giomo891
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mercoledì 21 settembre 2022
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una ex-star alla ricerca di se stesso. giomo891
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Cheyenne è una stella della musica Rock di Dublino che vive di rendita grazie ai successi del passato. Dopo aver appreso la triste notizia della malattia incurabile del padre, l'uomo decide di far ritorno a New York City per mettersi sulle tracce di un ex nazista criminale di guerra e responsabile di aver perseguitato l'anziano genitore in punto di morte.
Ma in quel tentativo di vendetta Cheyenne trova qualcosa altro, forse proprio quello, che senza saperlo, l'uomo occidentale "vorrebbe" trovare.
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Cheyenne è una stella della musica Rock di Dublino che vive di rendita grazie ai successi del passato. Dopo aver appreso la triste notizia della malattia incurabile del padre, l'uomo decide di far ritorno a New York City per mettersi sulle tracce di un ex nazista criminale di guerra e responsabile di aver perseguitato l'anziano genitore in punto di morte.
Ma in quel tentativo di vendetta Cheyenne trova qualcosa altro, forse proprio quello, che senza saperlo, l'uomo occidentale "vorrebbe" trovare. Una rinascita, una nuova armonia, in un percorso ormai consunto.
All'inizio del film Cheyenne, pur mantenendo il (discutibile) look-tipo trans degli anni della gloria sul palcoscenico musicale; anche il suo "lamentoso" modo di parlare e le battute di spirito alle quali lui solo sorridere, tutto quanto fa pensare che, invece, sia profondamente depresso.
Ma lui stesso, come se fosse un peccato, ammette di non avere mai fumato.
Quando dichiara alla compagna Jane, di essere depresso, lei, sinceramente gli risponde "non sei depresso, sei solo annoiato..."
Ma ecco che inizia a cercare la novità, andare a trovare il padre morente in America, ma dato che soffre di paura di volare, deve ricorrere ad un viaggio per mare. Quando arriva, trova il padre già morto, qui il lampo di genio di Sorrentino, invece di indugiare sull'immagine di dolore, ci trasporta immediatamente in un' immagine dall' alto di Central Park ed a un concerto di David Byrne. La musica ha grande parte in questa pellicola.
È l'incontro con David che fa venir fuori il tormento di Cheyenne di aver fatto musica solo per i soldi, diventando un personaggio che oggi, intimamente, arriva ad odiare.
Alla fine, dopo aver scovato il nazista Aloise Lange, pare trovare un' altra identità: è tanto cambiato che assapora la prima sigaretta...
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fabri
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lunedì 24 maggio 2021
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notevole
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Premetto che Sorrentino non è tra i miei preferiti, ma il film è davvero notevole, grazie anche a un attore con la A maiuscola, che evita che il personaggio diventi farsesco.
E' un pò fuoiri dai canoni tipici del regista e, forse per questo, mi è piaciuto molto.
Una malinconia di sottofondo che tocca.
Consigliato.
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onufrio
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mercoledì 20 maggio 2020
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per mio padre
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Cheyenne è una celebre rockstar famosa negli anni 80 che ormai da decenni si è ritirato dalle scene e vive una vita pacata, mite e tranquilla (anche troppo) nella mega villa di Dublino assieme alla moglie e a qualche presenza amichevole. La morte del padre, col quale non ha più avuto nessun tipo di rapporto negli ultimi 30 anni, lo spinge a ritornare a New York, scoprendo un segreto che ha accompagnato gli ultimi decenni di vita del padre. Foografia come sempre impeccabile, per una storia raccontata in maniera soft con le ormai classiche lunghe pause riflessive.
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sabato 25 gennaio 2020
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grazie
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Pur essendo appassionato da tanti anni del bel cinema purtroppo gli impegni della vita mi lasciano poco tempo da dedicare a questa meravigliosa forma d'arte. Ho visto per la prima volta questo capovaloro solo ieri e poi l'ho, innamoratomene, ho rivisto il film una seconda volta oggi. Ho scoperto di amare Sorrentino dopo aver visto, più e più volte, "la grande bellezza". Ora ho visto anche "This must be the place" ed è un altro film increbibile. Sto leggendo svariate recensioni e commenti sul web. Permettimi di dirti (con un tu confidenziale che forse non dovrei usare ma che spero potrai perdonarmi..) che la tua recensione, così come il film, è un piccolo capolavoro e che hai messo a fuoco come nessun altro tutti gli aspetti che rendono questo film un'opera d'arte ed un meraviglioso racconto dell'essere umano e della vita.
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Pur essendo appassionato da tanti anni del bel cinema purtroppo gli impegni della vita mi lasciano poco tempo da dedicare a questa meravigliosa forma d'arte. Ho visto per la prima volta questo capovaloro solo ieri e poi l'ho, innamoratomene, ho rivisto il film una seconda volta oggi. Ho scoperto di amare Sorrentino dopo aver visto, più e più volte, "la grande bellezza". Ora ho visto anche "This must be the place" ed è un altro film increbibile. Sto leggendo svariate recensioni e commenti sul web. Permettimi di dirti (con un tu confidenziale che forse non dovrei usare ma che spero potrai perdonarmi..) che la tua recensione, così come il film, è un piccolo capolavoro e che hai messo a fuoco come nessun altro tutti gli aspetti che rendono questo film un'opera d'arte ed un meraviglioso racconto dell'essere umano e della vita. Grazie di cuore per la tua recensione. Roberto
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danko188
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lunedì 14 marzo 2016
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"qualcosa mi ha disturbato"
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Cheyenne (Sean Penn) ha 50 anni ed è un ex rock star che ha perso se stesso. Il suo volto è coperto da una maschera di trucco che alla sera rimuove davanti allo specchio, assieme all’energica moglie (Frances McDormand), sua compagna da 35 anni. Il successo del passato ha dato all’ora emaciato Cheyenne popolarità e denaro, che dopo tanti anni di inattività gli permette ancora di vivere dignitosamente in una grande casa a Dublino che appare, da un punto di vista dell’arredamento, spoglia e semivuota. Nel grande giardino verde che la circoscrive c’è anche una grande piscina che i due coniugi impiegano però per giocare a squash, convinti che sia più divertente che nuotare e basta.
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Cheyenne (Sean Penn) ha 50 anni ed è un ex rock star che ha perso se stesso. Il suo volto è coperto da una maschera di trucco che alla sera rimuove davanti allo specchio, assieme all’energica moglie (Frances McDormand), sua compagna da 35 anni. Il successo del passato ha dato all’ora emaciato Cheyenne popolarità e denaro, che dopo tanti anni di inattività gli permette ancora di vivere dignitosamente in una grande casa a Dublino che appare, da un punto di vista dell’arredamento, spoglia e semivuota. Nel grande giardino verde che la circoscrive c’è anche una grande piscina che i due coniugi impiegano però per giocare a squash, convinti che sia più divertente che nuotare e basta. Questo e ben poco altro riempie la vita monotona di Cheyenne, oltre alla compagnia della giovane Mary, adolescente problematica e triste per la perdita del fratello scappato di casa, che ha provocato nella madre un vuoto incolmabile e una condizione psicologica sempre più precaria. A sconvolgere e scuotere l’animo del protagonista è una chiamata dagli Stati Uniti: il padre che non rivede da tanti anni sta per morire. Ogni cosa, da allora, prende una piega diversa e il viaggio che Cheyenne è pronto ad intraprendere lo cambierà per sempre.
E’ un viaggio alla ricerca di sé, verso la propria attuale accettazione, quello compiuto da John Smith (vero nome del protagonista) dopo la scomparsa del padre. Un’avventura spinta dalla sola vendetta, quella di restituire ad un nazista la stessa umiliazione che egli ha inferto al padre ebreo negli anni ’40 che finirà per diventare l’esperienza spartiacque tra l’età giovanile in cui il non più giovane Cheyenne si trova ancora immerso, e quella della maturità, della coscienza del proprio essere cessando di fuggire alle proprie responsabilità. Una storia che assume nel suo lento scorrere i caratteri di un romanzo di formazione uniti a quelli del picaresco che attraversa le tematiche più disparate, innescando in Cheyenne una sorta di rivalutazione del proprio vissuto che sfiora a tratti l’autocommiserazione (fenomenale la scena con David Byrne) a momenti di ironia ad altri ancora di semplice apatia. Una riflessione molto delicata e autocritica dell’esistenza: cosa ho fatto? Cosa avrei voluto fare? E come invece è andata? Queste sono solo alcune delle domande che si insinuano nella mente del protagonista, domande che possono scuotere lo spettatore chiedendosi di come si è vissuto il tempo, cosa si è stato fatto in passato e se c’è spazio per qualche rimpianto, che concezione si ha del mondo dell’arte e soprattutto con che occhio si vede chi quella stessa arte ce la propina. Sorrentino ad esempio ha un modo tutto suo di farlo, uno stile comunicativo peculiare che ne fanno uno dei più apprezzati all’estero, adoperando il mezzo con maestria e curando i particolari delle inquadrature fisse e quelle in cui la macchina da presa si muove più o meno lentamente, forse con un po’ di quella spocchia che ricorda Anonion ma che in un cinema carente di idee e innovazione come il nostro di certo non guasta. Criticatissimo non tanto per lo stile di regia quanto per i contenuti effettivi dei suoi film in cui secondo i detrattori l’estetica piuttosto che arricchire, sopprime il significato e il messaggio dell’opera. This must be the place che è sin dal titolo un tributo esplicito ai Talking Heads, la cui canzone omonima accompagna i momenti più carichi di intensità drammatica del film, oltre a racchiudere il finale in cui si giunge al nazista e si può finalmente esclamare “Deve essere questo il luogo”. E’ a mio avviso il film più maturo ed equilibrato del regista napoletano, un capolavoro in cui la musica viene utilizzata come meglio non farà nemmeno nei lavori futuri, e la potenza delle immagini è proporzionata al contenuto assumendo un valore che non è mesto decoro bensì la candida rappresentazione emotiva del protagonista, sublime lavoro fotografico di Luca Bigazzi. La tanto criticata spocchia da macho intellettuale che nutre l’effimero piacere della visione in maniera ridondante e forzata è ridotta qui ai minimi termini e le scene sono funzionali alla narrazione senza farla traboccare di trovate fini a se stesse. Qualche rassomiglianza tra Cheyenne e tutti gli altri personaggi della filmografia sorrentiniana, uomini problematici e solitari, alienati nella penombra, o intellettuali disillusi, in particolare con L’uomo in più, lavoro primo del regista che ci ha inoltrati nel declino di due star. Personalmente vedo a This must be the place come ad una versione matura di quel film, in cui il protagonista ritrova la redenzione personale e la riscoperta dei valori nel pieno della sua discesa. Più di una nota di merito va a Sean Penn, che dopo l’oscar per Milk ci ha regalato quella che da diversi anni è la sua ultima grande interpretazione in un ruolo impegnativo.
Voto 8.5
Danko188
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dario
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lunedì 14 dicembre 2015
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inutile
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Senza capo né coda. Sceneggiatura magrissima, incapacità narrativa, ricorso a stereotipi, solo una gran bella fotografia. Attori spaesati (la McDormand sprecatissima) tranne qualche caratterista. Penn irritante, assurdo. Sorrentino, ovvero tanta presunzione e poca sostanza. Una conferma, purtroppo. Non è un intellettuale, è un orecchiante.
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peer gynt
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mercoledì 7 ottobre 2015
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falso d'autore
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Paolo Sorrentino è sicuramente un regista abile e molto capace. Sa creare cinema, scene accattivanti, accostamenti suono-immagini che funzionano. Ma qualcosa non va. Ci si sente uno strano ruffianesimo di fondo, che scorre per tutto il film. Sorrentino è bravo, infatti ha preso un ottimo attore (Penn), un ottimo musicista (Byrne), un ottimo direttore della fotografia (Bigazzi). Ma il film sa di falso dalla prima scena all'ultima. Lo stile è di quelli che non si devono dimenticare: Sorrentino indulge continuamente sui lenti carrelli che fanno pensare, sugli ampi dolly che sottolineano il valore simbolico della scena che abbiamo appena visto. Ma i personaggi dove sono? Cheyenne, lungi dall'essere un personaggio, è una maschera a metà strada fra il grottesco e la caricatura.
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Paolo Sorrentino è sicuramente un regista abile e molto capace. Sa creare cinema, scene accattivanti, accostamenti suono-immagini che funzionano. Ma qualcosa non va. Ci si sente uno strano ruffianesimo di fondo, che scorre per tutto il film. Sorrentino è bravo, infatti ha preso un ottimo attore (Penn), un ottimo musicista (Byrne), un ottimo direttore della fotografia (Bigazzi). Ma il film sa di falso dalla prima scena all'ultima. Lo stile è di quelli che non si devono dimenticare: Sorrentino indulge continuamente sui lenti carrelli che fanno pensare, sugli ampi dolly che sottolineano il valore simbolico della scena che abbiamo appena visto. Ma i personaggi dove sono? Cheyenne, lungi dall'essere un personaggio, è una maschera a metà strada fra il grottesco e la caricatura. Tutti gli altri personaggi (Mary, Jeffery, Jane la moglie di Cheyenne, l'uomo d'affari Ernie Ray, Steven il leader della band dal nome escrementizio, Desmond l'imbranato spasimante di Mary) tali non sono, sono solo macchiette, comparse da sfondo, che ben servono a porgere le battute della sceneggiatura di Sorrentino, uno script aforismatico, pieno di frasi ad effetto, forzatamente poetiche, ostentatamente liriche, fascinosamente ossimoriche. La comparsa di animali singolari in contesti stranianti (si pensi ad Emily, l'oca della professoressa, o al bufalo di qualche scena dopo) e lo sfilare continuo di comparse anch'esse stranianti (l'uomo tatuato del bar, l'uomo vestito da Batman, la bella donna con la gamba ingessata, l'indiano in giacca e cravatta che chiede un passaggio) sono espressione di quel fellinismo di maniera di cui Sorrentino soffre e che avrà la sua apoteosi nel successivo "La grande bellezza".
Insomma, se fai un road-movie filosofico-introspettivo con un grande attore e una dialettica spazio-tempo sulla quale qualche laureando in cinema possa imbastire un'analisi semiologica, allora sei un grande regista di film d'arte. No, non ci facciamo incantare da un film costruito a tavolino per piacere ma vuoto di contenuti e pieno di simboli e simbolismi. E soprattutto non perdoniamo a Sorrentino di aver malamente usato, sfruttandola per i suoi scopi, una delle più fascinose e sospese musiche mai scritte, "Spiegel im spiegel" di Arvo Part, che a Sorrentino serve solo per muovere e commuovere lo spettatore. A noi invece, per sentire la voce di Dio.
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iron79
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giovedì 1 ottobre 2015
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un film piacevole ed interessante
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Rappresentata molto bene la personalità di una ex rock star quasi pentita, che in realtà si esibiva seguendo la moda dark del momento solo perchè guadagnava bene (un po' come il 95% dei musicisti famosi...). A 50 anni, abbandonata una vita di eccessi, si ritrova ad essere una specie di emarginato che campa di rendita con il cervello di un bambino. Personalmente l'ho apprezzato, forse ha qualche calo di ritmo in certi frangenti, ma nel complesso decisamente piacevole da vedere.
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monicamontanari
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mercoledì 20 maggio 2015
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caleidoscopico
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Breve cenno su ciò di cui stiamo parlando. Una maschera dalla notte del rock si aggira accolto, ricco, benvoluto e benevolente prima in Irlanda e poi in Usa. Sean Penn dark e clownesco un po’ “Chance il giardiniere” ci guida in un viaggio meraviglioso nell’America buona, tra cacciatori di nazisti e morti viventi. Non dico di più guasterei la festa.
Dico subito che questo film non avrei voluto vederlo, “La grande Bellezza” non mi è piaciuto e la prospettiva di un film di Sorrentino non mi faceva impazzire. È stato invece uno dei rari momenti di sommergente riconoscenza per l’inventore della televisione (in questo caso IRIS).
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Breve cenno su ciò di cui stiamo parlando. Una maschera dalla notte del rock si aggira accolto, ricco, benvoluto e benevolente prima in Irlanda e poi in Usa. Sean Penn dark e clownesco un po’ “Chance il giardiniere” ci guida in un viaggio meraviglioso nell’America buona, tra cacciatori di nazisti e morti viventi. Non dico di più guasterei la festa.
Dico subito che questo film non avrei voluto vederlo, “La grande Bellezza” non mi è piaciuto e la prospettiva di un film di Sorrentino non mi faceva impazzire. È stato invece uno dei rari momenti di sommergente riconoscenza per l’inventore della televisione (in questo caso IRIS). Uno dei film migliori degli ultimi anni. Bello il plot, la sceneggiatura, la recitazione pazzesca di Sean Penn e il cinema cinema. Quello di Sorrentino alla Jim Jarmush: apparizioni caleidoscopiche convergenti (come anche ne “La grande Bellezza”) sulla comparsa dell’animale totemico, chiave simbolica di rivelazione narrativa (in “This must be the place”, bisonte americano; ne “La grande Bellezza”, fenicotteri). Meraviglioso.
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(di ragnetto46)
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achab50
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lunedì 12 gennaio 2015
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on the road al ritmo di passacaglia
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E' un film molto coerente nel suo messaggio, vorrei dire roccioso: tutto è lento ed inesorabile, l'eloquio del protagonista, le inquadrature, le situazioni, a volte anche la colonna sonora. Tutto conduce ad un percorso interiore del protagonista Cheyenne, uno strepitoso Sean Penn che riesce nell'impossibile impresa di camminare sempre sull'orlo del grottesco senza mai caderci.
Questa specie di maschera ambulante si rivela man mano nello svolgimento della storia come persona di acuta intelligenza, di straziata ricerca di un punto fermo da cui ripartire. Ed a questo giovano certo gli strepitosi incontri, in pura salsa on the road e perciò piacevolissima. Tutti personaggi lunari, imprevedibili, incredibili, tipici di una periferia Usa senza speranza.
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E' un film molto coerente nel suo messaggio, vorrei dire roccioso: tutto è lento ed inesorabile, l'eloquio del protagonista, le inquadrature, le situazioni, a volte anche la colonna sonora. Tutto conduce ad un percorso interiore del protagonista Cheyenne, uno strepitoso Sean Penn che riesce nell'impossibile impresa di camminare sempre sull'orlo del grottesco senza mai caderci.
Questa specie di maschera ambulante si rivela man mano nello svolgimento della storia come persona di acuta intelligenza, di straziata ricerca di un punto fermo da cui ripartire. Ed a questo giovano certo gli strepitosi incontri, in pura salsa on the road e perciò piacevolissima. Tutti personaggi lunari, imprevedibili, incredibili, tipici di una periferia Usa senza speranza.
La splendida fotografia molto satura su alcuni toni giova molto a questo film che va gustato con calma e quando si è calmi.
Risottolineo il ruolo di Sean Penn, da Oscar, ed infatti non l'ha vinto.
Di grande qualità anche il doppiaggio.
Regia molto attenta ed impeccabile
Film quasi capolavoro, o forse capolavoro semplicemente.
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