alexmanfrex
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mercoledì 18 dicembre 2019
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qualcosa si è inceppato
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Guardando OUATIH, ho avuto come la sensazione che con il trascorrere del tempo, i film di Tarantino stiano derivando sempre più verso una direzione ben precisa ...
Che è quella di dare sempre più spazio all'estrema rappresentazione della sua arte cinematografica e cinefila, fatta di meccanismi ed estetica codificabili ad inconfondibili, a scapito della qualità, se non addirittura, della vera a propria esistenza di una trama/storia
Questo film non è altro che la concretizzazione del gusto cinefilo di Tarantino, il quale ribadisce ulteriormente che il suo cinema è fatto di sequenze lunghissime, dialoghi surreali e a tratti senza senso, una miriade di citazioni cinematografiche più o meno esplicite, attori feticcio, maschere grottesche, sequenze tipo, riscrittura della storia passata etc .
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Guardando OUATIH, ho avuto come la sensazione che con il trascorrere del tempo, i film di Tarantino stiano derivando sempre più verso una direzione ben precisa ...
Che è quella di dare sempre più spazio all'estrema rappresentazione della sua arte cinematografica e cinefila, fatta di meccanismi ed estetica codificabili ad inconfondibili, a scapito della qualità, se non addirittura, della vera a propria esistenza di una trama/storia
Questo film non è altro che la concretizzazione del gusto cinefilo di Tarantino, il quale ribadisce ulteriormente che il suo cinema è fatto di sequenze lunghissime, dialoghi surreali e a tratti senza senso, una miriade di citazioni cinematografiche più o meno esplicite, attori feticcio, maschere grottesche, sequenze tipo, riscrittura della storia passata etc ...
Questo non basta per far gridare all'ennesimo miracolo o capolavoro.
Guardando questo film, si ha come la sensazione di non capire bene dove voglia andare a parare il regista ... o almeno alla fine si capisce forse che non voleva andare a parare da nessuna parte.
Gli riesce raccontare la storia di un attore che vuole emergere in un'epoca fiorente del cinema hollywoodiano, ma che finisce per essere prigioniero di una fragilità comune a molti suoi colleghi. A fare da contrappeso, c'è invece la serena tranquillità e disillusione della sua controfigura, che, pur avendo aspirazioni di carriera, accetta di buon grado il suo mediocre destino.
Mi sarei aspettato una più completa rappresentazione della new Hollywood di fine anni 60, mentre invece Tarantino punta la macchina da presa solamente su quel sottogenere western a lui così tanto caro a su quel cinema cult che lo ha formato in giovane età.
Una raffica di citazioni e riferimenti a questo sub-mondo che forse lo spettatore italiano non è in grado neanche di conoscere ed apprezzare così a fondo.
Decisamente inspiegabile, o per lo meno debole, l'inclusione dell'affaire omicidio di Sharon Tate da parte dei seguaci della setta Manson ...
Ma le realtà è che il suo sottogenere piace sempre e alla fine intrattiene e porta a casa il risultato, anche se in questo caso, ne ha risentito la trama, che negli altri film riusciva a stare saldamente al centro della sua opera e non a corredo.
Ma, considerato che il regista sta per imboccare il viale del tramonto, dovrà trovare qualcosa di più convincente prima che il soli cali sulla sua straordinaria carriera.
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wolvie
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martedì 19 maggio 2020
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tarantino's tales
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Attraverso i film si riscrive la storia, quella con la S ( "Bastardi Senza Gloria" e " Django Unchained") e quella con la s ( il massacro Tate ad opera di Manson e dei suoi accoliti). Una " catarsi" che permette di realizzare una fiaba, ambientata nella L.A del'69, composta di microuniversi paralleli: quello dello stuntman Cliff Booth ( ispirato al grande Hal Needham?), sodale dell' attore televisivo e di B Movie italiani, Rick Dalton (un Burt Reynolds alternativo ?), della comune hippie che figlia mostri antisistema di Charles Manson, tutto narrato dalla voce ( v.o Kurt Russell), che oscilla tra produzioni televisive western e la fiorente industria cinematografica hollywoodiana ( fantastica la sfida tra Bruce Lee e Cliff).
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Attraverso i film si riscrive la storia, quella con la S ( "Bastardi Senza Gloria" e " Django Unchained") e quella con la s ( il massacro Tate ad opera di Manson e dei suoi accoliti). Una " catarsi" che permette di realizzare una fiaba, ambientata nella L.A del'69, composta di microuniversi paralleli: quello dello stuntman Cliff Booth ( ispirato al grande Hal Needham?), sodale dell' attore televisivo e di B Movie italiani, Rick Dalton (un Burt Reynolds alternativo ?), della comune hippie che figlia mostri antisistema di Charles Manson, tutto narrato dalla voce ( v.o Kurt Russell), che oscilla tra produzioni televisive western e la fiorente industria cinematografica hollywoodiana ( fantastica la sfida tra Bruce Lee e Cliff). In definitiva non esiste un film di Tarantino che non mi abbia attratto, ma poi resto sempre " spiazzato" dalla visione, che non riesce mai a convincermi del tutto. Qui la narrazione è più lineare del solito, ma pur essendo un film esteticamente bellissimo, ci sono comunque troppe scene di viaggi in auto " interminabili" e dilatazioni temporali " disturbanti",ad esempio la lunga scena nel ranch che fa incontrare Brad Pitt e Bruce Dern. Le dissertazioni verbali non sono così ingombranti come in altri film di Tarantino, però riecheggia spesso un certo riverbero misogino e fors anche destrorso : la comunità hippie viene subito etichettata come straniante, sbagliata, fuori luogo, moralmente non adeguata, tramite un machismo esagerato. Sharon Tate/Margot Robbie che va al cinema a vedersi (realmente) in un film della serie di Matt Helm con Dean Martin è una metacontestualizzazione che Tarantino usa con consapevolezza, come le feste nella Playboy Mansion con la presenza di Roman Polansky e Steve McQueen, così come la capacità filologica di rappresentare il periodo italiano di Dalton creando film ad hoc (non reali in questo universo), perfettamente inseribili nel tessuto produttivo anni '70 del cinema di genere italiano, citando non ha caso Antonio Margheriti e Sergio Corbucci. Si rimane affascinati dalla mis en scene, specie con corpi attoriali come quelli di Pitt e della Robbie, ma il senso (se non la verbalizzazione personale delle immagini che divengono, appunto, storie) mi sfugge, ma certamente è un limite del tutto personale.
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silfiverstapoburlessconen
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mercoledì 25 ottobre 2023
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perdenti ripetenti si sa ècosì lo spattacolo, film
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Dopo il marchionico tentativo di acchiappare Holliwood
in quache modo con bastardi senza gloria, ripresentandosi a suon
di assurdità follie arbitrariato e comparse del post moderno il
sequel del sequel tentativo senza neanche riuscire a
trovare pace e ammirare lo spettacolo, lontano dal savoirefare dell'alleato
tentavano di distrarre la gente pensando di
portare onestà e sportivismo constringendo quasi
il pubblico a assistere alla
disperazione di quel loro solito sforzo da combattimento
per trasformarsi in spettacolo
ma evidenziandosi nelle peggiori sfaccettature dell'essere
'rigiocandosi' le loro carte quasi di rimpiatto, quelle della
sconfitta subita, e prendendo le sembianze dei
nazi, camuffati da esercito della democrazie, in quel caso rimangono bastardi
senza gloria.
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Dopo il marchionico tentativo di acchiappare Holliwood
in quache modo con bastardi senza gloria, ripresentandosi a suon
di assurdità follie arbitrariato e comparse del post moderno il
sequel del sequel tentativo senza neanche riuscire a
trovare pace e ammirare lo spettacolo, lontano dal savoirefare dell'alleato
tentavano di distrarre la gente pensando di
portare onestà e sportivismo constringendo quasi
il pubblico a assistere alla
disperazione di quel loro solito sforzo da combattimento
per trasformarsi in spettacolo
ma evidenziandosi nelle peggiori sfaccettature dell'essere
'rigiocandosi' le loro carte quasi di rimpiatto, quelle della
sconfitta subita, e prendendo le sembianze dei
nazi, camuffati da esercito della democrazie, in quel caso rimangono bastardi
senza gloria... qualunque esito si proponevano come il titolo... del film
epiteta anche riosservandolo un 7 mila volte nonchè
cercando di non voler ricordarsene per niente, a Holiwood hanno vinto...
con quei colossal straordinari e quelli ricorrono, quasi si volesse ricorrere
per quei milioni che hanno guadagnato tutte le star holliwodiane e d'altre
cose ma dai, le parate da circo non divertono in caso
ma nonostante gli intenti del secolo passato, grande spettacolo di film.
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cevappo
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lunedì 23 settembre 2019
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un film screma fanboy.
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La sala dorme,si lamenta,freme per finalmente vedere i titoli di coda, io godo come il peggiore dei maiali che vede le loro aspettative infrangersi.
Tarantino ci ha viziati tutti con i suoi magheggi di violenza e di trame super emozionanti, ma stavolta l'intimismo è padrone di questo fantastico film che merita più di una visione. Il 1969 è perfetto ogni cosa al suo posto, la selezione musicale commovente e gli attori al top. Non è un film che crea aspettative è un flusso magico e maliconico che ci trasporta fino al desiderio che le cose siano potute andate meglio per tutti. Ci vuole empatia per il cinema per ricevere soddisfazione da un'opera con così tanto amore e passione.
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La sala dorme,si lamenta,freme per finalmente vedere i titoli di coda, io godo come il peggiore dei maiali che vede le loro aspettative infrangersi.
Tarantino ci ha viziati tutti con i suoi magheggi di violenza e di trame super emozionanti, ma stavolta l'intimismo è padrone di questo fantastico film che merita più di una visione. Il 1969 è perfetto ogni cosa al suo posto, la selezione musicale commovente e gli attori al top. Non è un film che crea aspettative è un flusso magico e maliconico che ci trasporta fino al desiderio che le cose siano potute andate meglio per tutti. Ci vuole empatia per il cinema per ricevere soddisfazione da un'opera con così tanto amore e passione. Questo non è filmetto per passare 2 ore, è una gigantesca favola farcita di sottotesto... e se non vi è piaciuto, posso scommetterci le dita dei piedi che non avete compreso a fondo i precedenti lavori.
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giorgio postiglione giorpost
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lunedì 7 ottobre 2019
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tarantino rivede a suo modo gli anni '60 di hollywood e abbatte la quarta parete come truffaut con un "effetto notte" molto spettacolare
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Febbraio 1969, Los Angeles: Rick Dalton è una star della TV anni '50 che non riesce a sfondare sul grande schermo, salvo piccoli ruoli da cattivo in pellicole d'azione; va in giro da un decennio con l'inseparabile Cliff Booth, sua controfigura ufficiale, autista personale e migliore amico, ubriacandosi, fumando e perdendo sempre più fiducia in se stesso. In una Hollywood che va sempre più trasformandosi culturalmente e nella quale si da sempre più spazio a registi e star d'oltreoceano -soprattutto europei- Rick vede scivolare via il sogno di diventare un divo; a seguito di una chiacchierata con il manager Schwarzs (e dopo aver riconquistato sicurezza recitando nel pilota della nuova serie Lancer) è costretto, suo malgrado, ad accettare la proposta di recarsi a Roma per partecipare ad una manciata di western movie, altrimenti detti spaghetti-western, e spy-story all'italiana, unico modo per rilanciare una carriera destinata a sicura decadenza.
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Febbraio 1969, Los Angeles: Rick Dalton è una star della TV anni '50 che non riesce a sfondare sul grande schermo, salvo piccoli ruoli da cattivo in pellicole d'azione; va in giro da un decennio con l'inseparabile Cliff Booth, sua controfigura ufficiale, autista personale e migliore amico, ubriacandosi, fumando e perdendo sempre più fiducia in se stesso. In una Hollywood che va sempre più trasformandosi culturalmente e nella quale si da sempre più spazio a registi e star d'oltreoceano -soprattutto europei- Rick vede scivolare via il sogno di diventare un divo; a seguito di una chiacchierata con il manager Schwarzs (e dopo aver riconquistato sicurezza recitando nel pilota della nuova serie Lancer) è costretto, suo malgrado, ad accettare la proposta di recarsi a Roma per partecipare ad una manciata di western movie, altrimenti detti spaghetti-western, e spy-story all'italiana, unico modo per rilanciare una carriera destinata a sicura decadenza. E mentre in California si organizzano feste in mega-ville di imprenditori dell'editoria erotica e le hippie adolescenti fanno l'autostop per adescare nuovi amanti e adepti (per iniziarli alla setta della Manson Family), Dalton si rende conto che non può più mantenere il suo tenore di vita, a partire dal fidato galoppino tuttofare Cliff e soprattutto la lussuosissima villa "su Beverly", confinante proprio con quella di Roman Polanski e la bella moglie Sharon Tate...
Tarantino torna alle origini, torna a Los Angeles e torna ad essere finalmente ispirato. Il suo nono film, C'era una volta a... Hollywood, ci riconsegna un autore nuovamente dotato di quella brillantezza parzialmente accantonata; l'opera, che per i suoi standard si svolge attraverso un orizzonte temporale insolitamente lineare, è idealmente suddivisa in tre blocchi, risultando al tempo stesso un dramma sull'incapacità umana nel sapersi reinventare (nella prima parte), una commedia delle citazioni (in quella centrale) e uno splatter movie con spolverata di thriller, nel concitato e psichedelico finale. Il regista americano ci delizia con delle trovate molto interessanti, degne del miglior Scorsese, se pensiamo alla straordinaria sequenza di Leonardo DiCaprio alle prese con i ciak della nuova produzione a cui prende parte (spronato da un'attrice bambina che ricorda la Fanning, autocitazione straordinaria) oppure quando seguiamo Sharon Tate in giro per L.A. tra shopping e sale cinematografiche nelle quali entra senza pagare per verificare le reazioni del pubblico alla sua interpretazione (vera) in una pellicola con Dean Martin, o ancora lo stuntman Cliff Booth alle prese con la "comune" hippie in un ranch apparentemente abbandonato. Si sprecano gli omaggi, a partire dal titolo stesso, chiaro riferimento a Sergio Leone, ma anche a Steve McQueen, presente come personaggio (interpretato dal somigliante Damian Lewis in un cameo) ma anche in qualità di attore che ipoteticamente rinuncia all'ultimo momento al ruolo di protagonista nel leggendario La grande fuga e sostituito (in una sorta di sogno lucido) da Rick Dalton-DiCaprio in una imperdibile ed esilarante sequenza... Mister Tarantino, come è già noto, ama da sempre il Cinema, si nutre di esso, specie quello italiano, compresi i B-movies e i registi di culto di quegli anni, a cominciare dal grande Sergio Corbucci e finendo con quel filone cinematografico che partorì Bud Spencer e Terence Hill. Senza più i vincoli di Weinstein Tarantino ha le mani libere, e si vede: si diverte a citare, omaggiare, mettere in scena gigantografie tipiche del tempo (una di queste ritrae un ibrido tra i due divi DiCaprio e Pitt) con un'attenzione maniacale al periodo, soprattutto negli abiti, nelle pettinature, nelle automobili e nell'immancabile feticismo per i piedi di donna, "patologia" nata proprio in quel decennio. Magari stavolta i dialoghi risultano meno freschi e veloci del passato, questo si, ma sono più ipnotici: difficile, infatti, distogliere l'attenzione dai duelli verbali che Brad Pitt (a mio avviso finalmente utile alla causa) intrattiene con l'inquietante Dakota Fanning prima e con il "vero" Bruce Lee, poi. Quest'ultimo, tuttavia, viene dipinto in maniera sorprendentemente oltraggiosa, facendolo passare per arrogante e saccente: proprio da quel cineasta che ha sempre dichiarato di amare la star di Hong Kong (citato e copiato nello strepitoso Kill Bill - volume 1) in molti non ci saremmo aspettati un trattamento del genere, unica vera nota stonata del film che, tra l'altro, vede diverse comparse di attori legatissimi al regista come gli onnipresenti Michael Madsen e Kurt Russel (che "cede" il ruolo dello stuntman a Pitt) il quale, verso la fine, prende anche il timone della narrazione. Ma Tarantino ci ha anche abituati ai finali alternativi, e allora dopo la "sua" versione della fine del Nazismo e una sua personale visione vendicativa dello schiavismo americano, non poteva mancare un pensiero per la strage di Cielo Drive, residenza di Polanski che fu teatro del massacro di 5 persone (compresa la succitata attrice australiana) da parte di 3 folli seguaci di Charles Manson: senza eccessivi spoiler, va detto che è nettamente preferibile il finale secondo Quentin. Il cineasta di origini italiane mette sul tappeto anche un'altra corrente cinematografica a lui molto cara, la Nouvelle Vogue: impossibile non pensare al Truffaut di Effetto Notte durante le scene di "cinema nel cinema" allorquando, abbattendo la quarta parete, assistiamo ad un bravissimo DiCaprio guidato magistralmente dalla troupe di Lancer. Lasciatemi dire che è stato bello, per non dire emozionante, assistere alla (seppur breve) ultima prova di Luke Perry, prematuramente scomparso pochi mesi fa, star televisiva degli anni '90 che non ha avuto molta fortuna sul grande schermo, proprio come Rick Dalton. C'era una volta a... Hollywood è un film che resterà nella memoria, che non raggiunge l'apice di Pulp Fiction ma che si colloca tra i lavori più profondi e riusciti di Quentin Tarantino. Voto: 8,5
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dandy
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giovedì 4 marzo 2021
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tarantino nel ''69.
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Come sempre anche sceneggiatore,Tarantino racconta quella Hollywood che si è perso,dalla parte dei reietti dell'epoca delle serie tv del decennio precedente costretti ai "compromessi" del cinema europeo o della tv in rapida ascesa,e sullo sfondo dell'incombente vicenda di Charles Manson e Sharon Tate.Scegliendo nuovamente di modificare la Storia come in "Bastardi senza gloria",ma buttandosi nel citazionismo più sfrenato si avvicina assai più a "Grindhouse".Praticamente ogni inquadratura presenta una citazione tra poster,nomi,titoli,canzoni e serie(tra le altre cose si spazia dal western allo spaghetti western al bellico allo spionistico e si citano Steve MacQueen,Sam Wanamaker,Bruce Lee,Sergio Corbucci e Antonio Margheriti e c'è la rituale comparsa delle sigarette Red Apple,nello spot con dalton sui titoli di coda).
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Come sempre anche sceneggiatore,Tarantino racconta quella Hollywood che si è perso,dalla parte dei reietti dell'epoca delle serie tv del decennio precedente costretti ai "compromessi" del cinema europeo o della tv in rapida ascesa,e sullo sfondo dell'incombente vicenda di Charles Manson e Sharon Tate.Scegliendo nuovamente di modificare la Storia come in "Bastardi senza gloria",ma buttandosi nel citazionismo più sfrenato si avvicina assai più a "Grindhouse".Praticamente ogni inquadratura presenta una citazione tra poster,nomi,titoli,canzoni e serie(tra le altre cose si spazia dal western allo spaghetti western al bellico allo spionistico e si citano Steve MacQueen,Sam Wanamaker,Bruce Lee,Sergio Corbucci e Antonio Margheriti e c'è la rituale comparsa delle sigarette Red Apple,nello spot con dalton sui titoli di coda).E Sharon Tate rivede se stessa nei film "Missione compiuta stop.Bacioni Matt Helm" e "La valle delle bambole".Ma dietro tutto questo si avverte la mancanza di vera ispirazione per non dire di una solida ragion d'essere per scomodare uno dei più famigerati fatti di cronaca nera dell'America.Il film infatti non fa che divagare sulle gesta dei due protagonisti lasciando ai marigini sia i bersagli di Manson che lo stesso Manson(in scena per una trentina di secondi in tutto il film) e i suoi seguaci fino all'ultima mezz'ora.Gesta che ribadiscono in modo piuttosto scontato l'elogio dell'amicizia e dei perdenti che si riscattano,Cliff in primis visto che alla fine è solo merito suo se Rick avrà una svolta nella carriera e la tragedia verrà scongiurata.Se il cast sulla carta è promettente,DiCaprio e Pitt non sembrano proprio entusiasti assieme,e Pacino è imperdonabilmente relegato a un paio di sequenze.Escludendo qualcosa qua e là(il discorso tra Rick e la ragazzina sul set di "Lancers",lo scambio di battute tra Cliff e Pussycat e poi con il vecchio George Spahn,la discussione dei seguaci di Manson sul ruolo che Rick e la tv hanno avuto nella loro crescita e la decisione di ucciderlo)anche i dialoghi non sono granchè e pure le sequenze divertenti(Cliff che pesta l'hippy allo Spahn Ranch,il truculento scontro finale)o memorabili(la Tate che si entusiasma al cinema sentendo gli spettatori applaudire per le sequenze in cui appare,l'ultima rispresa dall'alto)sono poche.E la riduzione a macchietta di Bruce Lee(che ha scatenato le proteste della figlia dell'attore)è di pessimo gusto.Ma il vero punto debole del film è la svolta finale:se in "Bastardi senza gloria" il cambiamento del reale era spiazzante e geniale,qui sa di ripetizione e sa di mancanza di buon gusto,da parte di un Tarantino che pare credere ciecamente di poter giustificare il tutto con la propria imponente passione cinefila ed ottenere adorazione assoluta dal pubblico qualsiasi cosa giri.Infatti,il successo è stato notevole in tutto il mondo.10 nominations e 2 Oscar:Pitt(il suo primo) e scenografia.Ultima apparizione per Luke Perry.Il ruolo di Dern sarebbe dovuto andare a Burt Reynolds,scomparso poco prima dell'inizio delle riprese.Michael Madsen fa un cammeo nel ruolo dello Sceriffo Hacket.Kurt Russell è Randy Miller e fa da voce narrante.Harley Quinn Smith è Froggie.
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frank bernardi
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martedì 24 settembre 2019
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tarantino narratore lineare? non del tutto...
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E' evidente, da alcuni commenti, come si pretenda da un autore noto sempre lo stesso film all'infinito. Così la "tarantinità", quando sembra emergere di meno, è l'elemento di cui si inizia a sentire la mancanza. E invece il grende regista spiazza un po' tutti, mixando in questa sorta di novella per immagini, reperti del passato e citazioni, ma anche prendendosi la libertà di abbandonare le solite scatole cinesi che vanno indietro e magari avanti nel tempo. Dunque, gli appossionati del flashback alla Tarantino rimarranno vagamente delusi: qualche rapido spostamento di tempi e luoghi ogni tanto si percepisce, ma la trama è fondamentalmente lineare, collocata - fatto salvo l'inserto di Di Caprio che va a fare lo spaghetti western in Italia - in tempi dilatatissimi.
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E' evidente, da alcuni commenti, come si pretenda da un autore noto sempre lo stesso film all'infinito. Così la "tarantinità", quando sembra emergere di meno, è l'elemento di cui si inizia a sentire la mancanza. E invece il grende regista spiazza un po' tutti, mixando in questa sorta di novella per immagini, reperti del passato e citazioni, ma anche prendendosi la libertà di abbandonare le solite scatole cinesi che vanno indietro e magari avanti nel tempo. Dunque, gli appossionati del flashback alla Tarantino rimarranno vagamente delusi: qualche rapido spostamento di tempi e luoghi ogni tanto si percepisce, ma la trama è fondamentalmente lineare, collocata - fatto salvo l'inserto di Di Caprio che va a fare lo spaghetti western in Italia - in tempi dilatatissimi. Si narrano due - tre giorni di vita sul set e fuori da esso, ove apparentemente nulla accade, se non la messinscena delle depressioni di Di Caprio, la descrizione non scevra da ambiguità - vedi flashback - della sua controfigura/badante, lo straordinario Brad Pitt, che gareggia in bravura con tutti in un cast comunque stellare e sapientemente graduato: c'è un Al Pacino ridotto a caratterista di lusso, il grande Bruce Dern, che fa la parte di un cieco soggiogato dalla banda di hippies sanguinari di Manson, e tanti altri visi tarantiniani e non, più o meno sfruttati dal regista secondo le sue esigenze. Nulla, in questo film che è un'opera d'autore e non un pastone commerciale dalla indistinguibile regia, sfugge all'occhio unico del suo sceneggiatore e regista: ripeto, quasi un racconto lungo, fondamentalmente giocato su due tronconi irregolari che alla fine si saldano. La Hollywwod anni Sessanta, di feste, piscine, gente famosa e gente sfigata, che è la veste esterna, ovviamente strepitosamente offerta al nostro occhio. Al di sotto l'idea che qualche emozione possa anche avere spazio: una Sharon Tate che pretende di essere riconosciuta come diva da una cassiera, entra al cinema senza pagare e si gode la proiezioni di un film di cui è interprete (con arti marziali orientali incluse, maestro Bruce Lee, quello stesso che la controfigura Pitt scaraventa contro una macchina rimettendoci il posto). Poi cala la notte, si giunge al finale splatter, dove le citazioni si sprecano. Il Dario Argento di Profondo Rosso e quello di Suspiria nel descrivere l'orrida fine dei mansoniani (qui dei veri balordi dilettanti un poco invasati) dilaniati da un cane, massacrati contro un muro o bruciati dal lanciafiamme di Di Caprio (doppia citazione, dal film stesso e da Bastardi senza gloria). Tutto a posto, dunque? Si fa per dire: la storia è rovesciata e riscritta, e la pace riconquistata ha qualcosa di metacinematografico, in quanto Pitt, l'eroe perdente e generoso (sotto acido) rimanda agli uomini tutti d'un pezzo della propaganda Usa più classica. Quasi limpida la lettura, parrebbe, allora: c'è chi si impegna senza ricompensa a salvare il benessere lussuoso di divi grandi e piccoli, ma anche, ed è certo peggio, chi viene sbattuto in una guerra lontanissima e ci rimette la vita per mantenere grandi gli Usa. Ma niente retorica: Tarantino è troppo sottile per mettersi a fare il moralista con mezzo secolo di ritardo; alla fine il Di Caprio in crisi forse soggiacerà all'illusione di avere una parte migliore tramite Sharon Tate, salvata dalla morte grazie alla riscrittura della storia. I cancelli delle ville di lusso (in realtà assai penetrabili) si chiudono al mondo di fuori e un nuovo party avrà inzio. Tutti gli altri stanno lì a immaginare: compreso il regista - che spegne il film celandoci la sorte di Di Caprio - e noi spettatori, tratti in salvo da questo lavoro di eccellenza visiva assoluta e mai omologato alla moda hollywoodiana odiena. Appunto, C'era una volta Hollywood.
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[+] film all'infinito
(di michele voss)
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lucio di loreto
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venerdì 4 ottobre 2019
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un’altro tassello verso il mito
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Epoca 1969. Rick Dalton e Cliff Booth, attore spesso cattivo coprotagonista e stuntman nonché suo portaborse, sono amici inseparabili nella vecchia Hollywood. Due facce della stessa medaglia, pure se l’uno vive nelle colline di lusso e l’altro imboscato un po' ovunque; entrambi quasi accantonati dal mainstream cinematografico e vicini al baratro e all’affondo comune. Nessuna simulazione di forza dunque per il nuovo Tarantino, ma solo depressione, frustrazione e desolazione, da sfogare in pianti e alcool per il primo, allorquando gli comunicano che per riemergere e stare a galla deve emigrare nei B movie italiani o in momenti confidenziali durante i numerosi set, anche al cospetto di colleghe bambine.
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Epoca 1969. Rick Dalton e Cliff Booth, attore spesso cattivo coprotagonista e stuntman nonché suo portaborse, sono amici inseparabili nella vecchia Hollywood. Due facce della stessa medaglia, pure se l’uno vive nelle colline di lusso e l’altro imboscato un po' ovunque; entrambi quasi accantonati dal mainstream cinematografico e vicini al baratro e all’affondo comune. Nessuna simulazione di forza dunque per il nuovo Tarantino, ma solo depressione, frustrazione e desolazione, da sfogare in pianti e alcool per il primo, allorquando gli comunicano che per riemergere e stare a galla deve emigrare nei B movie italiani o in momenti confidenziali durante i numerosi set, anche al cospetto di colleghe bambine. Il secondo lo scarrozza ovunque sistemandogli casa, antenna e macchina, al prezzo della sopravvivenza. Sullo sfondo le vicissitudini di allora, le feste, la droga e di contorno la “famiglia” Charles Manson, insieme al nuovo vicino e regista polacco con la sua bella moglie novella attrice. Tutto qua il nuovo film di Tarantino, che però ambisce all’elite grazie alla storica abilità di girovagare attorno ad un semplice soggetto, miscugliando tutto e di più: generi diversi, montaggio azzeccato, lunghe frasi e climax, primi piani, rivisitazione degli eventi e tanti colpi ad effetto che ne hanno fatto un’icona. Anche qui, come in passato, c’è una scrittura che fa discutere puristi e bigotti, in particolare sulla durata e il cambio degli accadimenti reali. Il voler però allungare il brodo della pellicola è il risultato costante di tutta la filmografia di Tarantino, nella quale i dialoghi la fanno da padrone. E anche qui non deludono, pure se facilitati da un tris d’assi al maschile ai quali il regista concede tre ruoli simili al passato che li hanno spinti nell’olimpo cinematografico. Di Caprio non ha rivali nell’urlare la sua recitazione, così come Pitt nell’ergersi a bello e misterioso, mentre il vecchio Al mantiene ghigno e grinta dei bei tempi. Chi risalta maggiormente è la Sharon Tate di Margot Robbie, alla quale Quentin cede per la prima volta una velatura romantica, apprezzata di rado in passato, incarnando la giovane voglia di esistere a chi invece il destino ha riservato un futuro terribile, impegnandola perciò più in sorrisi ed espressioni gioviali che in monologhi alla Uma Thurman! L’attrice dimostra ancor di più le enormi peculiarità che ne progrediscono a dismisura l’alone da stella, passando così dalla donna oggetto di “Wolf of Walt Street” alla diabolica Harley Quinn, dalla Tonya pronta a tutto per emergere fino alla spensieratezza di una ragazza che sbarca il lunario. I vecchi trucchi che lo hanno reso celebre sono tuttora presenti ed ognuno degli attori che passa sullo schermo ha così la sua occasione (Kurt Russel, Emile Hirsch, Timothy Olyphant o i camei di Michael Madsen e Damien Lewis/Steve McQueen), come aprire delle parentesi durante le scene, utilizzando frame ad hoc, oppure effettuare eccezionali doppi piani sequenza montati ad arte per unire due contesti differenti, tipo il rientro a casa dalle colline e l’istantanea uscita da una porta secondaria, o ancora il fotogramma di un manifesto usato come punto di inizio, svolgimento e conclusione di un periodo. Inoltre, girare vorticosamente la realtà dei fatti è da sempre il desiderio del regista, per chi non lo avesse ancora capito. Il suo scopo è ambire o ancor di più sognare di controbattere la violenza degli stolti e ottusi, di coloro che uccidono o compiono eccidi a ordinazione, con una veemenza e brutalità splatter addirittura superiore, tramite il proprio antieroe. Anche per costui Tarantino apporta una novità rispetto alle sceneggiature passate. Si va infatti dall’onesto infiltrato Mister Orange a caccia di rapinatori, dal killer misantropo schizzofrenico Richard Gecko ammazza vampiri, dalla vendicatrice Black Mamba tutta spade e kung fu, dall’istrionico anti nazista tenente Raine e da Django, prigioniero pronto a rivedere il concetto di schiavitù a Cliff Booth, underdog di professione e un ultimo della vita se ce ne è uno! E’ suo qui il ruolo predominante, il giustiziere che riscrive la storia della notte più calda di Hollywood, in modo simile ai suoi predecessori per impeto e durezza, ma diverso a livello caratteriale. Lo stuntman di Bradd Pitt, dal passato oscuro, obbedisce difatti al suo capo e implora piccole parti nei set, è silenzioso all’ennesima potenza, è psicologicamente chiuso e imperscrutabile e vive di stenti in una roulotte, con l’unico affetto in Brandy, femmina di pitbull, ma nei momenti del bisogno, tira fuori una tempra che cambia le carte in tavola e permette al regista di ottenere ancora una volta la sua soddisfazione: liberarsi dell’accaduto fantasticando ad occhi aperti! D’altronde è la bellezza del cinema o di alcuni suoi generi e aspetti, quello da parte del direttore e scrittore di rivedere a modo proprio il copione di una storia avvenuta in modo opposto, tanto da far divenire ebrei, schiavi e oppressi vendicatori di se stessi. Non importa cosa abbia fatto il cattivo per essere tale, diventa semplicemente il nemico su cui Tarantino esplode tutta la sua ira. L’odio di Quentin su chi compie stragi in maniera non personale e autonoma, senza un briciolo di auto convinzione ma obbedendo semplicemente a chi in alto è una colpa da punire a tutti i costi. Questo è lui, violento e veemente come non mai, amante quasi morboso e malato nel trasformare in via truculenta la vittima in carnefice: prendere o lasciare. E se andare contro il nazismo, la schiavitù, i ladri o il parricidio è ideale comune, stavolta saranno gli hippie a patire la sua furia; prendendo spunto dalla setta di Manson, subiranno infatti ogni epiteto e verranno raffigurati come movimento composto solo da sbandati, sporchi e drogati, privi di cultura sociale, minorenni dai facili costumi, senza intelletto nonché ladri di proprietà. La lunghezza della pellicola, perciò, rispecchia tutti i mantra che hanno fatto di Tarantino un punto di riferimento del cinema, differenziandolo dagli altri grandi del passato o contemporanei. Il tutto aiutato da una magnifica fotografia accesa, che fa così splendere un’epoca alla quale egli è evidentemente attratto. Il film potrà anche aver fatto qualche passo indietro, con maggiori conferme e poche novità, ma è stato utile per avvicinare ancor di più Quentin verso l’immortalità!
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roberta ricci
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mercoledì 11 agosto 2021
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tarantino e la falsificazione della storia
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Arrivo tardi , ma finalmente sono riuscita a vedere il film . All'epoca in cui si svolsero i fatti ero piccola ma c'ero , ricordo come un pugno in faccia la morte , in seguito alla strage ispirata al condizionamento di Manson della bellissima Sharon Tate in procinto di partorire e della cerchia degli amici che le facevano compagnia quella notte . Quelle morti posero molte domande sulla personalità degli assassini che irruppero nella casa quella notte e che fecero la strage . La ricostruzione di Tarantino non segue la storia com'è stata, millanta addirittura che non sia successo niente. Mentre sappiamo tutti che non è vero. Cambiare le carte in tavola della storia anche se sei Tarantino non può essere, si falsificano i fatti e alla fine si convive con una opinione che in quella notte di strage non sia successo niente.
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Arrivo tardi , ma finalmente sono riuscita a vedere il film . All'epoca in cui si svolsero i fatti ero piccola ma c'ero , ricordo come un pugno in faccia la morte , in seguito alla strage ispirata al condizionamento di Manson della bellissima Sharon Tate in procinto di partorire e della cerchia degli amici che le facevano compagnia quella notte . Quelle morti posero molte domande sulla personalità degli assassini che irruppero nella casa quella notte e che fecero la strage . La ricostruzione di Tarantino non segue la storia com'è stata, millanta addirittura che non sia successo niente. Mentre sappiamo tutti che non è vero. Cambiare le carte in tavola della storia anche se sei Tarantino non può essere, si falsificano i fatti e alla fine si convive con una opinione che in quella notte di strage non sia successo niente. Roman Polanski tramite la moglie, l'attrice Emmanuelle Seigner aveva fatto sapere che Polanski, parte lesa, in questo film, non avesse gradito. Costumi e ambientazioni sono eccellenti, gli attori perfetti come sempre, ed è realistica anche la costruzione del ranch dove vivono gli hippy eTarantino apre un dubbio sulla pacificità del movimento . Personalmente non dimentico la strage di quella notte e non condivido il rimaneggiarla storicamente , e sono sempre dalla parte di Polanski e del suo dolore . Mi dispiace Quentin .
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fabrizio friuli
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lunedì 14 febbraio 2022
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l'' ambiente è perfetto ma il film no
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Rick Dalton e Cliff Booth sono due grandi amici e due celebrità decadute che tentano di rinascere dalle ceneri nel mondo di Hollywood durante l' anno 1969 , inoltre, per Cliff Booth risulta ancora più difficile l'inserimento dato che viene accusato di essere l'assassino di sua moglie e poi ha perfino avuto un battibecco con una celebrità conosciuta come Bruce Lee , e nel frattempo, una setta di Hippie ha in mente di compiere un agguato per assassinare delle celebrità, tra cui la leggendaria Sharon Tate.
Once Upon a Time in Hollywood vanta un casting attoriale di prim'ordine, essendo presenti attori del calibro di Leonardo Di Caprio , Brad Pitt e Margot Robbie che interpreta Margot Robbie e lei è stata una scelta eccellente, non solo perché le dive hanno lo stesso tipo di bellezza , ma anche perché l' attrice Nargot Robbie è capace di sbalordire tutti gli spettatori pur apparendo in un numero limitato di scene, ed il regista è il solo e unico Quentin Tarantino, che ha generato un film non perfetto , ma un film che vanta un' ambientazione assemblata in ma ieri impeccabile, infatti quando viene visionato il lungometraggio, è come trovarsi nella vera Hollywood dell'anno 1969 , ma per quale motivo il film non risulta essere perfetto , perché l'inizio del film risulta essere scarsamente scorrevole e il conflitto finale con gli scellerati membri della setta di Charles Munson poteva essere realizzato in modo diverso, nonostante il regista abbia deciso di far concludere la vicenda in maniera positiva, evitando che Sharon Tate e gli altri venissero assassinati in modo atroce , cosa che nella realtà purtroppo non è successo e Sharon Tate ha perso anche il bambino che portava in grembo ( nella realtà), esclusi questi dettagli, la sceneggiatura del film è ottima, i costumi sono ben realizzati ed anche l' attore che impersonato l'iconico Bruce Lee ha dimostrato delle notevoli doti recitative , anche se probabilmente, hanno reso la celebrità, eccessivamente pomposa.
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Rick Dalton e Cliff Booth sono due grandi amici e due celebrità decadute che tentano di rinascere dalle ceneri nel mondo di Hollywood durante l' anno 1969 , inoltre, per Cliff Booth risulta ancora più difficile l'inserimento dato che viene accusato di essere l'assassino di sua moglie e poi ha perfino avuto un battibecco con una celebrità conosciuta come Bruce Lee , e nel frattempo, una setta di Hippie ha in mente di compiere un agguato per assassinare delle celebrità, tra cui la leggendaria Sharon Tate.
Once Upon a Time in Hollywood vanta un casting attoriale di prim'ordine, essendo presenti attori del calibro di Leonardo Di Caprio , Brad Pitt e Margot Robbie che interpreta Margot Robbie e lei è stata una scelta eccellente, non solo perché le dive hanno lo stesso tipo di bellezza , ma anche perché l' attrice Nargot Robbie è capace di sbalordire tutti gli spettatori pur apparendo in un numero limitato di scene, ed il regista è il solo e unico Quentin Tarantino, che ha generato un film non perfetto , ma un film che vanta un' ambientazione assemblata in ma ieri impeccabile, infatti quando viene visionato il lungometraggio, è come trovarsi nella vera Hollywood dell'anno 1969 , ma per quale motivo il film non risulta essere perfetto , perché l'inizio del film risulta essere scarsamente scorrevole e il conflitto finale con gli scellerati membri della setta di Charles Munson poteva essere realizzato in modo diverso, nonostante il regista abbia deciso di far concludere la vicenda in maniera positiva, evitando che Sharon Tate e gli altri venissero assassinati in modo atroce , cosa che nella realtà purtroppo non è successo e Sharon Tate ha perso anche il bambino che portava in grembo ( nella realtà), esclusi questi dettagli, la sceneggiatura del film è ottima, i costumi sono ben realizzati ed anche l' attore che impersonato l'iconico Bruce Lee ha dimostrato delle notevoli doti recitative , anche se probabilmente, hanno reso la celebrità, eccessivamente pomposa. Tra gli attori presenti , è possibile notare anche il leggendario Al Pacino , un tale che lavora nell' ambito cinematografico e che ammette di essere un grande fan di Rick Dalton , e di amare i suoi film , interloquendo anche di un lungometraggio inncui utilizza un lanciafiamme per uccidere dei nazisti , e quel lanciafiamme utilizzato da Rick Dalton ( Leonardo Di Caprio ) non è un oggetto di scena , è un vero lanciafiamme e viene utilizzato nuovamente da Leonardo Di Caprio durante lo scontro finale. Magari questo film potrà non essere amato da tutti, però merita di essere visionato dall'inizio alla fine almeno una volta per poter restare ammaliati da come è stato realizzato l' anno in cui si verifica la vicenda, ed anche per conoscere il delitto organizzato dall'infido Charles Manson.
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