diego vitali
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giovedì 20 ottobre 2011
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sorrentino, penn e il suo pierrot dark
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Sean Penn è Cheyenne, una volta una rockstar dark-glam, che ora vive nella sua villa di Dublino, con una moglie pompiere (Frances McDormand) e un cane con il collare vittoriano. Si circonda di altri personaggi altrettanto singolari, come una ragazza bella e triste, la madre ossessionata dalla scomparsa di suo figlio e il suo promotore di borsa Don Giovanni. Cheyenne è il centro di questo paesaggio circense. Non è mai cresciuto: continua a truccarsi e acconciarsi i capelli come Robert Smith dei Cure. È stralunato e depresso (o solo annoiato e stanco?) e continua a rivangare gli errori del passato. Viene distolto dal suo melange di dolore e dolcezza quando viene a sapere che suo padre, con il quale non ha rapporti da trent’anni, sta molto male.
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Sean Penn è Cheyenne, una volta una rockstar dark-glam, che ora vive nella sua villa di Dublino, con una moglie pompiere (Frances McDormand) e un cane con il collare vittoriano. Si circonda di altri personaggi altrettanto singolari, come una ragazza bella e triste, la madre ossessionata dalla scomparsa di suo figlio e il suo promotore di borsa Don Giovanni. Cheyenne è il centro di questo paesaggio circense. Non è mai cresciuto: continua a truccarsi e acconciarsi i capelli come Robert Smith dei Cure. È stralunato e depresso (o solo annoiato e stanco?) e continua a rivangare gli errori del passato. Viene distolto dal suo melange di dolore e dolcezza quando viene a sapere che suo padre, con il quale non ha rapporti da trent’anni, sta molto male. Decide di partire per l’America per vederlo un’ultima volta, ma arriva troppo tardi. Al suo capezzale viene a sapere che l’uomo era ossessionato da un episodio avvenuto durante la prigionia ad Auschwitz e che in tutti quegli anni non aveva mai smesso di cercare il suo aguzzino nazista. Cheyenne decide allora di mettersi in viaggio per poter, forse, vendicare suo padre.
Uscito nei cinema il 14 ottobre ma presentato al festival di Cannes, questo film è stato costruito da Sorrentino e Penn intorno al personaggio di Cheyenne, splendido e credibile freak, un adulto che si veste e si trucca da adolescente dark, un Pierrot con gli anfibi, dall’animo malinconico, candido e infantile, incapace di affrontare la vita eppure pieno di dolcezza e dignità, così come di dolore e di rimorsi. Chiuso in un corpo segnato dagli eccessi e dalle colpe del passato, si muove a fatica in un mondo che gli resta estraneo. Il rapporto irrisolto con il padre sarà l’occasione per un viaggio nel profondo dell’America, dove, tra splendidi paesaggi rurali e periferici, farà una serie di incontri con personaggi assurdi e umanissimi, grotteschi e a volte esilaranti ma anche toccanti e sinceramente commoventi. Suonando la chitarra insieme a un bambino che ha paura di nuotare, Cheyenne chiuderà i nodi irrisolti e le ossessioni di suo padre, riuscendo a trovare il bandolo della matassa anche della propria esistenza, avendo finalmente scontando le “colpe dei padri”. Al termine del suo viaggio, Cheyenne potrà rivendicare il suo posto nel mondo, senza più bisogno di maschere.
This must be the place è ovviamente al di fuori dei canoni di Hollywood – ma anche di quelli italiani. È stato detto che ricorda il Wim Wenders di Paris, Texas. Si possono riscontrare forti affinità anche il David Lynch di Una storia vera, un altro road movie impenitentemente positivo, basato su un personaggio stra-ordinario rispetto a quello che si vede di solito al cinema. Ma se guardiamo al cinema di Sorrentino, ci accorgiamo che tutto il suo cinema è fatto di personaggi irripetibili calati in situazioni di empasse da cui cercano di liberarsi. È molto facile il paragone con Le conseguenze dell’amore, ma un po’ viene anche con Il divo. Personaggi prigionieri del proprio mito, del proprio passato, chiusi in una gabbia di non detti, desiderosi di uno sfogo e di una liberazione che sanno impossibile eppure che continuano a braccare.
Questa commedia dark o dramma leggero trae la propria forza dal contrasto dei toni e dei sapori che vengono proposti, lasciando però una sensazione di felice e non banale equilibrio. Se il film viene preso sul serio, ripaga. Se ci si pone con distacco e con pregiudizio, allora lascia seccati e indifferenti. È un po’ una fiaba, questa di Cheyenne che si mette in viaggio per completare il percorso esistenziale di suo padre e il proprio. Un po’ fiaba, un po’ bildungsroman.
Sean Penn è magnifico in un ruolo estremamente sopra le righe, che però non diventa macchietta e resta credibile e mai retorico. La sua bravura sta nell’aver conferito profondità e ricchezza di sfaccettature alla sua interpretazione, rendendo il personaggio complesso e affascinante, generoso ma anche pieno di riserbo, al punto da apparire, nell’umanità variegata e a volte improbabile presentata (sempre con simpatia e partecipazione) da Sorrentino, come il più normale di tutti.
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filmicus
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giovedì 20 ottobre 2011
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kl
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vale86
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giovedì 20 ottobre 2011
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tutto cio' che rimane
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TUTTO CIO' CHE RIMANE
Il rapporto inesistente tra padre e figlio lo porta alla fine a intraprendere un viaggio per chissà dove solo per redere felice il padre.
Credo che la parte migliore sia il finale molto toccante e rivelatorio,sopprattuto per l'argomento di cui si tratta.
Questo film fa aprire gli occhi su un mondo diverso dal nostro ma comune in tante famiglie ,dove il rapporto con i genitori non è sempre rosa e fiori.
Spero che molta gente vedendolo capisca che non bisogna mai lasciare perdere un affetto anche se si è testardi e che quello che si vede davanti a noi non sia quello che vogliamo.
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filmicus
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giovedì 20 ottobre 2011
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il conflitto col padre (e la storia)
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Il film è di pregio.La trama esemplare è tratta da un manuale di psicanalisi (o da una tragedia greca che è cosa affine): il conflitto con il padre che si conclude non già alla morte di questi ma attraverso una "pacificazione" attiva cioè attraverso il riscatto del padre da uno stato di schiavitù e di annientamento,realmente vissuto e stigmatizzato da numeri sull'avambraccio. Il figlio porta da sempre un fardello di cui non riesce a liberarsi (anche se il peso è tollerabile grazie al carrello a due ruote) e la sua ribellione pure all'inizio creativa -rock star famosa e ricca- è divenuta statica,maschera colorata piena di tic e di sibili che sostituiscono le parole. Occorre la "redenzione", la riconciliazione con se stesso per ritornare figlio "normale" senza travestimenti.
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Il film è di pregio.La trama esemplare è tratta da un manuale di psicanalisi (o da una tragedia greca che è cosa affine): il conflitto con il padre che si conclude non già alla morte di questi ma attraverso una "pacificazione" attiva cioè attraverso il riscatto del padre da uno stato di schiavitù e di annientamento,realmente vissuto e stigmatizzato da numeri sull'avambraccio. Il figlio porta da sempre un fardello di cui non riesce a liberarsi (anche se il peso è tollerabile grazie al carrello a due ruote) e la sua ribellione pure all'inizio creativa -rock star famosa e ricca- è divenuta statica,maschera colorata piena di tic e di sibili che sostituiscono le parole. Occorre la "redenzione", la riconciliazione con se stesso per ritornare figlio "normale" senza travestimenti. Questa è la scena finale con una madre alla finestra che attende il proprio figlio scomparso. La redenzione si realizza quando l'aguzzino nazista è rintracciato ed esposto in un biblico occhio per occhio al rigore della neve e della luce nella sua nudità e vecchiaia estrema. Così accadeva alle vittime dei lager esposte al gelo degli inverni polacchi. Il corpo nudo con la pelle tanto raggrinzita da preludere alla morte rappresentano la condizione umana che alla fine accomuna perseguitati e persecutori- Su questa trama si dipanano sensibilità e maestria del regista e degli attori, in primo luogo di un grande Sean Penn. Il consenso dello spettatore può così essere pieno e sincero. Tuttavia, a luci della sala accese, sorge consistente un dubbio: se se la struttura troppo rigida,calcolata e forse meccanica del racconto non possa in qualche modo ostacolare le emozioni più profonde che sempre dovrebbero avvertirsi dinanzi ad una creazione poetica.
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maiky74
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giovedì 20 ottobre 2011
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noiosissimo
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noioso dall'inizio fino ai 5 minuti prima della fine. scopiazza un po' forrest gump l'interpretazione del personaggio principale. purtroppo il film non parte mai.
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weach
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mercoledì 19 ottobre 2011
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mentre il sogno diviene vivida realtà
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this must be the Place
di Paolo Sorrentino
anno di produzione 2011
La storia di Cheyenne non ha analogie con "Il Divo", diverso l'argomento , differente il contesto e gli input; se proprio vogliamo collegarli possiamo solo dire che è un film di Paolo Sorrentino :basta.
Poi mi correggo ed intravedo un legame:l' l'uso intelligente dei primi piani che parlano spesso più della parola come del resto i silenzi e gli occhi che osservano.
Il senso del film ?Non tutto deve avere un senso; si può anche essere semplicemente osservatori di accadimenti che ci scorrono addosso.
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this must be the Place
di Paolo Sorrentino
anno di produzione 2011
La storia di Cheyenne non ha analogie con "Il Divo", diverso l'argomento , differente il contesto e gli input; se proprio vogliamo collegarli possiamo solo dire che è un film di Paolo Sorrentino :basta.
Poi mi correggo ed intravedo un legame:l' l'uso intelligente dei primi piani che parlano spesso più della parola come del resto i silenzi e gli occhi che osservano.
Il senso del film ?Non tutto deve avere un senso; si può anche essere semplicemente osservatori di accadimenti che ci scorrono addosso.
Tutto ciò non ha indirizzo, proposito,messaggio, ma può essere proposito o esercizio di stasi volta ad assimilare una profondità che si è persa.
La dilatazione dello spazio e del tempo nell'opera di Sorrentino confluiscono in un luogo indeterminato dove tutto può evolvere verso una crescita.
Apprezzabile la sinergia che si riesce a costruire fra suoni ed immagini.
Imbattibile Sean Penn che gioca mirabilmente nel ruolo di Cheyenn!!!!!!!!!.
Alla fine parliamo bene , molto bene di questa ultima opera di Paolo Sorrentino,una fucina di esperimenti,un intelligente brodo primordiale dove si ramificano idee e propositi.
Vale sicuramente quattro stelle d'oro , tutto da vedere !!!!!
Buona visione
weach illuminati
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immanuel
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mercoledì 19 ottobre 2011
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occidente estremo
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Sean Penn interpreta una ex stella della musica popolare moderna, "Cheyenne", compositore di canzoni dal fascino decadente, capaci di avere effetti negativi sulle fragili menti di piccoli ammiratori (tando da portare alcuni di essi a gesti estremi). Cheyenne è un pupazzo, i suoi tratti volutamente farseschi ricordano il trucco dei pagliacci da circo. Il pallore dei viso riempito di cipria, il rossetto, gli occhi turgidi e languidi, i capelli incolti scomposti dal vento, il fascino sinistro del clown assassino di Stephen King. Sean Penn incarna la degradazione di alcune tragiche subculture moderne, ma è anche l'immagine della crisi dell'uomo occidentale. Depresso, infelice, insoddisfatto, fatuo, scimmia di se stesso.
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Sean Penn interpreta una ex stella della musica popolare moderna, "Cheyenne", compositore di canzoni dal fascino decadente, capaci di avere effetti negativi sulle fragili menti di piccoli ammiratori (tando da portare alcuni di essi a gesti estremi). Cheyenne è un pupazzo, i suoi tratti volutamente farseschi ricordano il trucco dei pagliacci da circo. Il pallore dei viso riempito di cipria, il rossetto, gli occhi turgidi e languidi, i capelli incolti scomposti dal vento, il fascino sinistro del clown assassino di Stephen King. Sean Penn incarna la degradazione di alcune tragiche subculture moderne, ma è anche l'immagine della crisi dell'uomo occidentale. Depresso, infelice, insoddisfatto, fatuo, scimmia di se stesso. Allettato dal denaro, brigato in operazioni finanziarie di dubbia natura, sempre alla ricerca dell'arricchimento, circondanto da un deserto morale sconfortante (l'amico donnaiolo, l'anziana con l'amante, il broker privo di scrupoli, figure deboli, confuse e farneticanti affollano ogni milieu). Di famglia ebrea, perde il padre senza essergli stato accanto neppure al capezzale; solo quando osserva il corpo esanime, bianco di un bianco di morte, rammenta di aver avuto un padre, un tempo. Ne osserva il codice impresso a fuoco su un braccio; scopre quindi la tragedia dell'olocausto (fino ad allore conosciuta -dice- "genericamente", a confermare la mediocrità e la superficilalità). Sorrentino muove un durissimo atto d'accusa contro le brutture della società occidentale, appagata ricca, ma soprattutto debole e vacua. Destinata alla decadenza. Si lancia alla caccia (poi con l'ausilio di un parodico epigono di Simon Wiesenthal) del criminale nazista per tanto tempo odiato dal padre e lungo l'itinerario sulle tracce dell'ormai anziano aguzzino il registra ci da una ancora più icastica prospettiva del triste declino americano. Sceglie i paesaggi, non a caso, più desolati d'america. Giunge in new mexico e scopre un'umanità sofferente, la tragedia degli orfani e delle vedove dei morti dei teatri di guerra americani, il trionfo dell'esteriorità insulsa e esasperata nelle donne (come negli uomini tatuati), il dramma delal ghettizzazione ancora non risolta dei nativi indios, la disoccuopazione, volti tristi, figure grottesche, dolorose e sconsolate, la voce di obama che promette un cambiamento che non arriverà, la solitudine degli anziani, le chiese vuote, le famose armerie attrezzate a purchessia diavoleria in grado di uccidere, il disorientamento di una società in uno stato preagonico. Il vecchio criminale nazista alla fine in una baracca al centro di una plaga artica (cerca assurde e autoconsolatorie giustificazioni ai propri crimini), solo, fuori dai confini del tempo e dello spazio, in uno scenario arido, freddo come l'indifferenza di una società interamente ripiegata sulle proprie afflizioni. Sorrentino non allestisce però un melodramma. Ci lascia infatti con un finale di speranza. Il pagliaccio, nella scena finale, è struccato, ripulito di quel candore simbolo di un deliquio della mente e del corpo, è redento. Torna alla vita, alla speranza in un avvenire positivo; tutto sta però è rimesso alla ferma volontà dell'individuo. E' un augurio rivolto a noi, agli avviliti ambulanti di una società smarrita.
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antoniovoto
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mercoledì 19 ottobre 2011
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un "pop di plastica".
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ho visto l'ultimo di sorrentino ecco cosa penso:
questa volta non mi ha detto niente.i primi tre mi hanno folgorato.riguardo il divo,mi è piaciuto ma lo considero una sorta di film di passaggio.bah...mi pare che il passaggio non ci è stato.mi piace il fatto che per certi versi non vi sia una trama.aspiro a leggere l'opera d'arte senza una trama.ma qui mi sembra che il tutto giri a vuoto.mi piace l'atmosfera molto "pop".la fotografia è bellissima.però il tutto mi sembra la limite del puro esercizio.i personaggi non mi hanno detto niente.sean penn mi sembra il classico tipo di cui ti domandi se ci fa o ci è.poi pensi che forse ci fa.che ti prende in giro.
gli altri personaggi sono inesistenti.
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ho visto l'ultimo di sorrentino ecco cosa penso:
questa volta non mi ha detto niente.i primi tre mi hanno folgorato.riguardo il divo,mi è piaciuto ma lo considero una sorta di film di passaggio.bah...mi pare che il passaggio non ci è stato.mi piace il fatto che per certi versi non vi sia una trama.aspiro a leggere l'opera d'arte senza una trama.ma qui mi sembra che il tutto giri a vuoto.mi piace l'atmosfera molto "pop".la fotografia è bellissima.però il tutto mi sembra la limite del puro esercizio.i personaggi non mi hanno detto niente.sean penn mi sembra il classico tipo di cui ti domandi se ci fa o ci è.poi pensi che forse ci fa.che ti prende in giro.
gli altri personaggi sono inesistenti.daccordo sul fatto che tutti parlano poco.però in qualche modo devono dimostrare che hanno un soffio vitale.i personaggi mi sembrano dei manichini come i manichini dei supermercati luccicanti tanto cari a sorrentino.la scena di lui che suona la chitarra col bambino che canta non mi ha dato nessuna emozione.ma la cosa andrebbe anche bene.anche la musica di brian eno -molto vicino a sorrentino- non ha lo scopo di creare "emozioni sentimentaliste".però brian eno crea spazi.crea attese.quindi crea percorsi e per certi versi crea emozioni.neanche questo c'è nell'ultimo di sorrentino.i personaggi si muovono come ombre nella luce bellissima del direttore della fotografia.il problema è che non sono ombre allusive di mondi misteriosi che suscitano emozioni.sono solo ombre!
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papaguena
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mercoledì 19 ottobre 2011
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avvincente e ironico
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'This must be the place' racconta con ironica malinconia la catarsi di Cheyenne, un tempo una celebre rockstar, oggi un cinquantenne un po' strambo con un terribile senso di colpa e l'animo di un bambino che non ha mai provato il desiderio di fumare e che non si è mai interessato all'olocausto. La morte del padre lo costringe a tornare nel suo passato e a riallacciare così i fili spezzati sia del suo rapporto interrotto col padre sia delle ricerche del genitore, anch'esse interrotte, che miravano a scovare il carnefice nazzista che lo aveva umiliato nei campi di concentramento. Ad incrociare questa doppia ricerca della sua identità e di colui che, in qualche modo, privò il padre della sua dignità di uomo, vi sono vari personaggi ognuno dei quali aggiunge un tassello fondamentale alla storia e all'evoluzione di Cheyenne; finchè il 'cattivo', scovato, viene messo a nudo nella sua debolezza, nella sua fragilità, insomma nella sua umanità.
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'This must be the place' racconta con ironica malinconia la catarsi di Cheyenne, un tempo una celebre rockstar, oggi un cinquantenne un po' strambo con un terribile senso di colpa e l'animo di un bambino che non ha mai provato il desiderio di fumare e che non si è mai interessato all'olocausto. La morte del padre lo costringe a tornare nel suo passato e a riallacciare così i fili spezzati sia del suo rapporto interrotto col padre sia delle ricerche del genitore, anch'esse interrotte, che miravano a scovare il carnefice nazzista che lo aveva umiliato nei campi di concentramento. Ad incrociare questa doppia ricerca della sua identità e di colui che, in qualche modo, privò il padre della sua dignità di uomo, vi sono vari personaggi ognuno dei quali aggiunge un tassello fondamentale alla storia e all'evoluzione di Cheyenne; finchè il 'cattivo', scovato, viene messo a nudo nella sua debolezza, nella sua fragilità, insomma nella sua umanità. Alla fine della sua istanza a New York, la vecchia rockstar torna a Dublino e si libera da quella maschera, fatta di rossetto, matita e capelli cotonati, dietro la quale per troppo tempo si era nascosto. E' pronto a vivere una nuova vita e a lasciare definitivamente alle spalle la sua adolescenza e la sua ribellione interiore.
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lunetta
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mercoledì 19 ottobre 2011
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"qualcosa mi ha disturbato....
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....non so bene cosa, ma mi ha disturbato". E' una frase ricorrente che il protagonista, un lento apparentemente assente, ma riflessivo Sean Penn, ripete spesso per indicare un disagio, di varia natura, nulla più. E' una frase che ho fatto già mia.
Bellissimo film, pacato, lento, mai noioso, sulla vita di una matura ex-rockstar, ricco pur senza lavorare più, sbandato o meglio spaesato in una vita che gli è passata avanti, e lui sapeva solo truccarsi, ogni mattina, e cantare, canzoni tristi, perchè le voleva così il pubblico. E continua ogni giorno a truccarsi con estrema attenzione : "un velo di cipria sulle labbra e il rossetto terrà fino a sera".
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....non so bene cosa, ma mi ha disturbato". E' una frase ricorrente che il protagonista, un lento apparentemente assente, ma riflessivo Sean Penn, ripete spesso per indicare un disagio, di varia natura, nulla più. E' una frase che ho fatto già mia.
Bellissimo film, pacato, lento, mai noioso, sulla vita di una matura ex-rockstar, ricco pur senza lavorare più, sbandato o meglio spaesato in una vita che gli è passata avanti, e lui sapeva solo truccarsi, ogni mattina, e cantare, canzoni tristi, perchè le voleva così il pubblico. E continua ogni giorno a truccarsi con estrema attenzione : "un velo di cipria sulle labbra e il rossetto terrà fino a sera". E' rimasto un bambino, non ha mai imparato a fumare, non sa ancora come si vive "da grandi"
Quando torna negli USA, al capezzale del padre morto, eredita la sua ossessione di cercare , per punire, forse l'ultimo ufficiale nazista ancora vivo. E così, dopo tanti anni in stand by, comincia a vivere, la sua età, il suo tempo...aggiungo solo che la storia dell'ufficiale nazista non è affatto scontata, ma originale.
buona visione
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[+] toc , toc disturbo!!!!!!!!!!!
(di weach )
[ - ] toc , toc disturbo!!!!!!!!!!!
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