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Ultimo aggiornamento mercoledì 27 gennaio 2021
Ispirato a un fatto realmente accaduto: il sequestro nel 1976 di un volo Air France diretto da Tel Aviv a Parigi. Al Box Office Usa 7 Giorni a Entebbe ha incassato 2,9 milioni di dollari .
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CONSIGLIATO SÌ
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Nell'estate del 1976 quattro dirottatori, due estremisti tedeschi e due combattenti palestinesi, si impossessano di un aereo della Air France in viaggio tra Tel Aviv e Parigi, prendendo in ostaggio i 248 passeggeri a bordo. Mentre a Gerusalemme il primo ministro Yitzhak Rabin si scontra con il ministro della difesa Shimon Peres sull'opportunità di negoziare con i terroristi, l'aereo, con la complicità del feroce dittatore Idi Amin, atterra a Entebbe in Uganda. La richiesta dei terroristi a Israele è di 5 milioni di dollari e il rilascio di 50 prigionieri palestinesi: Rabin ha sette giorni per decidere se intervenire o dialogare con loro.
Facile come un bignami, ma più avvincente. Solo un regista nato a migliaia di chilometri di distanza da Entebbe, da Israele e definitivamente dall'Europa poteva prendersi la responsabilità folle di tentare un'impresa come quella osata dal brasiliano José Padilha.
Prendere cioè uno degli eventi più noti del conflitto israelo-palestinese - il dirottamento dell'airfrance a Entebbe, nel 1976 - e farne un film d'intrattenimento nel vero senso della parola: grande azione, senso del ritmo, composizione rigorosa delle scene, personaggi accattivanti, dialoghi necessari, mai troppo retorici o ridondanti.
Poteva essere Narcos (serie di cui Padilha ha diretto alcuni episodi), invece è 7 Days in Entebbe. Certo, gli amanti dell'accuratezza storica storceranno il naso per la leggerezza quasi naive con cui Padilha si confronta con topic a dir poco incandescenti, maneggiandoli come succulento materiale narrativo: il senso di colpa dei tedeschi ereditato dal nazismo, il terrorismo rosso in Europa, l'ambiguità politica dei paesi africani negli anni Settanta, la tensione tra Yitzhak Rabin e Shimon Peres e in generale il conflitto israelo-palestinese, riassunto sbrigativamente nei cartelli all'inizio e alla fine del film. Non è certo un film con pretese storiche, né offre rivoluzionarie letture geopolitiche, 7 Days in Entebbe. Ma è un thriller che fa più che onestamente il proprio lavoro, cioè intrattenere, concedendosi alcune interessanti deviazioni dal canone.
Sono infatti le scene di ballo con cui si apre il film, e che tornano a scandire il momento centrale della liberazione dei terroristi, a regalare all'intera pellicola una profondità di senso di cui altrimenti si sarebbe sentita la mancanza - a segnalare allo spettatore, insomma, che si trova al cinema e non in streaming. E non è un caso che il ballo in questione non sia opera dell'ingegno del brasiliano, ma si tratti invece di una famosa coreografia, la "danza delle sedie" firmata dall'israeliano Ohad Naharin. Messo in scena nel film dalla Batsheva Dance Company, il balletto di Naharin - con i corpi dei ballerini prima tesi e poi sempre più liberi, colpiti da invisibili pallottole - stilizza efficacemente la tensione tra guerra e pace, il dibattito interno al paese negli anni '70 e insieme i desideri contrastanti di un Israele sospeso tra voglia di normalità e militarizzazione. Una metafora che Padilha, da bravo realizzatore, prende così com'è e monta armonicamente nel film, regalandogli un eccellente effetto di tridimensionalità.
Meglio di un bignami, del resto, c'è solo una cosa: un bignami con figure.
7 giorni a Entebbe è basato su una storia che vale la pena di essere raccontata, ma perde di vista i suoi elementi più avvincenti. Il film funziona come un orologio e le sue scene d’azione sembrano coreografie. Il regista brasiliano spinge la metafora all’estremo; i momenti di massima tensione sono tagliati da bellissime scene di danza contemporanea e tensione fisica. [...] Vai alla recensione »