scaricatore di porto.
Molti sono i film di Alan Ladd che gli spettatori italiani ormai conoscono. Questa settimana gli schermi milanesi ne han visti due piuttosto buoni: La chiave di vetro e La corsa della morte. In quest'ultimo Alan Ladd rinnova in parte il suo gioco mostrando che un'anima avvelenata può — a un certo punto — ricordarsi di un cielo perfetto e terso, dove bontà, amicizia, amore, non siano parole prive di senso. Ex-meccanico, ragazzo dalle molte esperienze, Alan Ladd sta mostrando una ambiziosa, caparbia volontà di esser qualcuno. E' già successo con Gable e Powell, cominciati come "cattivi" professionali e promossi alla gloria del lieto fine. Forse Alan Ladd ha davanti quei modelli: vuol smettere il mitra dell'assassino per arrivare al matrimonio, con marcia nuziale.
Da Candido, 13 Luglio 1947