giacomogabrielli
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giovedì 22 settembre 2011
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inside polansky. *****
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Inaspettata bomba cinematografica che travolge dal primo all'ultimo minuto. Un cast impressionante (e che impressiona!), una regia magistrale e soprattutto un'idea ed una sceneggiatura da far venire i brividi. Forse il film "più-Polansky" che ci sia. Un film che ha il pregio di sfiorare il demenziale, ma senza sfociare nel ridicolo. Un'opera superba che senza tanti giri di parole o dilungamenti inutili ti mette davanti alla faccia due uomini e due donne che alla fine si riveleranno l'uno la copia dell'altro. Si nota la provenienza teatrale del copione, ma Polansky fa scivolare come il burro le quasi 2 ore di durata, grazie alla magia che solo un veterano come lui può donare ai suoi film.
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Inaspettata bomba cinematografica che travolge dal primo all'ultimo minuto. Un cast impressionante (e che impressiona!), una regia magistrale e soprattutto un'idea ed una sceneggiatura da far venire i brividi. Forse il film "più-Polansky" che ci sia. Un film che ha il pregio di sfiorare il demenziale, ma senza sfociare nel ridicolo. Un'opera superba che senza tanti giri di parole o dilungamenti inutili ti mette davanti alla faccia due uomini e due donne che alla fine si riveleranno l'uno la copia dell'altro. Si nota la provenienza teatrale del copione, ma Polansky fa scivolare come il burro le quasi 2 ore di durata, grazie alla magia che solo un veterano come lui può donare ai suoi film. Lode a tutti, ma la Winslet e Waltz si contraddistinguono. INSIDE POLANSKY. *****
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(di giacomogabrielli)
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gabriella
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venerdì 9 marzo 2012
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scannatoio domestico
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Si potrebbe definire una specie di terapia di gruppo quella che si svolge nell’appartamento newyorkese dei Longstreet, due coppie si trovano a discutere di un incidente avvenuto tra i rispettivi figli, uno ha rotto gli incisivi a l’altro. Dopo i convenevoli iniziali conditi di buone maniere, di sorrisi disegnati, di fette di torta e caffè di cortesia, in quella condizione cioè che costringe ogni essere umano a calarsi in una “forma” che lo colloca in una determinata posizione sociale, ecco che si libera invece quel bisogno di libertà che come sosteneva Dostojeski è ancella dell’identità.
Ma se la verità è libertà, è poi davvero sopportabile o non è invece la strada per la solitudine?
E’ quanto emerge dalle coppie che si confrontano quando decidono di mandare al diavolo le buone maniere e si scontrano a viso aperto, i toni si accendono, volano invettive, insulti, rivendicazioni, si vomita ( letteralmente) la propria frustrazione, il malessere accumulato fino a una deflagrazione che trasforma il salotto dei Longsatreet in un vero campo di battaglia, in un interscambio continuo tra vittima e carnefice.
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Si potrebbe definire una specie di terapia di gruppo quella che si svolge nell’appartamento newyorkese dei Longstreet, due coppie si trovano a discutere di un incidente avvenuto tra i rispettivi figli, uno ha rotto gli incisivi a l’altro. Dopo i convenevoli iniziali conditi di buone maniere, di sorrisi disegnati, di fette di torta e caffè di cortesia, in quella condizione cioè che costringe ogni essere umano a calarsi in una “forma” che lo colloca in una determinata posizione sociale, ecco che si libera invece quel bisogno di libertà che come sosteneva Dostojeski è ancella dell’identità.
Ma se la verità è libertà, è poi davvero sopportabile o non è invece la strada per la solitudine?
E’ quanto emerge dalle coppie che si confrontano quando decidono di mandare al diavolo le buone maniere e si scontrano a viso aperto, i toni si accendono, volano invettive, insulti, rivendicazioni, si vomita ( letteralmente) la propria frustrazione, il malessere accumulato fino a una deflagrazione che trasforma il salotto dei Longsatreet in un vero campo di battaglia, in un interscambio continuo tra vittima e carnefice. Penelope ( una bravissima Jody Foster il cui doppiaggio non le rende giustizia), manifesta da subito una malcelata aggressività, presa dalle sue cause civili e umanitarie, anziché essere apprezzata viene derisa e non solo dal marito , anche dall’avvocato Cowen “ voi donne pensate troppo, siete così noiose, mentre a noi interessano solo le tempeste ormonali”.
Sarebbe il caso di dire che il “ re è nudo” è non è un bello spettacolo, si evidenziano le magagne, le imperfezioni, tramutate in contraddizioni; Penelope è convinta assertrice della non violenza, poi si scaglia come una furia sul marito, Alan Cowen fa notate al Michel Longstreet di come si fa gestire dalla moglie, ma quando Nancy, esasperata, gli scaglia il cellulare in un vaso d’acqua, si sente smarrito, oppure quando Nancy dà di stomaco, la prima cosa che fa è di andare in bagno a pulirsi i pantaloni, anziché preoccuparsi per lei. La disputa continua e i contendenti si schierano col nemico ( gli uomini che sorseggiano il drink, le donne che si ubriacano), e tra l’aplomb maschile e isterie femminili che culminano con un mazzo di tulipani decapitati, scaturisce l’umorismo, il senso del comico che distrugge ogni residua illusione umana, compresa la capacità di capire noi stessi. Probabilmente rimarrà solo uno sfogo che non condurrà da nessuna parte, perché non vogliono realmente cambiare le cose, le coppie che alla fine ritroviamo stremate sul divano, mentre l’inquadratura finale vede in lontananza ( lontano dalla vista dei loro genitori, ma anche dal loro immaginario), i due ragazzini che da soli hanno sicuramente trovato la scorciatoia per risolvere le loro divergenze.. forse domani diventeranno uguali ai loro genitori, ma intanto possiedono ancora, per fortuna la libertà della spontaneità e di una verità non filtrata che si basta si sé stessa, senza compiacere nessuno.
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johnny1988
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martedì 20 settembre 2011
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diplomazia e buone maniere
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Parliamo di una commedia che si svolge in tempo reale. Ambientazione New York. Non ci si può spiegare se il regista abbia scelto l'ambientazione americana per pura casualità o per scherzo verso un paese a lui ostile (ndr).
Il film si apre con un campo lunghissimo, dietro i titoli di testa assistiamo a un episodio di violenza. Due ragazzini nel parco si scontrano e uno ne esce con due denti in meno. Dissolvenza. I genitori della vittima ospitano a casa loro i genitori dell'aggressore, col desiderio comune di risolvere il fatto civilmente, fra brave persone. Michael (John C.Reilly) lavora come venditore di prodotti domestici, è semplice e bonario; la moglie Penelope (Jodie Foster) fa la casalinga acculturata, colleziona libri d'arte e scrive saggi sull'Africa, è pacifista, crede fermamente nell'educazione, si impegna nelle lotte civili per i diritti umani e contro la povertà nel terzo mondo; Alan (Christoph Waltz) è un grosso imprenditore, riserva più attenzioni al suo blackbarry che alla consorte Nancy (Kate Winslet), a sua volta operatrice finanziaria, che si occupa della famiglia.
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Parliamo di una commedia che si svolge in tempo reale. Ambientazione New York. Non ci si può spiegare se il regista abbia scelto l'ambientazione americana per pura casualità o per scherzo verso un paese a lui ostile (ndr).
Il film si apre con un campo lunghissimo, dietro i titoli di testa assistiamo a un episodio di violenza. Due ragazzini nel parco si scontrano e uno ne esce con due denti in meno. Dissolvenza. I genitori della vittima ospitano a casa loro i genitori dell'aggressore, col desiderio comune di risolvere il fatto civilmente, fra brave persone. Michael (John C.Reilly) lavora come venditore di prodotti domestici, è semplice e bonario; la moglie Penelope (Jodie Foster) fa la casalinga acculturata, colleziona libri d'arte e scrive saggi sull'Africa, è pacifista, crede fermamente nell'educazione, si impegna nelle lotte civili per i diritti umani e contro la povertà nel terzo mondo; Alan (Christoph Waltz) è un grosso imprenditore, riserva più attenzioni al suo blackbarry che alla consorte Nancy (Kate Winslet), a sua volta operatrice finanziaria, che si occupa della famiglia. I due ospiti partono con le migliori intenzioni, appaiono molto comprensivi, offrono caffè e torta di mele, chiacchierano di animali domestici, di ricette, di prodotti casalinghi, di carestia nel Darfur, di quanto sia importante la diplomazia nell'evoluzione umana. Fin quando Nancy (Kate Winslet), debole di stomaco, vomita tutto il dolce sui libri d'arte di Penelope. E se la tensione, già evidente fin dai primi minuti, non esplode ora, lo scontro si apre non appena Penelope, sull'uscio, ironizza sull'educazione dei figli. Calano le maschere, escono fuori le unghie. La farsa delle virtù borghesi lascia di punto in bianco il posto a un decadente sfogo delle rispettive frustrazioni e ai dispetti di ogni genere. A cominciare da Penelope, che una volta perse le staffe dimentica il suo pacifismo, alza il gomito e prende a sberle il marito. La schermaglia scende ai livelli più infantili, fra i fumi di uno scotch invecchiato e di qualche sigaro, le coppie e le difese si sfaldano, ne nascono delle nuove, ora fra gli uomini, ora fra le donne. Non c'è né carnefice né vinto, resta solo un denominatore comune, dover riconoscere che per tutti è il giorno più infelice mai passato. Polanski si diverte dietro la macchina da presa quanto lo spettatore in sala, ci fa assaggiare nel suo menu gli antipasti più delicati per poi passare alle portate più salate, fino alla frutta e al liquorino del dopo cena, dentro le pieghe di una parodia dei buoni costumi e della terapia di gruppo. Gli attori si giocano il palcoscenico col massimo coinvolgimento, e fanno a gara a chi sbocca più vizi dell'altro. Jodie Foster vince in rughe e occhi rossi, ma è la Winslet a dominare la scena con nausea e un'interpretazione british, mentre gli uomini si contrappongono l'uno per isterismo e mediocrità, l'altro per cinismo e sottigliezza, quest'ultimo con un calvario di battute fra le più folgoranti della commedia. Si tratta di un'opera poco grottesca e meno amara di quello che può sembrare, senza filtri, priva di retorica, ma bisogna riconoscere un nugolo realistico di doppie facce messe alla nostra berlina e noi, per paradosso, non facciamo che ridere, di riflesso, delle nostre contraddizioni. Ironia di fondo? Gli stessi bambini che all'inizio del film erano tanto nemici, simpatizzano dietro i titoli di coda nello stesso parco, intenti su un cellulare, forse un blacbarry..
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lucapic
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domenica 25 settembre 2011
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il dio del massacro secondo polanski
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La trama è facile (ed ormai conosciutissima). New York, il figlio di Nancy ed Alan (Kate Winslet e Christoph Waltz) ha colpito con un bastone al parco il figlio di Penelope e Micheal (Jodie Foster e John C. Reilly) causandogli delle serie lesioni dentali. I quattro si ritrovano a casa di Micheal e Penelope per stipulare, in maniera civile e moderata, un accordo in una sorta di contrattazione amichevole. Dopo di questo, il diluvio. Settantanove minuti ( è brevissimo e veloce) di abbattimento di maschere (chi prima e chi dopo) fatte di buon costume, regole e ipocrisie, e lo svelarsi di anime dove la vera protagonista è la parola (nel parlato che dissimula la vera natura ma anche tradisce per l’uso improvviso di certi verbi e aggettivi,sempre spunto per nuovi dibattiti) in uno scenario fatto di pochi ambienti (salotto, cucina, bagno e corridoio d’ingresso) con lo stratagemma che rimanda a quello usato da Bunuel ne L’Angelo Sterminatore (come ricorda Mariuccia Ciotta del Manifesto) per cui i personaggi non escono di casa nonostante la voglia (qui niente di paranormale però!).
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La trama è facile (ed ormai conosciutissima). New York, il figlio di Nancy ed Alan (Kate Winslet e Christoph Waltz) ha colpito con un bastone al parco il figlio di Penelope e Micheal (Jodie Foster e John C. Reilly) causandogli delle serie lesioni dentali. I quattro si ritrovano a casa di Micheal e Penelope per stipulare, in maniera civile e moderata, un accordo in una sorta di contrattazione amichevole. Dopo di questo, il diluvio. Settantanove minuti ( è brevissimo e veloce) di abbattimento di maschere (chi prima e chi dopo) fatte di buon costume, regole e ipocrisie, e lo svelarsi di anime dove la vera protagonista è la parola (nel parlato che dissimula la vera natura ma anche tradisce per l’uso improvviso di certi verbi e aggettivi,sempre spunto per nuovi dibattiti) in uno scenario fatto di pochi ambienti (salotto, cucina, bagno e corridoio d’ingresso) con lo stratagemma che rimanda a quello usato da Bunuel ne L’Angelo Sterminatore (come ricorda Mariuccia Ciotta del Manifesto) per cui i personaggi non escono di casa nonostante la voglia (qui niente di paranormale però!). Christoph Waltz che non smette del tutto i panni del nazista poliglotta di Bastardi Senza Gloria e ritorna con un cinico, spietato e darwinista avvocato devoto (e non ne fa mistero sin da subito) al dio del massacro, inquietante ed espressivo come al solito. Kate Winslet composta madre ed operatrice finanziaria, specchietto-dipendente, si libera pian piano, reagendo al marito e al suo assurdo attaccamento al cellulare (ovvero alla carriera) e ai due ospitanti. John C. Reilly, commerciante modesto, abbigliato ad hoc per l’occasione da intellettuale, finto moderato e pacifico, è quello che stupisce di più per il cambio netto da un atteggiamento all’opposto, stranamente affine a quello di Waltz. Infine Jodie Foster, vera intellettuale e scrittrice di un libro sul Darfur, che piange, si stupisce (soprattutto del marito), si arrabbia e si limita, è quella più ossessivamente colpita dall’ideale di giustizia e si prodiga (è molto pedagogica) per le sue ragioni nonostante le ambizioni degli altri a ridurle o a demonizzarle. E tu? Tu stenti a dare ragione a qualcuno di loro ma ritrovi modelli di comportamento e di pensiero familiari. Tra vomitate, tulipani olandesi, libri d’arte rari e torte di mele (con aggiunta di pere) un dramma serio (che ha il sapore un po’ retrò del vecchio cinema anni settanta) sorretto da un cast eccellente. Da vedere (ovviamente) anche per rispolverare un tipo di cinema che manca. La regia del maestro Polanski co-sceneggiato con Yasmina Reza (autrice della pièce teatrale da cui è tratta la sceneggiatura, in libreria Il Dio del Massacro, Adelphi). Nessun premio alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, nonostante l’entusiasmo della critica.
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mytho
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martedì 27 settembre 2011
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un piccolo gioiello del cinema contemporaneo
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Di certo la firma di Polanski c'è. E si sente. Lo spettatore che , sulle prime si siede con un minimo di indecisione sulla poltrona, perchè non ha ben chiaro come sarà possibile orchestrare oltre un' ora e mezza di dialogo tra quattro individui confinati una sola stanza, rimane poi piacevolmente conivolto e ,a tratti, divertito dalla conduzione orchestrale di un film che ,spesso, sfocia in una serie di situazioni tanto paradossali, quanto reali; reali al punto di indurci a chiederci : "ma io nella stessa situazione come mi comporterei"? .
Tutta la struttura del film si basa su uno dei fenomeni più antichi e diffusi del mondo: il rapporto tra bambini.
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Di certo la firma di Polanski c'è. E si sente. Lo spettatore che , sulle prime si siede con un minimo di indecisione sulla poltrona, perchè non ha ben chiaro come sarà possibile orchestrare oltre un' ora e mezza di dialogo tra quattro individui confinati una sola stanza, rimane poi piacevolmente conivolto e ,a tratti, divertito dalla conduzione orchestrale di un film che ,spesso, sfocia in una serie di situazioni tanto paradossali, quanto reali; reali al punto di indurci a chiederci : "ma io nella stessa situazione come mi comporterei"? .
Tutta la struttura del film si basa su uno dei fenomeni più antichi e diffusi del mondo: il rapporto tra bambini. QUante volte abbiamo sentito dire frasi come " i bambini sanno essere crudeli" o " l'ingenuità di un bambino". Ecco! Polanski si basa su questi due luoghi comuni per sviscerare cosa comporta ad altri livelli , un evento banale come una lite tra due bambini che (si sa) , alla fine, si risolve sempre in una stretta di mano o in una partita di pallone. La situazione parte in modo che più realistico non si potrebbe, due coppie di genitori di differenti ceti ed estrazione a confronto, e sarà proprio questo confronto a renderli per certi versi uguali, portandoli ad allearsi mentalmente prima con l'uno, poi con'laltro in un costante crescendo di tensione e sadica ironia. il genitore che prende le parti del figlio non per il suo bene, ma perchè ferito nel suo orgoglio nel sentire accusare qualcosa di suo o nel veder sfregiato un suo avere. Ecco quindi l'utilizzo del figlio come "mezzo" per portare a galla 4 diversi stati di frustrazione e malessere interiore, celati dal buon nome, dall'alto livello sociale, dal lavoro o dalla ricerca spasmodica del non essere identificabili come prodotto della società attuale .
Ottima a mio avviso l'interpretazione di Kate Winslet anche se, a livello introspettivo, il personaggio più interessante rimane quello intepretato da Jodie Foster, madre del ceto medio che tenta di sfuggire mentalmente dal suo status sociale affidandosi ad arte e letture, sulle quali investe tutta la sua energia mentale e fisica, che usa come scappatoia dai problemi della vita di tutti i giorni.
In definitiva, un piccolo gioello di questo stagione cinematografica che , anche se solo per una volta, consiglio di vedere.
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annalice
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martedì 27 settembre 2011
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un crescendo di tensione svela l'ipocrisia sociale
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Un crescendo di intensità e tensione emotiva, per svelare l’ipocrisia imperante nel mondo degli adulti. L’ultimo film di Roman Polanski è il ritratto impietoso di una società schiacciata dal conformismo, ostentato nel tentativo di celare la reale natura dell’uomo contemporaneo: l’egoismo individualista.
La carneficina, a cui fa riferimento il titolo, è quella che si consuma tra due coppie per bene. Le loro strade si si scontrano – a causa dei figli, due ragazzini che litigano in un parco. I genitori del ferito chiedono un incontro a madre e padre del piccolo aggressore, per appianare il dissidio da adulti. L’obiettivo conclamato è dare una lezione di responsabilità e civiltà ai due figli ribelli.
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Un crescendo di intensità e tensione emotiva, per svelare l’ipocrisia imperante nel mondo degli adulti. L’ultimo film di Roman Polanski è il ritratto impietoso di una società schiacciata dal conformismo, ostentato nel tentativo di celare la reale natura dell’uomo contemporaneo: l’egoismo individualista.
La carneficina, a cui fa riferimento il titolo, è quella che si consuma tra due coppie per bene. Le loro strade si si scontrano – a causa dei figli, due ragazzini che litigano in un parco. I genitori del ferito chiedono un incontro a madre e padre del piccolo aggressore, per appianare il dissidio da adulti. L’obiettivo conclamato è dare una lezione di responsabilità e civiltà ai due figli ribelli. Il risultato è una guerra, a colpi di parole, tra coppie dai contrasti irrisolti. Basta una frase di troppo ad accendere la miccia che fa esplodere un conflitto latente, all’inizio appena accennato dietro sguardi e convenevoli di circostanza. Un conflitto che, dall’educazione dei figli, giunge a coinvolgere i modi di essere “cittadini del mondo”, con un unico imperativo: attaccare per non soccombere, in questa guerra di tutti contro tutti chiamata “società”.
È così che quattro individui, all’apparenza integrati, lasciano andare i freni inibitori e si rivelano per ciò che sono realmente: insoddisfatti cronici. Ecco, allora, che emerge il secondo bersaglio preso di mira dal regista: la famiglia, là dove si annidano i mali che deflagrano all’esterno, l’istituzione regina delle maschere imposte dal perbenismo. A dirlo è Michael, incarnato dal poliedrico John C. Reilly: «I figli ti succhiano la vita. La famiglia è la peggiore delle torture!». Questo personaggio non fa che dare voce ai pensieri degli altri. Sua moglie (un’intensa Jodie Foster) è frustrata da «un marito nichilista che ha scelto di vivere nella mediocrità», mentre lei ha aneliti da intellettuale progressista che si batte per la civiltà e la pace nel mondo, ma si limita a farlo dal salotto di casa. L’altra coppia non è da meno: sotto la patina del successo lavorativo, si nasconde il gelo familiare. La graziosa Nancy (Kate Winslet) è schiacciata dall’indifferenza e dall’egoismo del marito Alan (il geniale Christoph Waltz, perfetto in ogni ruolo), che considera il matrimonio una gabbia e trascorre le giornate attaccato al BlackBerry. Lei neppure protesta più e si consola con make up e borsette.
Polanski rende questo volgere di una recita sociale in una carneficina tra adulti con la maestria che gli è consona. Il dramma dai tratti farseschi si svolge tutto all’interno di un salotto. L’intensità claustrofobica della situazione è accentuata da una macchina da presa che tallona i personaggi, usando emblematici primi piani che mostrano in maniera spietata – proprio come la locandina del film in stile pop art – il cambiamento involutivo delle due coppie: da educati e civili uomini di mondo a individui pronti a fare carne da macello tanto dei nemici che degli amici. Il ritmo angosciante di questo breve film è reso non solo dalle inquadrature, ma anche dalla padronanza interpretativa degli attori, quanto mai calzante in un’opera dalla forte impostazione teatrale. Alla fine, lo sguardo cinico del regista saluta gli spettatori con un messaggio di speranza, incarnata dai due ragazzini che giocano insieme, nell’unica scena del film girata all’esterno. Come a dire che la vera apertura, in un mondo provato dalla falsità, può muovere solo dall’intelligenza della spontaneità.
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albsorge
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giovedì 13 ottobre 2011
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barriera invisibile
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Due coppie benestanti, una stanza sigillata su una New York solo accennata, una serie infinita di dialoghi sconnessi e di fraintendimenti.
Più che al romanzo 'Il dio del massacro', Polanski sembra riflettere su di sè un insegnamento di hitchcockiana memoria, con tutta una serie di situazioni atte a far fluire la pellicola verso il punto di non ritorno, quello finale, quello dai quali i protagonisti e gli spettatori non possono fare a meno di guardare dentro se stessi.
La quotidianità estenuante di una circostanza troppo vicina alla realtà per non essere percepita come tale.
Litigi partoriti dal nulla, discussioni nate da inezie, urla laceranti ed insulti beceri.
Il baccano del non senso fa capolino attorno ad un tavolino di una sala da pranzo dove, ad un certo punto, sono ammassati dei bicchieri di scotch, dei libri d'arte e piatti stracolmi di torta alle mele ed alle pere.
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Due coppie benestanti, una stanza sigillata su una New York solo accennata, una serie infinita di dialoghi sconnessi e di fraintendimenti.
Più che al romanzo 'Il dio del massacro', Polanski sembra riflettere su di sè un insegnamento di hitchcockiana memoria, con tutta una serie di situazioni atte a far fluire la pellicola verso il punto di non ritorno, quello finale, quello dai quali i protagonisti e gli spettatori non possono fare a meno di guardare dentro se stessi.
La quotidianità estenuante di una circostanza troppo vicina alla realtà per non essere percepita come tale.
Litigi partoriti dal nulla, discussioni nate da inezie, urla laceranti ed insulti beceri.
Il baccano del non senso fa capolino attorno ad un tavolino di una sala da pranzo dove, ad un certo punto, sono ammassati dei bicchieri di scotch, dei libri d'arte e piatti stracolmi di torta alle mele ed alle pere.
Prima ci si difende, poi ci si attacca senza pietà. Prima si cerca la riconciliazione poi ognuno sembra avere un motivo valido per monetizzare l'odio represso da chissà quanto tempo verso il partner ma, soprattutto, verso se stesso.
E' allora quella la vera infelicità?
Una vita tranquilla, una famiglia come tante, una casa spaziosa che si affaccia su una delle metropoli più meravigliose del mondo.
No, questo non basta a ridonare il sorriso, quello vero, a delle persone che hanno smesso di amare e di amarsi.
Una barriera invisibile (tracce di Bunuel?) non permette a nessuno di scappare, di fuggire da quella opprimente esistenza finalizzata al rimpianto.
La lite tra i rispettivi figli dunque è solo una scusa, magari coscienzosa, per rispecchiare la rabbia adulta di chi non sa più come deve comportarsi, di chi non trova, appunto, alcuna via d'uscita.
Un pezzo di vita vera rimanda all'idea di un quesito universale che Polanski, come sempre, non manca di porre al pubblico e ai personaggi che compongono questo melodramma da camera chiusa.
Una serie di attori di sfavillante bravura (citazione particolare per le due prime-primissime donne, fantastiche nello sfidarsi e nell'annusarsi al di là del copione) rendono questo film semplice qualcosa di raro e, allo stesso tempo, di quasi indispensabile.
Leggermente, quasi sottovoce, rimane il dubbio che tutto sia stato un errore.
E forse è davvero così.
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binda
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sabato 3 marzo 2012
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due adolescenti
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Zachary e Ethan litigano fuori da scuola e uno colpisce duramente l'altro lasciadogli labbra gonfie e due denti rotti . I genitori della vittima invitano a casa loro i genitori del colpevole per chiarire la faccenda, appianare i conflitti e riconciliarsi. I convenevoli iniziali , ben presto, si trasformano e finiscono in una rissa furiosa che porta a una resa dei conti tra loro. Il problema è che la colpa è sempre dell'altro, nella valutazione dei genitori è inconcepibile che la questione sia nata casualmente e non creata da una causa esterna . Nella ricerca del colpevole la lite si trasforma in una assurda lotta tra le parti convinte entrambe che il proprio figlio non è mai dalla parte del torto, non sbaglia e non eccede.
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Zachary e Ethan litigano fuori da scuola e uno colpisce duramente l'altro lasciadogli labbra gonfie e due denti rotti . I genitori della vittima invitano a casa loro i genitori del colpevole per chiarire la faccenda, appianare i conflitti e riconciliarsi. I convenevoli iniziali , ben presto, si trasformano e finiscono in una rissa furiosa che porta a una resa dei conti tra loro. Il problema è che la colpa è sempre dell'altro, nella valutazione dei genitori è inconcepibile che la questione sia nata casualmente e non creata da una causa esterna . Nella ricerca del colpevole la lite si trasforma in una assurda lotta tra le parti convinte entrambe che il proprio figlio non è mai dalla parte del torto, non sbaglia e non eccede. Tutto si svolge in un solo ambiente, un appartamento di Brooklyn. Due famiglie borghesi piccoli piccoli si incontrano per risolvere la rissa scoppiata tra i figli e finiscono col massacrarsi nel salotto di casa.
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alex41
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martedì 2 ottobre 2012
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un film riuscito a metà
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Cominciamo subito dalle cose ovvie: "Carnage" è un film godibile con un'idea molto semplice e, soprattutto, quasi da cortometraggio, ma un contrometraggio allungato a 80 minuti. Gli attori del film sono solo quattro, e nel corso del film le situazioni cambiano, diventando sempre più surreali. Ma ecco la mia opinione su tutti e quattro gli attori:
- Jodie Foster, ormai la conosciamo tutti e sappiamo che è un vero talento naturale, e che in tutti i film dove recita è assolutamente da premio Oscar;
- Kate Winslet, col tempo è migliorata sempre di più diventando una delle migliori attrici dei nostri tempi. In questo film tocca grandissimi vertici, soprattutto nel finale;
- Christoph Waltz, mai visto un attore più spontaneo e naturale di lui: ogni sua espressione, movimento del viso è perfetta! Lui è la tutta la torta della ciliegina intera (che è il film);
- John C.
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Cominciamo subito dalle cose ovvie: "Carnage" è un film godibile con un'idea molto semplice e, soprattutto, quasi da cortometraggio, ma un contrometraggio allungato a 80 minuti. Gli attori del film sono solo quattro, e nel corso del film le situazioni cambiano, diventando sempre più surreali. Ma ecco la mia opinione su tutti e quattro gli attori:
- Jodie Foster, ormai la conosciamo tutti e sappiamo che è un vero talento naturale, e che in tutti i film dove recita è assolutamente da premio Oscar;
- Kate Winslet, col tempo è migliorata sempre di più diventando una delle migliori attrici dei nostri tempi. In questo film tocca grandissimi vertici, soprattutto nel finale;
- Christoph Waltz, mai visto un attore più spontaneo e naturale di lui: ogni sua espressione, movimento del viso è perfetta! Lui è la tutta la torta della ciliegina intera (che è il film);
- John C. Reilly, bravissimo attore comico molto sottovalutato, bravissimo soprattutto nella parte centrale del film. I suoi battibecchi con Christoph Waltz sono fenomenali!
La sceneggiatura è geniale, perché in molte scene riusciamo a immedesimarci in loro, anche se difficilmente riusciamo a tifare per qualcuno. Non riesco a definirlo "un film noioso", perchè è stato pensato così e secondo me il risultato è soddisfacente. Se Polanski ha puntato spesso alla parola "kolossal" con "Il Pianista" o "Oliver Twist", stavolta crea un film quasi da sitcom televisiva in una sola stanza, ma i dialoghi rendono il film piacevole e molto divertente. In questo film poi si sente anche aria di Tarantino (dialoghi perfetti e improvvisi colpi di scena), fratelli Coen (il finale) e Spike Lee (in molti dialoghi interni). L'unica pecca la do al finale: un film che stava andando così bene meritava una fine migliore al posto di un finale troppo aperto. Per il resto comunque è una commedia teatrale semplice ma geniale.
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giu/da(g)
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venerdì 14 dicembre 2012
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teatro o cinema?
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Due coppie di genitori si riuniscono per risolvere un litigio fra i loro figli, ma l’apparente cordialità iniziale lascia presto spazio alla messa a nudo di tutte le piccole e grandi ipocrisie della buona società. Carnage si presenta subito come un film di pregio, molto pulito nonostante il vomito, diretto abilmente nelle quattro mura di un appartamento ed arricchito da un cast di attori di altissimo livello. Eppure la trasposizione cinematografica aggiunge ben poco a Le dieu du massacre, il pluripremiato testo di Yasmina Reza: i tempi, le battute ed il modo di recitare rimangono quelli del teatro, poco viene lasciato all’interpretazione, all’approfondimento del soggetto.
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Due coppie di genitori si riuniscono per risolvere un litigio fra i loro figli, ma l’apparente cordialità iniziale lascia presto spazio alla messa a nudo di tutte le piccole e grandi ipocrisie della buona società. Carnage si presenta subito come un film di pregio, molto pulito nonostante il vomito, diretto abilmente nelle quattro mura di un appartamento ed arricchito da un cast di attori di altissimo livello. Eppure la trasposizione cinematografica aggiunge ben poco a Le dieu du massacre, il pluripremiato testo di Yasmina Reza: i tempi, le battute ed il modo di recitare rimangono quelli del teatro, poco viene lasciato all’interpretazione, all’approfondimento del soggetto. Il teatro è il teatro, il cinema è il cinema.
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