Carnage |
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Un film di Roman Polanski.
Con Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly
Titolo originale Carnage.
Drammatico,
durata 79 min.
- Francia, Germania, Polonia, Spagna 2011.
- Medusa
uscita venerdì 16 settembre 2011.
MYMONETRO
Carnage
valutazione media:
3,68
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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4 genitori si scontrano per colpa dei loro figli.di Great StevenFeedback: 70013 | altri commenti e recensioni di Great Steven |
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lunedì 24 novembre 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
CARNAGE (FR/GERM/SP/POL, 2011) diretto da ROMAN POLANSKI. Interpretato da JODIE FOSTER – KATE WINSLET – CHRISTOPH WALTZ – JOHN C. REILLY § Carnage= carneficina. In un parco di New York, Zachary Cowan ferisce con un bastone il compagno di scuola Ethan Longstreet. I quattro genitori s’incontrano in casa Longstreet, famiglia della middle class colta e progressista, mentre i Cowan sono upper class, più ricchi, meno colti, più abituati a comandare. Per più di un’ora, discutendo tra loro, attraversano le situazioni del conformismo per abbandonarsi, sfiniti, allo sconforto di chi è consapevole, in nome dei figli, di aver gettato la maschera nel disperato tentativo di salvare loro stessi dal fallimento come genitori. Intanto i due ragazzi fanno pace. Scritto dal regista con Yasmina Reza dalla sua pièce Il dio del massacro, spostando l’azione da Parigi a New York. Polanski chiude spesso in trappola – in uno stato chiuso – i suoi personaggi. Qui lo fa con implacabile lucidità come un gioco al massacro in forma di kammerspiel. Polanski fa, nel suo pessimismo, un film laico. Per lui, polacco, ogni dio si è estinto con la Seconda Guerra Mondiale: nel titolo rimane soltanto il massacro. Nei dialoghi si cita Francis Bacon e i riferimenti alla sua pittura sono espliciti e significativi. Nonostante il puntiglioso naturalismo stilistico, diventata baconiana anche l’atmosfera. La sceneggiatura tratta dal testo teatrale rispetta l’originale e traduce in immagini audiovisive la situazione in cui due uomini e due donne, divisi in un paio di coppie, partono da convenevoli di ottime maniere e tradizionali buonismi per poi arrivare a sbranarsi, sfoderando il peggio di sé in un crescendo rossiniano di umiliazioni, freddezze, insulti, provocazioni, ringhi e violenze verbali. Le interpretazioni costituiscono il fiocco orgoglioso e non troppo altero dello stupendo frac di cui quest’opera eccezionale si veste con misurata fierezza e calcolata sagacia: la Foster è una scrittrice appassionata di popolazioni africane rimaste all’età paleolitica, e tiene moltissimo ai suoi libri fotografici riccamente artistici e decorati, però nasconde pure un’isteria latente che la porta non solo a picchiare il marito, ma anche a sparare una serie interminabile e veemente di improperi sardonici e nevrotici; la Winslet è un’operatrice finanziaria che non regge bene l’alcool, e proprio sotto l’effetto delle bevande rivela tutti i particolari scabrosi della sua vita coniugale e perde ogni controllo della propria parlantina, lasciandosi andare a soliloqui offensivi e determinanti nonché ad azioni sconsiderate e impulsive, come la distruzione degli splendidi fiori delle persone ospitanti e la cancellazione del telefono cellulare del marito, buttato in una vaschetta piena d’acqua; Waltz è un avvocato misogino, quello che più di tutti rimane flemmatico e paziente, sempre attaccato ad un cellulare e con la testa altrove, che non intendeva fin dall’inizio partecipare a quell’incontro fra genitori, e che lancia provocazioni scottanti e focose all’indirizzo di tutti, senza risparmiare nemmeno la moglie, e inoltre considera la violenza carnale e bellicosa come l’unico mezzo di affermazione prepotente possibile in un mondo dominato dagli antagonismi e dagli egoismi; infine, Reilly (l’unico fra i quattro attori a non aver ricevuto finora un Oscar, ma comunque preparato e bravissimo) è un costruttore di maniglie per cessi e rappresentante di suppellettili che, pur provando al principio a calmare i dissensi che sorgono fra le due coppie, rivela ben presto il suo pessimo carattere e accantona tutte le convenzioni buoniste per catapultarsi in un immondo pianeta di filosofie del far niente e cantonate da uomo affetto da pigrizia inguaribile. Polanski, che ha esordito nel cinema con un film girato a bordo di una barca, riesce a creare drammi potenti e appassionanti in un’area di settanta metri quadrati, cavando fuori dagli interpreti che dirige con fiuto incomparabile e guizzi di genio rilevanti le potenzialità che si possono esprimere in una serie di sequenze che vanno a formare un’unica scena che riproduce sé stessa per tutti gli ottanta minuti della proiezione, senza mai annoiare e, al contrario, interessando gli spettatori che non rimangono mai delusi e godono di una rappresentazione scenica ben congegnata e finemente lavorata anche nei dettagli dei discorsi, dove nessuna parola viene lasciata al caso ma, a differenza di molti drammi da camera, si aggancia a precedenti elucubrazioni, imbastendo un continuum spazio-temporale che procede spedito come una Ferrari su una tangenziale. Ci sono poi dei particolari eccellenti e formidabili (il dito alzato di Waltz per chiedere il whisky, la degustazione della torta, la questione del criceto creduto morto ma poi ritrovato vivo, l’ascensore che non viene mai effettivamente utilizzato) che fanno gridare a pieni polmoni: è il cinema! Un altro particolare fondamentale: un pigionante dell’appartamento in cui abitano i genitori ospitanti, attratto dal rumore provocato dai litigi, esce e dà un’occhiata per valutare la situazione, e viene immediatamente ricacciato dentro il loft dalla Foster. È un dettaglio cinefilo stuzzicante, che rimanda a un altro film di Polanski: è come se l’inquilino del terzo piano da lì non se ne fosse mai andato. Fotografia di Pawel Edelman. Musica di Alexandre Desplat. Scene di Dean Tavoularis. Costumi di Milena Canonero. Un quartetto di interpreti che non sbagliano un colpo, una sfumatura. Geniale la scena del vomito di Kate Winslet.
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