dernier
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sabato 29 ottobre 2011
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un'avventura...esistenziale
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Paolo Sorrentino si cimenta in un film di non facile realizzazione. Apparentemente la storia si incentra sulla figura di una rock star ormai finita, colpita da depressione, quasi anormale, che pare estraneatasi dal mondo reale. Si prefigura sullo sfondo una società in depressione, drammi familiari e perdita di senso, una società polarizzata dove è difficile trovare il proprio posto. Il film appare una lenta riconquista di uno spazio perduto fatta da piccoli gesti affettuosi e accidentali avvenimenti quotidiani. Il plot evolve poi in uno scontro con una realtà dimenticata, un confronto con il passato che non ci appartiene più (la tragedia dell'olocausto) e che non comprendiamo. Al fondo del film, però, c'è qualcosa di più.
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Paolo Sorrentino si cimenta in un film di non facile realizzazione. Apparentemente la storia si incentra sulla figura di una rock star ormai finita, colpita da depressione, quasi anormale, che pare estraneatasi dal mondo reale. Si prefigura sullo sfondo una società in depressione, drammi familiari e perdita di senso, una società polarizzata dove è difficile trovare il proprio posto. Il film appare una lenta riconquista di uno spazio perduto fatta da piccoli gesti affettuosi e accidentali avvenimenti quotidiani. Il plot evolve poi in uno scontro con una realtà dimenticata, un confronto con il passato che non ci appartiene più (la tragedia dell'olocausto) e che non comprendiamo. Al fondo del film, però, c'è qualcosa di più. Attraverso una regia innovativa, termine che nel ventunesimo secolo appare inflazionato, Sorrentino ripercorre quello che è un percorso che ogni uomo deve affrontare nella propria vita. In alcuni tratti ricalca un andamento teatrale in cui le scene si susseguono legate da un significato profondo ma appena percepibile. In alcune inquadrature un film simbolista. Ciò che appare scavando al fondo dell'esegesi del film è però qualcosa di più. La profonda ricerca di identificazione di un personaggio che non è mai cresciuto. Il senso profondo che il film comunica e che lo rende particolarmente interessante è una sotterranea vena psicologica in cui il quadro artistico si trasforma in un messaggio di crescita. Ricorda "una storia vera" di Linch, ma oltrepassa quel messaggio in una direzione che implica il confronto con se stessi, che rilancia una maturazione da parte del personaggio con un passato che non gli appartiene ma che emerge prepotentemente in un confronto ineludibile con il proprio essere nascosto. Sorrentino si rivela brillante a narrare un'avventura dal sapore profondo in cui l'uomo di trova davanti ai nodi non sciolti della propria vita, all'azione interrotta, a qual processo di identificazione mai portato a termine. Attraverso la caccia ad un vecchio nazista il protagonista trova, invece che la vendetta, se stesso. Si identifica con un passato universale che lo rende veramente uomo, lo fa crescere e rende lo sconforto possibilità. Una nota pregevole di questo processo è la regia lenta e misurata che da il senso dello scorrere del tempo come evento interno, slegato da ogni logica lineare. Un plauso quindi ad un regista italiano che in un tempo di crisi di narrazione rende universale un messaggio che si era perso negli anni, che trova le sue radici del cinema italiano e nella nuovelle vague francese e in alcuni geniali registi americani.
This must be the place rende chi lo vede più vicino a se stesso.
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alex99
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sabato 29 ottobre 2011
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capolavoro
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Non pensiate che sia di manica larga ad elargire benemerenze. E' solo che questo film è uno dei migliori mai prodotti negli ultimi anni, sicuramente. Un film dove c'è tutto: la crisi morale delle ultime generazioni, la depressione per l'avanzare inesorabile del tempo, la solitudine con la sua connessa incapacità di comunicare e la vaga, nebbiosa sensazione che tutto stia per precipitare da un momnento all'altro. Un film talmente attuale da risultare cronaca. Magnifica la fotografia, tanto da risultare coinvolgente quanto una mostra in una galleria. La storia, sicuramente non originalissima, passa in secondo piano rispetto alle scene-messaggio minimaliste, sferzanti come le parabole di un vangelo.
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Non pensiate che sia di manica larga ad elargire benemerenze. E' solo che questo film è uno dei migliori mai prodotti negli ultimi anni, sicuramente. Un film dove c'è tutto: la crisi morale delle ultime generazioni, la depressione per l'avanzare inesorabile del tempo, la solitudine con la sua connessa incapacità di comunicare e la vaga, nebbiosa sensazione che tutto stia per precipitare da un momnento all'altro. Un film talmente attuale da risultare cronaca. Magnifica la fotografia, tanto da risultare coinvolgente quanto una mostra in una galleria. La storia, sicuramente non originalissima, passa in secondo piano rispetto alle scene-messaggio minimaliste, sferzanti come le parabole di un vangelo. Imperdibile.
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gioinga
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sabato 29 ottobre 2011
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se il cinema diventa videoarte....
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Nonostante la splendida fotografia e la superba interpretazione dell'attore che a mio avviso è il migliore in circolazione, il film di Sorrentino non mi ha convinto. Perché una cosa è la videoarte, altra è il cinema. Andare al cinema per me non è solo vedere belle immagini, ma restare rapito dalla storia. La cosa più bella è quando esci dal cinema e per gli istanti immediatamente successivi all'uscita, continui a sentirti dentro il film, e poi nei giorni successivi continui a riflettere e a pensare al film. Con This must be the place, questo non succederà, la storia conta troppo poco rispetto all'estetismo del regista. Peccato!
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lacice
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venerdì 28 ottobre 2011
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bella fotografia!
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Bellissima fotografia.
Bei paesaggi.
Bella musica.
Facce molto particolari.
Sean Penn édavvero un bell'uomo.
Ad ogni modo..storia banale, piena di cliché.
Film classicamente indie.
Che tira in mezzo l'olocausto..ma che palle.
Scusate la poca delicatezza.
Ad ogni modo ottima regia.
Ma la trama no eh?
Lenta da seguire oltre che..maddai!
La crisi del cinquantenne ex rockstar che gli muore il padre allora scopra di volergli bene.
Le mie amiche dicono che sono cose che succedono nella vita reale.
Io dico anche si.
Ma non consiglio sto film.
Se non che per le immagini che regala.
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Bellissima fotografia.
Bei paesaggi.
Bella musica.
Facce molto particolari.
Sean Penn édavvero un bell'uomo.
Ad ogni modo..storia banale, piena di cliché.
Film classicamente indie.
Che tira in mezzo l'olocausto..ma che palle.
Scusate la poca delicatezza.
Ad ogni modo ottima regia.
Ma la trama no eh?
Lenta da seguire oltre che..maddai!
La crisi del cinquantenne ex rockstar che gli muore il padre allora scopra di volergli bene.
Le mie amiche dicono che sono cose che succedono nella vita reale.
Io dico anche si.
Ma non consiglio sto film.
Se non che per le immagini che regala..
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michela silla
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venerdì 28 ottobre 2011
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una rockstar in pensione alla scoperta di sé
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“This Must Be The Place”, regia di Paolo Sorrentino. Con Sean Penn, Frances McDormand, David Byrne, Kerry Condon. Durata: 118 min.
La parrucca nera. Il parlare strascicato; proprio come la sua camminata. Non c'è dubbio: Sean Penn in questo film è straordinario. È Cheyenne, rockstar in pensione che vive con la moglie a Dublino e sembra non sapere chi sia e che cosa voglia. Che forse non l'ha mai saputo. E tutte le sere, davanti allo specchio, si toglie matita e rossetto e scopre le occhiaie, le rughe: i segni del tempo e di una vita senza troppi perché; consumata senza crescita reale. Senza grandi cambiamenti. E la pensione è noia; è restare a casa a osservare dalla finestra la moglie indaffarata nel loro mega giardino.
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“This Must Be The Place”, regia di Paolo Sorrentino. Con Sean Penn, Frances McDormand, David Byrne, Kerry Condon. Durata: 118 min.
La parrucca nera. Il parlare strascicato; proprio come la sua camminata. Non c'è dubbio: Sean Penn in questo film è straordinario. È Cheyenne, rockstar in pensione che vive con la moglie a Dublino e sembra non sapere chi sia e che cosa voglia. Che forse non l'ha mai saputo. E tutte le sere, davanti allo specchio, si toglie matita e rossetto e scopre le occhiaie, le rughe: i segni del tempo e di una vita senza troppi perché; consumata senza crescita reale. Senza grandi cambiamenti. E la pensione è noia; è restare a casa a osservare dalla finestra la moglie indaffarata nel loro mega giardino. Il mega giardino, la mega villa. Un'enorme piscina vuota dentro la quale giocano a pelota, lui e la moglie. E la mitica rockstar in fondo non lo sa perché la piscina di casa sua è vuota. È la moglie a occuparsi della casa, di tutto. Lui, che è rimasto un po' bambino, non ha mai provato a fumare; ma in passato si faceva di eroina. E si lascia vivere, con l'espressione apatica di chi si è arreso allo scorrere sempre uguale della vita. Ma all'improvviso si rende conto che qualcosa da cercare c’è. E comincia un viaggio – avventuroso, emozionante – negli Stati Uniti. Suo padre è morto, dopo trent'anni di silenzio tra di loro. Obiettivo del viaggio: trovare il criminale nazista che l'ha umiliato, tempo addietro, nel campo di concentramento nel quale era stato rinchiuso. Sean Penn parte. Le inquadrature di Sorrentino e la fotografia di Luca Bigazzi esplodono. L'attenzione all'immagine – intelligentemente studiata, dai colori brillanti e i significati densi – a volte sostituisce persino i dialoghi. Anche i luoghi e i personaggi che incontra nel suo cammino sono delineati attraverso paesaggi ed espressione dei volti. Infatti sono le immagini che esprimono, non le parole. L'aria un po' stranita, disincantata. Un incontro dopo l'altro che straripa di umanità. Il viaggio continua. Verso una scoperta che è tante rivelazioni insieme. Sulla vita, sulla crescita e sull'amore. Un puzzle di visioni mozzafiato, divinamente accostate. Che quasi commuovono, per eleganza e intensità.
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poggi
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venerdì 28 ottobre 2011
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il film più sopravvalutato dell'anno
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Per me è il film più sopravvalutato della stagione (fa buona compagnia in questo al film di Terrence Malick, comunque superiore). I temi (peraltro strasentiti come la ricerca di se stessi attraverso la riscoperta del rapporto con i genitori, una volta morti; il dramma dell'olocausto; la depressione dell'uomo di successo passato di moda) sono mescolati a casaccio, accumulati ma non amalgamati: cosa c'entra il fatto che Cheyenne sia un ex rockstar (americana, che vive in Irlanda ma figlia di padre probabilmente tedesco!?) con la tragedia dell'olocausto e con il rapporto con un padre difficile? Un mescolone simile denota il volrer mettere tanta carne al fuoco, senza però risolvere i nodi del racconto.
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Per me è il film più sopravvalutato della stagione (fa buona compagnia in questo al film di Terrence Malick, comunque superiore). I temi (peraltro strasentiti come la ricerca di se stessi attraverso la riscoperta del rapporto con i genitori, una volta morti; il dramma dell'olocausto; la depressione dell'uomo di successo passato di moda) sono mescolati a casaccio, accumulati ma non amalgamati: cosa c'entra il fatto che Cheyenne sia un ex rockstar (americana, che vive in Irlanda ma figlia di padre probabilmente tedesco!?) con la tragedia dell'olocausto e con il rapporto con un padre difficile? Un mescolone simile denota il volrer mettere tanta carne al fuoco, senza però risolvere i nodi del racconto.
Il tempi filmici sono non soltanto lenti e inutilmente meditativi (pieni di scene senza scopo che vorrebbero fare "poesia": vedi per tutte quella dell'indiano a cui Cheyenne dà un passaggio), ma del tutto sbilanciati: se il vero tema del film è la ricerca di un contatto con la memoria del padre, una riscoperta di sè attraverso il recupero di un rapporto interrotto per trent'anni, perchè fare un prologo così lungo (con l'ingombrante presenza di una Francis McDormand sprecata) che parla dei tutt'altro?
Perchè introdurre personaggi lasciati cadere senza spiegazioni (il tipo che chiede a Cheyenne di produrre il suo disco, la ragazza emo che lui tenta di rendere felice, Desmond)?
Su tutto il film si staglia Sean Penn, costretto a impersonare un personaggio fastidioso, con la voce lamentosa da rincoglionito alla Ozzy Osbourne che però all'occorrenza sfoggia frasi che vorrebbero sembrare quelle di un grande pensatore. L'interpretazione di Penn è sopravvalutata quanto il film: non è nè nuovo nè difficile rappresentare un rincoglionito al limite della catatonia. La stessa parte l'avrebbe interpretata con altrettanta intensità lo stesso Osburne.
Il finale, col vecchio nazista di novantacinque anni fatto camminare nudo nella neve è patetica, vorrebe forse scandalizzare, fare sensazione: fà solo pena, persino il cacciatore di nazisti incallito non riesce a trattenere un'esclamazione di sorpresa e (spero) di pietà, di fronte a quell'immagine raccapricciante. Oltretutto perchè nel film appare chiaro che la responsabilità del vecchio era molto limitata (non era un carnefice, ma aveva s"solo" umiliato il padre di Cheyenne minacciandolo). Cos'è, un discutibile inno alla vendetta privata? Si può ritrovare se stessi, dopo trent'anni di silenzio, vendicando un padre morto contro un vecchio colpevole ormai inerme? Mah...
Il tutto condito da quell'insopportabile lentezza, da quegli inutili toni meditativi. Per fare un film intenso, non occorrono certe sbrodolate e certi orpelli (vedi la scena dell'indiano). Basti pensare agli ultimi film di Clint Eastwood, asciutti ma sempre carichi di pathos e di profondità.
E poi i film meditativa (à la Malick) bisogna saperli fare!
Mi dispiace sdire tutto questo perchè gli altri film di Sorrentino mi erano piaciuti. Però qui toppa clamoosamente.
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cinemadipendente
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venerdì 28 ottobre 2011
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sean penn e il cinema italiano
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Erano anni che al Cinema non vedevo un film di questo livello. L'ho trovato geniale, ha saputo coniugare l'ironia con il tema drammatico. Il protagonista è stato cucito in base a Sean Penn il quale non delude mai e in questo film ha superato se stesso.
Questo è il buon cinema italiano.
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edelweiss van hoeck
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venerdì 28 ottobre 2011
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qui sorrentino non mi è piaciuto perchè.......
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mi è sembrato spesso un film di cose gia viste, belle certo, eleganti ma panorami e situazioni gia viste,
anche il personaggio principale, seppur interpretato al meglio da sean penn, mi ricordava troppo
sordillo nell'uomo con la valigia.
Quell'indifferenza, quel distacco, quella caratterizzazione forte dell'interprete , e come ho sentito
in una intervista a sorrentino, egli asserisce di lavorare più sul personaggio che sulla storia, quasi inutile
e infatti qui molto raccontata tramite immagini, alcune molto belle, ma secondo me a volte noioso.
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bario92
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giovedì 27 ottobre 2011
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film cult
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Solo poche parole: uno dei film più belli che abbia mai visto!
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owlofminerva
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giovedì 27 ottobre 2011
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lento e introspettivo, deprimente e umoristico.
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Lento, instabile e deprimente fino al percorso on the road. Cheyenne è un ossimoro: è una rock star, lo è stata, si concia come tale ma dice di non esserlo, ne respinge l’immagine anche se non riesce a liberarsi dalla maschera che indossa come una seconda pelle, una condanna al ricordo delle sue colpe. Ancora si ostina ad avere capelli neri cotonati, labbra rosse, matita nera intorno agli occhi, unghie laccate, abiti attillati in stile gotico. Ha un’andatura dondolante, uno sguardo ingenuo e assente e una vocina flebile ed effeminata, garbata, gentile e generosa, un personaggio problematico, a tratti umoristico ma non grottesco.
Per camminare si deve sempre aggrappare a qualcosa: al carrello della spesa o al trolley con le ruote.
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Lento, instabile e deprimente fino al percorso on the road. Cheyenne è un ossimoro: è una rock star, lo è stata, si concia come tale ma dice di non esserlo, ne respinge l’immagine anche se non riesce a liberarsi dalla maschera che indossa come una seconda pelle, una condanna al ricordo delle sue colpe. Ancora si ostina ad avere capelli neri cotonati, labbra rosse, matita nera intorno agli occhi, unghie laccate, abiti attillati in stile gotico. Ha un’andatura dondolante, uno sguardo ingenuo e assente e una vocina flebile ed effeminata, garbata, gentile e generosa, un personaggio problematico, a tratti umoristico ma non grottesco.
Per camminare si deve sempre aggrappare a qualcosa: al carrello della spesa o al trolley con le ruote. Da solo non si regge. Continua a bere ma solo analcolici colorati. Ha deciso di eclissarsi dal mondo Cheyenne e vive comodamente senza far nulla insieme ad una moglie che gli fa da madre e da argine alla sua depressione. Serve una botta e arriva dal padre. Da bambino, aveva deciso che il padre non gli voleva bene. E di quell’intuizione ne è ancora convinto con la presunzione di un bambino. La fine del padre rappresenta per il figlio l’inizio di un lungo percorso. Il sedentario Cheyenne trova la motivazione per viaggiare: trovare il nazista che aveva umiliato il padre. Lo trova. È solo, macilento, scheletrico, vecchio e indifeso. L’ex-nazista ormai vecchissimo compare nudo in mezzo alla neve: in quell’inquadratura estremamente realistica e insieme simbolica c’è tutta la ferocia del tempo che passa sui nostri corpi e l’umiliazione dell’umanità. Somiglia tanto alle povere vittime, vecchie e denudate, accasciate nella morte sulla neve nei campi di sterminio.Quel vecchio senza abiti, sulla neve, in una luce bianca, muove a pietà più che a vendetta. E’ il momento in cui si capisce che il protagonista si è finalmente liberato della maschera. Adesso può tornare a casa.
Cheyenne non ha più capelli lunghi e il rossetto sulle labbra. È un uomo come gli altri. È diventato se stesso. Dal cuore l’odio è fuoriuscito e finalmente sorride. This Must Be the Place, questo dovrebbe essere il posto. Una pellicola che lasca con l'amaro in bocca di mille interrogativi, introspettivo e riflessivo.
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