Anno | 2019 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Lituania, Francia, Serbia, Repubblica ceca, Lettonia, Portogallo |
Durata | 128 minuti |
Regia di | Sharunas Bartas |
Attori | Arvydas Dapsys, Marius Povilas Elijas Martynenko, Alina Zaliukaite-Ramanauskiene, Salvijus Trepulis, Valdas Virgailis Rytis Saladzius, Saulius Sestavickas, Vita Siauciunaite. |
Tag | Da vedere 2019 |
MYmonetro | 3,92 su 4 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento sabato 19 dicembre 2020
Un ragazzo entra a far parte del movimento partigiano e scopre la violenza.
ASSOLUTAMENTE SÌ
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Tra il 1946 e il 1949 la Lituania subisce l'invasione sovietica dopo aver vissuto quella nazista. I partigiani sono costretti a rifugiarsi nei boschi man mano che i russi avanzano promuovendo la collettivizzazione forzata delle terre. Siamo nel 1948 e l'adolescente Unte, orfano e adottato, si avvicina ai gruppi resistenziali iniziando così a sperimentare di persona gli orrori della guerra.
Sharunas Bartas non ha bisogno di presentazioni per il pubblico più cinefilo essendo il più famoso e stilisticamente ricercato regista lituano.
Questa sua riflessione sugli anni che portarono poi all'annessione della Lituania all'URSS in patria non è piaciuta a tutti. Forse ci si aspettava da lui un'epica manichea mentre la sua attenzione va alle pieghe della Storia e a come l'individuo le affronta tra luci ed ombre. Luci ed ombre che letteralmente 'abitano' il suo film negli interni in cui costruisce un'atmosfera che, soprattutto nella parte iniziale, fa pensare a richiami cecoviani con quella sensazione di un passato ormai non emendabile che condiziona un presente in cui i rapporti sembrano al contempo congelati nel già detto ma anche aspiranti a un futuro diverso e forse possibile.
All'esterno invece il tempo sembra essersi quasi bloccato in un'attesa che si fa sempre meno carica di speranza e in cui il tradimento è costantemente in agguato. La forza di questo cinema sta nei ritmi di una narrazione che si dilatano per trasmettere una tensione del tutto interiore in cui il giovane Unte cerca di trovare delle ragioni che illuminino il suo passato di orfano e un presente in cui anche stare dalla parte giusta comporta il porsi domande su azioni che è difficile distinguere da quelle dei nemici.
Bartas non ama i sovietici e ne mostra la crudeltà così come non rimpiange una società classista in cui il domestico si trovava ad aspirare, con il matrimonio, ai possedimenti della padrona che avrebbe continuato a ritenersi tale anche dopo aver contratto il vincolo. Ogni singola inquadratura (e in particolare i ripetuti primi e primissimi piani) contribuisce allo sviluppo di una ricerca che vuole essere storica ma che, soprattutto, mira a far emergere il bisogno (che un conflitto provoca con maggiore intensità) di riuscire a dare un senso e un valore al proprio agire.
L'occupazione della Lituania da parte dell'Unione Sovietica, il trauma delle deportazioni nei campi di lavoro in Siberia, la totale perdita del controllo sul proprio futuro, proprio nel momento in cui la Seconda guerra mondiale si sta concludendo, rappresentano per il cinema lituano un nodo ancora non sciolto e il punto verso cui convergono i racconti di un cinema tanto intenso quanto dolente.
Ad alcuni potrà sembrare una forzatura. Eppure, accostare l'ultimo lavoro di un appartato Maestro del cinema come Šarnas Bartas a L'Armée des ombres (1969) di Jean-Pierre Melville ci è venuto spontaneo. Un po' perché in fondo, al di là della matrice ideologica, le oppressioni si assomigliano tutte; e similmente può essere accomunato lo spirito dei combattenti per la libertà.
È tutto negli occhi di chi guarda. Dramma storico dalla complessa e spiazzante architettura morale e insieme educazione alla vita (alla morte? alla speranza?), esasperante nella sua lentezza (è voluto), In the Dusk (Al crepuscolo) arriva al Trieste Film Festival 2021 dopo aver fatto parte della competizione ufficiale del più che stravolto Festival di Cannes 2020, e dopo l'anteprima al Festival di San [...] Vai alla recensione »