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Lazzaro felice: la fine del sacro nella nostra cultura?

Alice Rohrwacher costruisce un'opera spiazzante, grazie anche al sapiente uso dell'ironia.
di Roy Menarini

Lazzaro Felice

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Adriano Tardiolo 1998, Terni (Italia). Interpreta Lazzaro nel film di Alice Rohrwacher Lazzaro Felice.
domenica 3 giugno 2018 - Focus

Non sarà Lazzaro felice (guarda la video recensione) a ricomporre la faglia che permane tra grande pubblico e cinema d'autore, o tra sostenitori del nuovo realismo e critici che vorrebbero film più attenti al gusto degli spettatori. Nulla di male, Alice Rohrwacher difende orgogliosamente il proprio linguaggio, e non rimane certo inascoltata, visti i premi che continua a mietere e la recente Palma per la miglior sceneggiatura ottenuta a Cannes 2018.
Certo, rimane qualche perplessità di fronte a scelte così divaganti e talvolta a rischio di pamphlet contro la contemporaneità, da cui pare essere attraversato Lazzaro felice, ma poi le intuizioni che spiazzano ogni volta mettono al riparo l'opera dalle cadute più vistose, anche grazie a un uso molto sapiente dell'ironia e talvolta del comico.

Lazzaro è senza dubbio un puro, uno dei personaggi ingenui e inclassificabili del cinema italiano.
Roy Menarini

Nella nostra storia, il puro è stato spesso messo in scena, per esempio da Pier Paolo Pasolini, che li cercava nel sotto proletariato o che rovesciava figure sacre (come il Cristo di Il Vangelo secondo Matteo) per riportarne la figura dentro i confini della cultura folclorica ed etnica. Diverso il caso del ragazzo ingenuo e a contatto con le culture contadine, caro certamente a Ermanno Olmi (cui Lazzaro felice è stato spesso avvicinato, forse non sempre per buone ragioni) e di più al primo Pupi Avati, che ci sembra più pertinente come orizzonte almeno nella parte iniziale del lavoro di Alice Rohrwacher.
Il puro, però, nel cinema italiano (pensiamo anche al Francesco giullare di Dio di Rossellini) è stato un mezzo per raggiungere due risultati contrapposti: avvicinare alla comprensione popolare un sentimento religioso, magari vago e misterioso, ma portatore di sensibilità ed empatia. Oppure per far saltare la gabbia ideologica della classe borghese, e qui torniamo a Pasolini (Teorema) o, per rimanere in area, a Sergio Citti, che pare davvero l'influenza più forte della seconda parte, quella urbana, di Lazzaro felice.


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In foto una scena tratta da Lazzaro felice.
In foto Adriano Tardiolo (Lazzaro) in una scena tratta da Lazzaro felice.
In foto una scena tratta da Lazzaro felice.

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