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Il grande passo, la prova di due grandi caratteristi del cinema italiano

Battiston e Fresi confermano una grande tradizione attoriale del nostro Paese. Al cinema. 
di Tommaso Tocci

lunedì 24 agosto 2020 - Il grande passo

Non sarà proprio come andare sulla Luna, ma vedere due attori come Giuseppe Battiston e Stefano Fresi nel ruolo di co-protagonisti de Il grande passo, ultima opera di Antonio Padovan, è una conquista importante per chi ama il lavoro dei caratteristi sul grande schermo. Entrambi si sono ritagliati la propria nicchia con arte e con mestiere; Battiston addirittura da una trentina d’anni, Fresi più o meno da una decina.


Sono due esponenti oggi di primo piano di una lunga tradizione che in Italia ha attraversato le epoche più importanti del nostro cinema, consacrando alla storia tutti quei volti che arrivano all’immaginazione dello spettatore prima che possa farlo il nome che portano.
Tommaso Tocci

Le strade dei caratteristi, poi, sono infinite. Si arriva ad esserlo attraverso una sontuosa preparazione attoriale, oppure per caso, presi dalla strada per un qualche tratto fisico che colpisce. Lo si può diventare come espressione autentica di ciò che si è, oppure basare una carriera sulla mistificazione: è il caso ad esempio di Monicelli in I soliti ignoti, che si divertì a popolare il film di personaggi dalla spiccata connotazione geografica, che però non era vera. Tiberio Murgia, sardo verace, viene riconfigurato siciliano nel ruolo di Ferribotte, e proprio questo sarà il fil rouge che unirà tutti i suoi successivi ruoli di caratterista, attraversando tutta l’era della commedia all’italiana. Ancora più iconico è il caso di Carlo Pisacane, per tutti Capannelle grazie sempre a I soliti ignoti. Ruolo così totalizzante da fargli portare addosso per il resto dei suoi giorni anche il nomignolo, lui - orgogliosamente napoletano - che trova un’identità pubblica grazie a questo esilarante vecchietto bolognese.

Miracoli e assurdità del doppiaggio, che consentiva di smontare e rimontare pezzi di interpretazione e di deviare le qualità più riconoscibili, come accadeva anche a un’altra faccia capace di raccontare mille storie, quella di Mario Brega (duro del West per Leone e “comunista così” per Verdone). E a proposito di Verdone, come dimenticare le grandi donne caratteriste del cinema italiano?

A Elena Fabrizi, per tutti “sora Lella”, il comico romano ha donato la fama e il prototipico ruolo della nonna nelle sue commedie, ma anche lei - sorella di Aldo Fabrizi - esordì ne I soliti ignoti. E prima ancora, Tina Pica e Marisa Merlini, due carriere che si incontrano in un’altra opera che è un’ode al caratterista: Pane, amore e fantasia di Comencini. Pica aveva la voce cavernosa e inconfondibile, che univa a una presenza scenica forgiata a teatro. Quello della serva Caramella fu uno dei tanti ruoli di femminilità burbera e domestica che il cinema le ha riservato, ma anche il primo a darle vera notorietà. Nel mentre, tra i vari incroci sentimentali del film, è l’Annarella di Marisa Merlini a portarsi via il cuore del maresciallo Vittorio De Sica, e a dare all’attrice una delle parti più gloriose di una filmografia enorme, che abbraccia più di 150 film dal dopoguerra agli anni duemila.


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