Una voce-off accompagna incessantemente l'esordio di Ricky Ambrose presentato a Venezia e in streaming su MYmovies fino al 7 settembre.
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di Simone Emiliani
Jesse, figlio unico di Richard e Lydia Damrosch nasce nel 1987, due anni dopo la scomparsa a 38 anni di suo zio Joseph, fratello del padre. La causa del decesso è l'AIDS anche se la sua famiglia ha sempre detto che è morto per una malattia del fegato dovuta alle posate sporche. La sua vita e quella della sua famiglia viene raccontata nel corso di un ventennio nel corso del quale i genitori si separano, il padre entra in difficoltà economiche dopo il fallimento della sua tipografia e il suo rapporto con il nonno materno diventa sempre più conflittuale. L'infanzia e l'adolescenza di Jesse sono così caratterizzate da frequenti contrasti e dalla presenza della morte nella sua vita. Si rinchiude così in sé stesso, in un personale universo introspettivo e meditativo che è inaccessibile agli altri.
Dopo numerosi cortometraggi e documentari, Ricky D'Ambrose approda al lungometraggio con una vicenda che lo ossessionava da tempo.
Un spunto autobiografico si trasforma in una specie di operazione chirurgica nella costruzione di una saga familiare fintamente intima, nel quale D’Ambrose ripercorre un ventennio di storia privata che s’incrocia anche con quella dall’inizio degli anni ’90 degli Stati Uniti.
L’isolamento di Jeff, il suo sguardo esterno sul ventennio di storia statunitense e sulle vicende della propria famiglia, poteva avere un impatto diverso se sviluppato in maniera differente, lasciando emergere la sua silenziosa diversità senza comporla con i numerosi dettagli che occupano l’inquadratura. Ma c’è soprattutto la voce-off che soffoca la storia riempendola di troppe informazioni e dettagli impedendo al film di respirare da solo.
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