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Non volere volare, una commedia caustica da cui fa capolino un tragicomico affresco sociale

Un titanico Timothy Spall guida, in alta quota e tra le terre desolate dell'Islanda, un gruppo di personaggi affascinanti e imperfetti, ciascuno con la sua battaglia interiore da vincere. Dal 18 aprile al cinema.
di Giovanni Bogani

Timothy Spall Altri nomi: (Timothy Spall OBE / Tim Spall ) (67 anni) 27 febbraio 1957, Londra (Gran Bretagna) - Pesci. Interpreta Edward nel film di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson Non volere volare. Al cinema da giovedì 18 aprile 2024.
mercoledì 17 aprile 2024 - Focus

È curioso che siano usciti, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, due film che raccontano la stessa paura: la paura di volare. Uno è Volare, esordio alla regia di Margherita Buy, l’altro è Non volere volare di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, regista islandese che debutta anche lui, essendo il suo primo film in lingua inglese. Eppure nessuno dei due ha copiato l’altro: Sigurðsson ha scritto durante la pandemia, e della Buy conosciamo da tempo le fobie. I due film sono usciti insieme, e palesemente hanno preso forma l’uno all’insaputa dell’altro.

Ma veniamo a Non volere volare, che sfoggia un notevole bouquet di titoli originali: “Northern Comfort” è quello giusto, ma c’è anche “Fearless Flyers”, e per i francesi c’è “Zone(s) de turbulence”. Tutti per uno, o meglio tutti per la stessa commedia grottesca, caustica, esistenziale. Che non si limita a raccontare la paura di volare di un gruppo di sballata umanità. Racconta molte altre paure, nascoste sotto la polvere della prima.

Racconta un gruppo di personaggi affascinanti e imperfetti, ciascuno con la sua battaglia interiore da vincere. Frustrati, ossessionati, avviliti, con traumi lontani nascosti nell’ombra dell’inconscio, e pronti a venire in superficie. Così che il film oscilla fra il balletto grottesco, con gag da comica del Muto, e l’affresco sociale. Commedia, sì, anche meccanica e sguaiata all’occorrenza, ma anche qualcosa di più.

Allo stesso modo, più degli aerei che ballano, delle turbolenze del titolo francese, in questo film fa più paura il paesaggio islandese, terrificante e livido, fosco ed enigmatico, splendidamente fotografato dal direttore della fotografia danese Niels Thastrum. Il senso di una terra che conserva ancora tutta la sua forza primordiale, che si contrappone con violenza all’hotel a cinque stelle, al comfort globalizzato che avvolge i personaggi nella loro notte di permanenza forzata nell’isola. Un hotel di superfici levigate, di suoni ovattati, che non riesce a coprire la natura animale dell’uomo, le sue pulsioni erotiche.


In foto una scena del film Non volere volare.

Da una parte c’è una hall di hotel, con i cocktail, la musica dei “non luoghi”, bassa, le luci dorate. Ma sai che sotto c’è una terra di vulcani e di neve, e Sigurðsson è molto bravo a farci capire quanto ciò che chiamiamo civiltà sia una sottile crosta di ghiaccio sulla quale camminiamo, pronti a cadere.

C’è molta aria di Ruben Östlund, in questo film. La situazione, fra le nevi, ricorda quella di Force majeure, il film del 2014 del regista svedese. Ma più ancora, colpiscono le somiglianze col film di Östlund Östlund ha vinto la Palma d’oro nel 2022, Triangle of Sadness. Il personaggio della influencer in Non volere volare, interpretato da Ella Rumpf, ricorda molto il personaggio di Yaya, la modella/influencer di Triangle of Sadness, interpretata dalla brava e sfortunata Charlbi Dean, scomparsa giovanissima alla vigilia della presentazione del film a New York, per una infezione batterica.

Per disegnare ancora meglio il quadro delle similitudini fra Östlund e Sigurðsson, sia in Triangle of Sadness che in Non volere volare abbiamo un gruppo di persone sopravvissute ad una disavventura, che finiscono isolati, in un luogo poco ospitale, dove si trovano a fare emergere il peggio di sé. Va detto che Östlund è più corrosivo, e che la sua narrazione è più coerente, meno incline a soccombere al desiderio della gag, e più acuto nell’esplorare le relazioni umane e scoiali.

Ma ci sono delle trovate sorprendenti, nella storia che Sigurðsson disegna: evoluzioni imprevedibili di un copione che sembra stare a mezza strada fra Lo stato delle cose e i Monty Python. Ci imbattiamo in scene folli, fra leccate a una testa pelata e taxi che si ribaltano sulla strada gelata, come in una puntata di “Ice Road Truckers”, quella serie con i camionisti che guidano nella tundra canadese, e stanze d’hotel a cinque stelle dove un ex militare mette in atto trappole da guerra del Vietnam. In generale, viene da dire che il film funziona meglio quando entra nel territorio della commedia surreale e grottesca.


In foto Timothy Spall in una scena del film Non volere volare.

Ma quello che colpisce di più è il racconto delle paure vere di ciascuno dei personaggi del film. Una donna che teme il rapporto con il proprio compagno, e il confronto con l’ex moglie di lui; quelle di un nerd – il personaggio di Alfons, interpretato da Sverrir Gudnason – che sta con una influencer, che si è guadagnata soldi, potere e prestigio solo mostrando il fondoschiena; le paure del capogruppo, l’impiegato dell’agenzia - Simon Manyonda – che da tutta una vita si sente incapace, e adesso vede le sue incapacità messe a nudo. E infine, le paure del personaggio più memorabile di tutti: un titanico Timothy Spall.

L’attore inglese – già protagonista di Segreti e bugie, premio come Miglior Attore Protagonista a Cannes per la sua splendida interpretazione in Turner – dà vita a una travolgente caratterizzazione di un veterano delle special forces britanniche diventato scrittore di best seller, e che si sente invadere dagli antichi ricordi della guerra britannnica nelle Falklands, le isole sperdute al largo delle coste argentine che sono state, negli anni ’80, un Vietnam per i britannici.

Insomma, un film serio travestito da farsa, o viceversa. Decolla bene, e il resto è tutto un equilibrio sopra la follia.


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