CARNAGE
Il chiuso di una stanza esaspera la compressione e manda letteralmente per aria il lungo processo con cui l’uomo ha sperato di governare la conquista della convivenza.
In questo film, Polanski non fa sconti e non concede alibi a nessuno. Ricordi del passato come l’acquisizione di un modus vivendi sociale sono frantumati, esplodono in un pulviscolo indistinguibile di cui i 4 protagonisti della storia (per non parlare del criceto) sono un simbolo.
La guerra di Carnage è senza frontiere. In un vertiginoso ma controllato crescendo che non ha nulla di rossiniano, vengono divelte le barriere messe a protezione di miti creduti solidi, tanto da essere dimenticati. Vanno a pezzi non tanto il bon ton o le buone regole imposte dalla necessità sociale, quanto tutto il mondo che ci sta dietro e che di quell’insieme di norme si fa ipocritamente scudo per sbandierare una forza che non esiste più, semmai sia esistita. All’interno di questa guerra avvengono passaggi intermedi, momentanee alleanze incrociate fra generi e sessi, si tenta di fare fronte comune contro nemici che si rivelano improvvisi e inattesi, finché non c’è il tutti contro tutti.
Polanski non sciupa e non perde niente dell’energia medianica di questa trama diabolica. Della sceneggiatura (come del maiale) non si butta via niente. Nessuna parola, ma nemmeno nessuna immagine è superflua. Le singole prove – come pure l’insieme corale – dei 4 protagonisti ci sono parse assolutamente inattaccabili e ci sembrerebbe ingeneroso privilegiare l’aspetto messo in luce in maniera più forte da uno o più degli attori a scapito degli altri. Kate Winslet, Christoph Waltz, Jodie Foster, John C. Reilly vivono dal di dentro questa sorta d’incubo domestico e ci pare difficile pensare che non ne siano usciti almeno un po’ trasformati.
Alla fine, Carnage è un film nichilista o forse una tragedia? Né l’uno, né l’altra a nostro avviso.
Lo sguardo del regista è sì di mefistofelico distacco dalle false meschinerie con cui l’uomo si crea certezze artificiali per la propria sopravvivenza, però, nella scena conclusiva, sembra più volersi fare beffe dell’uomo. ‘L’oggetto del contendere’ viaggia per conto suo a prescindere dalla guerra che gli si è scatenata attorno e persino il mondo animale più fragile sopravvive agevolmente lontano dalla ‘carneficina’ che l’uomo sembrerebbe non riuscire ad evitare. Come dire che l’essere umano non fa che accampare pretesti per prevaricare gli altri e si rivela incapace di una visuale ad ampio spettro.
Enzo Vignoli
3 ottobre 2011
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