Tratto da un testo teatrale in forma di psicodramma di Yasmina Reza ne conserva la struttura sotto l’abile regia del Maestro Polanski. Due coppie, un soggiorno. New York. Il motivo del loro incontro la lite dei due rispettivi figli in un parco pubblico. Per futili motivi. Uno dei due ha subito un colpo che gli ha procurato la rottura di due denti. L’incontro, inizialmente, assolve ad un rito di civile conciliazione tra le parti, secondo un rito borghese, poi è tutto un crescendo, a tratti anche angosciante, di pathos dialettico che mano a mano smaschera i personaggi disincarnandoli dal loro ruolo sociale, mettendoli a confronto con una reale grettezza di fondo quanto mai però più vicina alla loro essenza più viscerale. Polanski disgrega man mano, complice l’alcool, tutte le sovrastrutture che mantenevano i personaggi ad una certa distanza emotiva di sicurezza infarcendo i dialoghi di spigolosità sempre più vicine all’aggressività di fondo che in ognuno di noi può scatenarsi. E’ la natura umana, ci dice uno dei protagonisti, Il Dio del massacro che viene fuori quando gli archetipi sociali crollano, quello che succede nelle guerre più atroci, quello che arma i bambini del Congo di Kalash (e non Kalashnikov, apprendiamo) e nonostante ci si trovi a New York, nel pilastro dell’occidente, ormai traballante, quel soggiorno diviene teatro, appunto, di un massacro dove i sentimenti sono solo l’illusione di uscire fuori dall’egoismo imperante in ognuno di noi che diviene invisibile solo per non disgregare il nostro ruolo sociale.
Un film intenso, recitato e diretto magistralmente a tratti claustrofobico, ci ricorda vagamente quell’Angelo Sterminatore di Bunuel che non permetteva ai protagonisti di uscire dalla casa. Una casa dove serpeggia il male e l’ipocrisia che spesso c’è in fondo ai nostri comportamenti… anche quelli più sfacciatamente ed apparentemente altruisti o buonisti come l’interesse di una delle protagoniste femminili che scrive un libro sul feroce conflitto del Darfour solo per compiacere se stessa e per compensare con la sua “nobiltà” d’animo un vuoto esistenziale che sfocia poi in una rabbia "animale".
Nel finale scopriamo, nello stesso parco pubblico teatro dell'aggressione dei due bambini, gli stessi giocare insieme, riconciliati. Ed il criceto abbandonato da uno dei papà, creduto morto, perfettamente a suo agio e finalmente libero....
Alessandro Spirito
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