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Olivier Ayache-Vidal: «Credo nella scuola che istruisce senza giudicare»

Intervista al regista de Il professore cambia scuola, una commedia che restituisce fiducia agli allievi e coraggio agli insegnanti. Al cinema.
di Marzia Gandolfi

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giovedì 7 febbraio 2019 - Incontri

Ambientato nelle banlieue di Parigi, Il professore cambia scuola (guarda la video recensione) fa avanzare il dibattito sul sistema scolastico, che sovente fatica a compiere la sua missione. Soprattutto nelle periferie delle città dove Olivier Ayache-Vidal piazza la macchina da presa al termine di uno studio approfondito sul territorio. L'idea al cuore del film è di confrontare i figli nati dall'immigrazione con la tradizione classica francese. Il mediatore è un professore 'blasonato' trasferito da un prestigioso liceo parigino in una scuola delle banlieue per un suggerimento supponente e azzardato. Il suo metodo, dopo l'iniziale spiazzamento, è di restituire agli allievi la propria dignità, trovare dei metodi alternativi per interessarli alla letteratura, preferire la perseveranza alla sistematicità del consiglio di disciplina. A Roma per presentare il suo film davanti agli studenti e ai loro professori, Olivier Ayache-Vidal ci racconta la sua visione della scuola e dell'insegnante, cavalcando l'onda di un cinema popolare riconciliatorio. Perché qualche volta la volontà di un professore può conciliare 'grandi spiriti' e "grandi testoni".

Diversamente da molti film americani, nel suo gli studenti non diventano brillanti da un giorno all'altro, non ci sono progressioni spettacolari. Dunque è possibile evitare i cliché del genere?
È possibile osservando la realtà, facendo esperienza diretta sul territorio. Sono stato due anni nella scuola in cui ho girato e in cui la storia si svolge. La situazione nelle scuole e nelle classi qualche volta è così complessa che sarebbe idiota risolverla con una bacchetta magica. Non esiste magia, non esistono ricette, a contare, a fare la differenza sono soltanto la perseveranza e la pazienza degli insegnanti. Certo non è facile ma io credo che sia comunque possibile. È vero, i progressi dei miei allievi non sono spettacolari perché non è così che funzionano le cose, sono piuttosto delle piccole gocce d'acqua, il principio di un fiume che impiegherà del tempo a formarsi.

Negli ultimi anni nelle sale francesi sono usciti diversi film che hanno per oggetto la scuola, penso a Una volta nella vita, A voce alta - La forza della parola (guarda la video recensione), La classe - Entre les murs. Mi spiega questa urgenza?
Non so dire se sia un'urgenza ma certamente è una questione complessa e delicata che sta molto a cuore ai francesi. Non ho i dati alla mano per dire se effettivamente la questione interessi più i francesi che gli altri paesi del mondo. Io credo che la scuola sia un tema che preoccupi tutto il mondo. Non ho fatto degli studi a riguardo e non so perché la società francese avverta l'esigenza di rappresentare tanto spesso il sistema educativo, penso che sia qualcosa che viene da lontano, dalla scuola pubblica. Per rispondere correttamente a questa domanda dovrei fare uno studio comparato tra diversi paesi. Con certezza posso dire quello che ho verificato personalmente col mio film. Sono stato invitato recentemente al festival di Lecce, dove ho incontrato dei professori che mi dicevano che quella sullo schermo era proprio la loro vita, che le cose nella (loro) realtà andavano esattamente così. In Perù, in Nigeria e in tutti gli altri posti dove sono stato col mio film, mi hanno detto tutti la stessa cosa. Ci sono tanti professori che non sanno come approcciare un allievo difficile, come restituirgli il gusto di apprendere.
Per me la cosa più importante a scuola è che il professore riesca a interessare l'allievo, non dovrebbero essere gli allievi a preoccuparsi di questo ma i professori. La regola vale anche per un regista, non deve essere il pubblico a preoccuparsi del film ma il regista a interessarlo col suo film. Non è colpa dello spettatore e non è nemmeno colpa degli studenti se la relazione non funziona. Bisogna cambiare il punto di vista, gli insegnanti devono domandarsi come rendere interessante la propria materia. Come appassionare i ragazzi all'italiano, alla letteratura francese, alla lingua tedesca....


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In foto una scena del film.
In foto una scena del film.
In foto una scena del film.

Nel libro "Diario di scuola", Daniel Pennac sostiene che per un 'cattivo allievo' è una fortuna avere come professore un ex-somaro. Perché quel professore sa bene come si sente il suo allievo, avverte la sua frustrazione. Pennac ha ragione? Un professore può salvarti la vita?
Non ho letto il libro di Pennac ma nella vita qualche volta capita, capita la fortuna di incontrare un professore che te la cambi radicalmente. Riguardo a questo posso dirle che mi è capitato durante le riprese del mio film di ripensare al film di Laurent Cantet (La classe - Entre les murs), di cui apprezzo molto la regia e il côté realista ma affatto i contenuti. Il metodo del mio professore è l'esatto inverso di quello adottato da François Bégaudeau. Non sono affatto d'accordo col suo manuale didattico, lui è convinto che un professore non possa fare niente e che gli allievi siano stupidi punto. Assume insomma un atteggiamento di superiorità rispetto alla classe, nel film è lui la star, sembra sempre vantarsi, sembra quasi di sentirlo dire "sono troppo per voi, me ne vado", cosa che poi effettivamente fa nel film e ha ha fatto nella vita vera. François Bégaudeau non è più un professore, adesso fa lo scrittore, fa altre mille cose.
Non avevo coscienza di questo quando vidi La classe - Entre les murs la prima volta. Mi sono reso conto dello scarto mentre lavoravo al mio di film. Quando ho toccato con mano la realtà scolastica, ho capito che Bégaudeau aveva fallito come professore. Il mio professore si muove in direzione opposta alla sua perché io credo fortemente che il sistema si possa cambiare, che si possa fare tanto. Prima delle riprese ho incontrato e parlato con molti professori disposti a mettersi in discussione per il bene dell'allievo ed è esattamente questo che racconto. Lui invece si è messo su un piedistallo e il risultato è stato un film realista ma dal contenuto deprimente. Il segreto è la fiducia, se abbiamo fiducia in uno studente possiamo fare tutto, se gli concediamo la nostra fiducia l'allievo si dirà che può farlo. Io credo che ogni persona sia 'aperta', disponibile a fare ma qualche volta è necessario donargli una chiave, dargli una possibilità. Non a caso nel film di Cantet gli allievi sono contro Bégaudeau, non lo comprendono e questa incomprensione è la dimostrazione che è stato un 'cattivo maestro'.

Perché scegliere la finzione documentaria invece del documentario?
Perché volevo fare un film, amo i documentari ma volevo essere io a creare un mondo e poi a osservarlo. Ma potrei definire il mio film un incrocio tra fiction e documentario. Il trasferimento del mio professore dal centro di Parigi alle banlieue è naturalmente finzione, in Francia non puoi obbligare un insegnante a spostarsi, il resto del film volevo fosse invece realistico perché i professori non si sentissero traditi sullo schermo. E poi volevo che fosse un film divertente, che accadessero a scuola tante cose divertenti. Non ho scelto il dramma perché ce ne sono già troppi di film drammatici sull'argomento.

Perché ha scelto proprio Versailles per la gita scolastica? E perché la lettura di "I miserabili" in classe?
Perché Versailles è emblematica, perché è l'opposto e poi perché mi divertiva l'idea di far correre a perdifiato gli studenti lungo i corridoi di Luigi XIV, mescolare passato e presente. Il Re Sole non avrebbe mai potuto immaginare che un giorno un gruppo scalmanato di adolescenti avrebbe osato tanto. Victor Hugo invece l'ho scelto perché trovo ci sia una connessione forte tra i 'miserabili' di ieri e quelli di oggi, che sono certamente meno miserabili di quelli francesi del diciannovesimo secolo. Ma alla fine mi pare che i miserabili contemporanei vivano ugualmente una situazione difficile e condizioni difficili. Mi interessava scovare e raccontare questa simmetria.

La scuola è un argomento trattato sovente dal cinema. Quali sono i suoi indispensabili?
Mi è stata fatta spesso questa domanda ma non mi viene mai in mente un film preciso.

È difficile accordare un grande attore professionista come Denis Podalydès con giovani attori debuttanti?
No, è stato tutto molto divertente e spontaneo. Podalydès l'ho scelto per il suo talento ma soprattutto perché sapevo che il suo sogno nel cassetto era sempre stato quello di fare il professore, tra le altre cose ha anche studiato al liceo Henri IV. Podalydès si è preparato da solo mentre io ho fatto molte prove con gli allievi. Quando poi lui si è presentato in classe è stato davvero come se arrivasse in aula un nuovo docente, un insegnante che non aveva nessuna familiarità e nemmeno complicità con la classe. Certo gli allievi quando lo hanno visto sapevano esattamente quello che dovevano fare. Abdoulaye Diallo, l'allievo che si confronta direttamente col suo professore, l'ho scelto perché è molto naturale, c'è nella sua maniera di porsi qualcosa che mi intriga, recita senza recitare, sa quello che deve fare in scena e lo fa naturalmente. L'ho incontrato nei miei sopralluoghi a scuola, proprio come tutti gli altri ragazzi.


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