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Massacro per quartetto da camera

Cinema e società nel gioco crudele di Polanski.
di Roy Menarini

Il regista Roman Polanski sul set del suo film Carnage.
Roman Polanski (Roman Liebling) (90 anni) 18 agosto 1933, Parigi (Francia) - Leone. Regista del film Carnage.

lunedì 19 settembre 2011 - Approfondimenti

I consensi critici spaventano sempre un po'. Riguardo a Carnage di Roman Polanski si è avvertito un coro di lodi pressoché unanimi. Per chi pensa che la critica e il gusto non siano una landa di assoluta arbitrarietà, ciò equivale a dire che Carnage si avvicina ad essere oggettivamente un bel film. Ciò non toglie che possiamo osare qualche riflessione in merito, magari scalfendo almeno la superficie di queste certezze.

La pièce di Yasmina Reza, "Il dio del massacro" (minuscolo nel testo originale, a scanso di equivoci), gode di minore unanimità. Molto amato dai produttori teatrali – che lo hanno portato in scena ovunque nell’Occidente, con attori anche noti quali James Gandolfini, Ralph Fiennes, o Isabelle Huppert in Francia, o qui da noi Silvio Orlando – il testo viene considerato dalla critica di settore più severa come "sopravvalutato". Il giudizio si spiega con un intento predicatorio e molto scoperto da parte della Reza, ovvero un impianto "a tesi" (sia pure benissimo congegnato), che nella lite isterica tra i quattro borghesi ci dimostra, col ditino alzato del moralista, quanto siamo tutti frustrati e ipocriti quando crediamo di dare lezioni ai nostri figli, e come la nostra società poggi su valori friabili e poco sinceri. In questa direzione, alcuni dialoghi troppo dimostrativi, il personaggio banale dell’avvocato delle multinazionali e dei farmaci dannosi, o quello del finto progressista che si svela cinico e nichilista come il rivale, porterebbero a un sostanziale annacquamento di un atto unico comunque innovativo e premiato da grande successo.

Ecco che, come sostenuto da critici come Goffredo Fofi, Emiliano Morreale o Mariuccia Ciotta, la forza del Carnage versione Polanski starebbe proprio nell’aver intuito i limiti della pièce e averla scossa dalle fondamenta. La collocazione newyorkese della vicenda, l'aggiunta di un prologo conturbante e di un epilogo beffardo, le scelte di messa in scena – puro cinema da camera polanskiano in stile La morte e la fanciulla – sono da considerarsi altrettante strategie in grado di liberarsi dal perimetro di Yasmina Reza e portare il film nel proprio discorso autoriale. Come benissimo ha notato anche Marzia Gandolfi nella sua recensione, si aggiunge un probabile discorso sull'America post-11 settembre e più di un’allusione alla propria prigionia domestica: i quattro, auto reclusi, sembrano ricacciati nell’appartamento ogni volta che cercano di uscire (qui la citazione più probabile in verità viene da L'angelo sterminatore di Buñuel, dove una forza oscura trattiene i personaggi all'interno di un salone borghese, portandoli all'esasperazione e alla sopraffazione reciproca).

Tutto vero. E condivisibile. Eppure, la sensazione che Carnage continui a sembrare un testo troppo intenzionale e piuttosto demagogico rimane. Oltre al fatto che gli attori si trovano qua e là in over-acting, ovvero sulla soglia di una recitazione eccessiva, tipica del teatro al cinema, e suggerita proprio dal tipo di dialogo. Come a dire: Polanski ha fatto tutto quello che poteva, ma la prigione meno visibile – cioè la gabbia di Yasmina Reza – è quella che possiede le sbarre più massicce.

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