Ispirato alla storia vera di Tim Steiner e candidato all’Oscar al Miglior film internazionale (primo film tunisino e prima regista donna a riuscire nell'impresa), il film di Kaouther Ben Hania sarà al cinema da giovedì 7 ottobre.
di Mathilde Narros
Il mondo dell’arte contemporanea incontra il mondo dei rifugiati politici creando un’intrigante storia che porta la regista Kaouther Ben Hania agli Oscar 2021. L'uomo che vendette la sua pelle è il primo film tunisino e il primo film diretto da una donna ad essere in competizione come Miglior Film Internazionale, nomination meritata che contribuisce a colmare la mancanza di varietà delle istituzioni cinematografiche.
La regista è abituata a trattare temi legati alla società e, per questo nuovo viaggio, ci porta prima in Siria, poi in Libia ed infine a Bruxelles, in Belgio. Seguiamo il viaggio verso la libertà di Sam e seppure ci siano immagini legate alla guerra, il film propone molte altre riflessioni.
Le prime immagini ci suggeriscono quello che sarà uno dei temi più importanti dell’opera: il film ruota attorno all’arte contemporanea ma è sicuramente meno cinico rispetto a The Square. L’unico modo per ottenere un VISA e poter lasciare il proprio paese è quello di farsi tatuare un VISA sulla propria schiena da un artista internazionale. Il protagonista accetta questa condizione sperando di raggiungere la sua amata a Bruxelles. Potremmo dire che abbia venduto la sua pelle per amore.
Rinomata per eliminare qualsiasi tipo di frontiera tra individui, popoli e nazioni, l’arte è ampiamente rimessa in discussione. Sì, l’enorme tatuaggio permette la fuga da un paese in guerra e promette libertà ma, dopotutto, anche l’arte lo rinchiude in una sorta di prigione. Diventando esso stesso un’opera stimata milioni d’euro, il ragazzo deve sedersi silenziosamente per ore e mostrare la sua schiena a sconosciuti. Le scelte della fotografia fanno di tutto per trasmetterci il sentimento di oppressione a cui è confrontato. Le luci soffuse, i numerosi interni e le composizioni delle immagini non lasciano spazio al movimento, al pensiero e alla libertà.
Ed è qui che entra in gioco il discorso sullo sfruttamento e sulla commercializzazione degli esseri umani, in particolare dei migranti. Durante l’esposizione del tatuaggio, alcuni attivisti invadono la sala invocando i diritti dell’uomo e facendo capire a Sam di essere stato utilizzato per contribuire alla notorietà dell’artista e per fini economici. Non ci si dilunga troppo sullo sfruttamento dei migranti, il tema è forse troppo grave per il film che, oltre ad essere una critica alla società, vuole rimanere su un terreno più sobrio e raccontare una storia d’amore.
Kaouther Ben Hania critica l’assurdità dell’arte contemporanea ma la regista ha ironicamente confezionato un film che non fatica a rientrare nella categoria dell’oggetto artistico. Inoltre, il suo amore per l’arte traspare anche da come ha deciso di rappresentare il protagonista. Il suo corpo è costantemente messo in valore come un’opera d’arte ma senza nessuna connotazione sessuale. Sam è sempre gentilmente filmato e nella galleria sono presenti molteplici dipinti di nudi maschili. Lo sguardo femminile sul corpo maschile cambia le dinamiche a cui siamo abituati e offre nuove interessanti visioni.
Non bisogna dimenticare la straordinaria presenza scenica di Yahya Mahayni, nel ruolo principale, affiancato da altri eccezionali attori conosciuti a livello internazionale come la nostra Monica Bellucci. Volontà, probabilmente, di abbattere anche qui ogni tipo di frontiera tra gli attori, che sia di nazionalità o di popolarità.
Il film è liberamente ispirato alla storia e al tatuaggio di Tim Steiner, creato dall’artista belga Wim Delvoye. L’opera del 2006 è il punto di partenza che ha permesso alla regista di riflettere alla condizione umana, ai problemi della nostra società e ai limiti da non infrangere per preservare la nostra libertà, regalandoci un film brillante e originale.