Una mise en scéne anti-spettacolare e concentrata sull'intensificazione delle emozioni tramite la parola e la suspense. Al cinema.
di Tommaso Drudi, vincitore del Premio Scrivere di Cinema
La dimensione in cui agisce la contemporaneità cinematografica ha assunto, negli ultimi anni, l'aspetto di un organismo ipertrofico dove il prodotto d'intrattenimento si ripresenta nelle sale, di mese in mese, sempre identico a se stesso. Il cinecomic, in particolare, chiama a raccolta una comunità spettatoriale così esigente e così attenta alle corrispondenze con l'originale cartaceo da aver trascinato il dispositivo filmico verso un riduzionismo concettuale davvero preoccupante. In questo senso, la risposta di M. Night Shyamalan sembra prendere una direzione uguale e contraria, perché se da una parte Glass (guarda la video recensione), come nei più classici dei crossover, convoca a sé i protagonisti di altri due film (uno dei quali temporalmente lontano ma che già allora aveva detto tanto sul superomismo molto prima del monopolio Marvel), dall'altra il fumetto resta al centro di un'idea di cinema di genere che tuttavia sceglie di allontanarsi dall'ortodossia narrativa pretesa dal pubblico moderno.
Il successo di Glass, come progetto ancor prima che come film, si fonda sulla consapevolezza della propria riconoscibilità editoriale: mentre la popolarità dell'universo Marvel o DC poggia su una fanbase che vede nel cinecomic un modo per legittimare la propria affezione al fumetto, il "progetto Shyamalan" trova la sua eccezionalità in un effettismo narrativo complesso e nell'invenzione di personaggi a dir poco indovinati.
Il momento finale di Split, che si riallacciava alle vicende di Unbreakable - Il predestinato, proiettava il film verso un capitolo finale che non avrebbe avuto bisogno di alcuna contaminazione cross-mediale per incontrare l'entusiasmo del pubblico e che, soprattutto, tracciava le basi per un percorso di riconfigurazione del supereroe cinematografico. Un percorso non lontano dalle intuizioni di film come Il cavaliere oscuro o Chronicle, nei quali il ruolo dell'eroe veniva messo drammaticamente in discussione, eppure del tutto necessario alla determinazione sociale e culturale dell'uomo fuori dal comune.
Shyamalan offre ai suoi personaggi una descrizione che si fa garanzia identitaria in quanto parte di un "progetto" che ha dedicato la giusta attenzione tanto al buono quanto ai cattivi, di cui la maggior parte dei cinecomics di largo consumo propongono al massimo una costruzione di presentazione. Allora il confronto tra l'indistruttibile Bruce Willis, il malvagio uomo di vetro di Samuel L. Jackson e le ventiquattro personalità di James McAvoy - che si alternano secondo una rotazione esaltante ma forse troppo acrobatica rispetto a quella, meno spettacolare ma più intrigante, di Split - non si esaurisce nella retorica del bene contro il male, ma anzi propone una lettura che va al di la del giovanilismo tipico del fumetto per interrogarsi sul grado di stratificazione di senso che il cinema blockbuster è ancora in grado di restituire.