Sean Penn è Cheyenne, una volta una rockstar dark-glam, che ora vive nella sua villa di Dublino, con una moglie pompiere (Frances McDormand) e un cane con il collare vittoriano. Si circonda di altri personaggi altrettanto singolari, come una ragazza bella e triste, la madre ossessionata dalla scomparsa di suo figlio e il suo promotore di borsa Don Giovanni. Cheyenne è il centro di questo paesaggio circense. Non è mai cresciuto: continua a truccarsi e acconciarsi i capelli come Robert Smith dei Cure. È stralunato e depresso (o solo annoiato e stanco?) e continua a rivangare gli errori del passato. Viene distolto dal suo melange di dolore e dolcezza quando viene a sapere che suo padre, con il quale non ha rapporti da trent’anni, sta molto male. Decide di partire per l’America per vederlo un’ultima volta, ma arriva troppo tardi. Al suo capezzale viene a sapere che l’uomo era ossessionato da un episodio avvenuto durante la prigionia ad Auschwitz e che in tutti quegli anni non aveva mai smesso di cercare il suo aguzzino nazista. Cheyenne decide allora di mettersi in viaggio per poter, forse, vendicare suo padre.
Uscito nei cinema il 14 ottobre ma presentato al festival di Cannes, questo film è stato costruito da Sorrentino e Penn intorno al personaggio di Cheyenne, splendido e credibile freak, un adulto che si veste e si trucca da adolescente dark, un Pierrot con gli anfibi, dall’animo malinconico, candido e infantile, incapace di affrontare la vita eppure pieno di dolcezza e dignità, così come di dolore e di rimorsi. Chiuso in un corpo segnato dagli eccessi e dalle colpe del passato, si muove a fatica in un mondo che gli resta estraneo. Il rapporto irrisolto con il padre sarà l’occasione per un viaggio nel profondo dell’America, dove, tra splendidi paesaggi rurali e periferici, farà una serie di incontri con personaggi assurdi e umanissimi, grotteschi e a volte esilaranti ma anche toccanti e sinceramente commoventi. Suonando la chitarra insieme a un bambino che ha paura di nuotare, Cheyenne chiuderà i nodi irrisolti e le ossessioni di suo padre, riuscendo a trovare il bandolo della matassa anche della propria esistenza, avendo finalmente scontando le “colpe dei padri”. Al termine del suo viaggio, Cheyenne potrà rivendicare il suo posto nel mondo, senza più bisogno di maschere.
This must be the place è ovviamente al di fuori dei canoni di Hollywood – ma anche di quelli italiani. È stato detto che ricorda il Wim Wenders di Paris, Texas. Si possono riscontrare forti affinità anche il David Lynch di Una storia vera, un altro road movie impenitentemente positivo, basato su un personaggio stra-ordinario rispetto a quello che si vede di solito al cinema. Ma se guardiamo al cinema di Sorrentino, ci accorgiamo che tutto il suo cinema è fatto di personaggi irripetibili calati in situazioni di empasse da cui cercano di liberarsi. È molto facile il paragone con Le conseguenze dell’amore, ma un po’ viene anche con Il divo. Personaggi prigionieri del proprio mito, del proprio passato, chiusi in una gabbia di non detti, desiderosi di uno sfogo e di una liberazione che sanno impossibile eppure che continuano a braccare.
Questa commedia dark o dramma leggero trae la propria forza dal contrasto dei toni e dei sapori che vengono proposti, lasciando però una sensazione di felice e non banale equilibrio. Se il film viene preso sul serio, ripaga. Se ci si pone con distacco e con pregiudizio, allora lascia seccati e indifferenti. È un po’ una fiaba, questa di Cheyenne che si mette in viaggio per completare il percorso esistenziale di suo padre e il proprio. Un po’ fiaba, un po’ bildungsroman.
Sean Penn è magnifico in un ruolo estremamente sopra le righe, che però non diventa macchietta e resta credibile e mai retorico. La sua bravura sta nell’aver conferito profondità e ricchezza di sfaccettature alla sua interpretazione, rendendo il personaggio complesso e affascinante, generoso ma anche pieno di riserbo, al punto da apparire, nell’umanità variegata e a volte improbabile presentata (sempre con simpatia e partecipazione) da Sorrentino, come il più normale di tutti.
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