Titolo originale | The End of the F***ing World |
Anno | 2017 |
Genere | Commedia, Drammatico |
Produzione | Gran Bretagna |
Durata | 21 minuti |
Regia di | Jonathan Entwistle, Lucy Tcherniak |
Attori | Jessica Barden, Alex Lawther, Steve Oram, Jayda Mitchell, Wunmi Mosaku Gemma Whelan, Christine Bottomley, Navin Chowdhry, Polly Kemp. |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
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Ultimo aggiornamento venerdì 17 aprile 2020
Due giovani alla ricerca di emozioni intraprendono un viaggio insieme.
CONSIGLIATO N.D.
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Alyssa e James hanno 17 anni e un discreto numero di problemi psicologici e familiari. Lui ha un debole per l'omicidio e dopo una serie di animali massacrati vorrebbe tentare il colpo grosso sopprimendo lei, così accetta di fidanzarcisi in attesa del momento giusto per farla fuori. Lei odia sua madre e lo convince a rubare l'auto del padre per scappare via da tutto. Da lì si uniranno in una fuga rocambolesca, piena di macabri imprevisti, in cui i due inguaribili sociopatici impareranno a conoscersi, condividere emozioni soprattutto negative, raccontarsi incubi e memorie del passato e provare a proteggersi a vicenda. Anche da loro stessi.
Una stagione più dark e meno ironica della precedente, che rimane indecisa sul genere da adottare e si risolleva solo alla fine
Recensione
di Claudia Catalli
Bonnie è una ragazza introversa, problematica, infelice. L'incontro con un professore narcisista le cambierà la vita e, per un motivo ben preciso, si metterà a caccia di una ragazza, assetata di vendetta. La persona in questione è Alyssa, a sua volta alle prese con una vita complicata e un matrimonio da gestire.
Squadra che vince non si cambia, ed ecco che lo scrittore inglese Charlie Covell rimette la sua penna caustica e pungente al servizio della sceneggiatura della seconda stagione di The End of the F***ing World, ispirata all'omonima serie di fumetti di Charles Forsman.
Anche la firma delle canzoni originali e della colonna sonora è nuovamente di Graham Coxon. E ovviamente la protagonista è sempre Jessica Barden, nei panni della detestabile quanto deliziosa Alyssa, ragazza nervosa e irritante, ma sincera. La sua vita si è complicata parecchio, rispetto all'ultima serie, a partire dal secondo episodio capiremo nel dettaglio cosa stia accadendo alla sua vita. Ha la stessa madre insopportabile e così diversa da lei, lo stesso disagio nei confronti della vita, lo stesso male di vivere, ma, forse, un nuovo amore. La vedremo indossare l'abito da sposa, e rincontrare - meglio non svelare come, né perché - il "suo" James decisamente cambiato, anche lui di ritorno da una serie di eventi più che sfortunati.
Insieme incontreranno quella che è la nuova protagonista della seconda stagione e di tutto il primo episodio, la new entry Bonnie, interpretata dalla vincitrice del premio BIFA Naomi Ackie, già vista in Lady Macbeth e Star Wars: Episodio IX. È una donna infelice, interrotta: mai compresa e amata veramente, cerca ad ogni costo vendetta e riscatto in modi discutibili e improbabili, e si avvierà insieme a Alyssa e James in un improbabile viaggio on the road dove, come nella prima serie, l'ombra di un assassinio aleggia costante. Da non perdere il quarto episodio, in cui tutto si movimenta e accade, e il quinto che apre al blocco finale gettando una scure di minaccia e pericolo sui protagonisti.
L'atmosfera è più dark e meno ironica rispetto alla prima stagione. C'è dentro più attualità, su tutti il tema delle molestie sulle donne, ma si fa sentire la mancanza di quel tocco di ironia e autoironia che aveva saputo convincere in precedenza. Le registe inglesi Lucy Forbes e Destiny Ekaragha si addentrano nella loro "revenge-road-serie", firmando qualcosa che è, appunto, a metà tra un road-movie e un revenge-movie con un tocco di splatter qua e là, citando a più riprese il cinema di Tarantino, ma dimenticano una buona dose di black humour, utile a stemperare la seriosa drammaticità di certe scene. Per fortuna nell'ultima puntata torna quel tono tra il romantico e il grottesco che colpiva nel segno già nella prima serie e che congeda il pubblico, ormai irrimediabilmente affezionato all'improbabile coppia di ragazzi disagiati, involontariamente criminali e altrettanto involontariamente innamorati.
Una black-comedy che riesce con poco a sorprendere, spaventare, sorridere, in una parola emozionare
Recensione
di Claudia Catalli
Alyssa e James hanno 17 anni e un discreto numero di problemi psicologici e familiari. Lui ha un debole per l'omicidio e dopo una serie di animali massacrati vorrebbe tentare il colpo grosso sopprimendo lei, così accetta di fidanzarcisi in attesa del momento giusto per farla fuori. Lei odia sua madre e lo convince a rubare l'auto del padre per scappare via da tutto. Da lì si uniranno in una fuga rocambolesca, piena di macabri imprevisti, in cui i due inguaribili sociopatici impareranno a conoscersi, condividere emozioni soprattutto negative, raccontarsi incubi e memorie del passato e provare a proteggersi a vicenda. Anche da loro stessi.
Superando ogni struttura tradizionale e lanciando con fierezza il formato della mini-serie (bastano venti minuti a colpire nel segno, insegna Netflix) The End of The Fu**ing world supera la melma del già visto, già sentito, già provato e riesce con poco a sorprendere, spaventare, sorridere, in una parola emozionare.
Otto episodi - perfetti anche per essere tracannati uno dopo l'altro, come fosse un grande film - in cui seguire le bizzarre avventure dei due solidi protagonisti (i ventenni Alex Lawther e Jessica Barden, di un talento sfacciato), scritte dalla penna sopraffina dell'autrice e attrice inglese Charlie Covell, a sua volta ispiratasi all'omonima graphic novel di Charles S. Forman (in Italia pubblicata da 001 edizioni). Due personaggi a cui è impossibile non affezionarsi. Un serial killer in erba che detesta il padre e ha ancora negli occhi il suicidio di sua madre, interpretato dall'Alan Turing ragazzo di Imitation Game (l'avete visto anche nell'episodio Shut Up and Dance di Black Mirror). Una biondina tutt'altro che angelica, con un linguaggio volgare e tagliente e un bel piglio decisionale, già vista nel visionario The Lobster e in Penny Dreadful. Sono la prova vivente che - come in Stranger Things - non servono star per firmare una serie di successo, bastano i volti giusti al posto giusto, due talenti non così noti eppure di una capacità espressiva sorprendente.
Il risultato è una black comedy difficile da dimenticare: antimoralista, antibuonista, allergica a ogni tentativo di retorica e didascalismo, con poco romanticismo, una gran dose di tagliente ironia e lo sguardo anticonvenzionale sull'adolescenza turbolenta di due ragazzi problematici decisi a provare a risolversi i problemi a modo loro. Due incorreggibili canaglie di cui è divertente seguire le (dis)avventure, tra un flashback su un trauma familiare e una scena di accoltellamento da splatter movie, in un gioco di generi irriverente che convince e spinge chi guarda a volerne ancora.