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La bella estate, Laura Luchetti: «In Pavese ho visto una prospettiva molto femminile»

Abbiamo incontrato la regista al Locarno Film Festival, dove il film - liberamente tratto dall'omonimo romanzo - è stato presentato ieri sera in Piazza Grande. Dal 24 agosto sarà al cinema.
di Tommaso Tocci

Laura Luchetti 1974, Roma (Italia).
sabato 5 agosto 2023 - Incontri

L’incontro con Laura Luchetti, regista de La bella estate, avviene a pochi passi dal mare giallo delle sedie in Piazza Grande a Locarno, che colpiscono anche da vuote, nelle prime ore della mattina. Per Luchetti, che con il suo terzo film arriva al Locarno Film Festival (in Piazza Grande), è la prima volta al festival: “una grande emozione. Con Yile [Vianello, la giovane protagonista del film, ndR] ieri sera siamo passate davanti allo schermo. Mi avevano detto che fosse grande ma non credevo così tanto.”

Iniziamo parlando di Pavese, di questa opera, di come è venuta l’idea dell’adattamento e perché ora.
Io ho un motto: “le cose che ti appartengono ti troveranno”. Ho sempre amato Pavese, la sua malinconia e le sue atmosfere. Un paio d’anni fa ho riletto La bella estate, e per puro caso ho saputo di lì a breve che i produttori avevano acquistato i diritti.

Una bella coincidenza. Che cosa cercavi in quelle pagine?
Con un atto d’amore e di terrore mi sono lanciata nello studio del libro, per trovare una chiave di adattamento vicina al cuore di Pavese ma che contenesse anche un po’ del mio. Senza dubbio per me le pagine si incendiano nel rapporto tra Ginia e Amelia, che Pavese fa sottintendere e suggerisce per poi schiaffeggiare coraggiosamente il lettore nel finale. Inoltre è la storia di una ragazza nel momento che io più amo, l’adolescenza. Ginia sente il corpo esplodere di desiderio e deve decidere chi vuole essere, chi vuole amare.

Argomento molto attuale.
Non vedo differenza tra gli anni trenta di Pavese e l’esperienza di una ragazza della stessa età nel mondo di oggi. Il dibattito sul corpo e sull’orientamento sessuale è oggi molto forte, ma tenendo l’ambientazione d’epoca si sottolinea che questo è il tema universale della crescita, della perdita dell’innocenza. L’ispirazione per scrivere il personaggio di Ginia è stata mia figlia, che ha la stessa età, e negli altri personaggi rivedo i suoi amici, anche quegli uomini che Pavese giudica in modo così feroce.

La penna di Pavese crea un solco enorme tra le donne e gli uomini della storia, come a rimarcare due mondi distanti. Nel film la sensibilità è più rotonda.
Questa è la storia di una verginità che si difende dagli attacchi del mondo. I personaggi maschili sono fragili perché schiavi di un ruolo. Ma ho visto in Pavese una prospettiva molto femminile, che a mia volta ho voluto addolcire specialmente per gli uomini, dall’oggetto d’amore Guido alla figura del fratello Severino, che ho reso più morbido pensando a mio fratello. Mi piaceva l’idea di esplorare il rapporto tra una sorella e un fratello perché non si vede spesso.

Ho trovato nella protagonista di Yile Vianello una maturità malinconica, che contrasta con un personaggio che invece al mondo adulto si affaccia per la prima volta. Dimmi di cosa si nutre il rapporto con Amelia.
Per me Ginia è un essere della natura, che nel contesto della città deve contenersi. Amelia invece nella città è a suo agio, deve apparire forte a tutti i costi perché vive facendosi rappresentare. Una rappresentazione che Ginia non ha e che desidera fortemente, non vede l’ora che qualcuno la guardi. Finirà per tradirsi e per capire qual è la sua natura. Di nuovo tornano i paralleli con la nostra epoca: ho pensato subito ai social, ai selfie, ai like. Esistere perché si è rappresentati, perché gli altri ci vedano.

Su cosa ti sei concentrata nel lavorare con le attrici?
Nonostante sia un film piccolo e girato di corsa, ho voluto tenere un laboratorio con tutti i ragazzi prima delle riprese, per far sì che i personaggi fossero “tatuati” sugli attori. Con Yile Vianello ho lavorato sulla fisicità di Ginia, su questa piccola ragazza che viene dalla campagna e deve farcela nella grande città. Deva Cassel [figlia diciottenne dei divi Monica Bellucci e Vincent Cassel, ndR] conosce bene il dolore di essere rappresentabile in ogni istante della vita; chi meglio di lei poteva prestare il volto a una giovane donna condannata sempre a mostrarsi, anche quando è infelice?


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