corazzatakotiomkin
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sabato 9 febbraio 2013
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fa uscire di testa !
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Snervante, movimentato,simbolico, significativo.
Tra conversazioni artificiali e sfuriate irrefrenabili quattro individui mettono in mostra la propria personalità, e tra ipocrisia e disinteresse, nessuno riesce a mostrarsi migliore degli altri.
Attori davvero bravi. Ottimo film.
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nick simon
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mercoledì 30 ottobre 2013
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un elegante massacro in una commedia isterica
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La lite tra due ragazzini al parco è l’occasione per far incontrare, più o meno civilmente, i loro genitori, i Longstreet e i Cowan. L’appartamento dei Longstreet è il teatro dell’intera vicenda: sembra esserci una forza oscura e superiore che scaraventa i Cowan dentro, per un caffè o una fetta di torta, non appena essi si dirigono verso l’uscita. Basata sull’opera teatrale Il dio del massacro di Y. Reza, e da lei scritta con R. Polański, questa commedia isterica più che graffiante, a volte divertente ma spesso sconclusionata, passa dall’apparente buonismo iniziale alla più violenta guerra verbale. Personaggi interessanti e credibili, grazie a un bel quartetto di attori: la rissosa J.
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La lite tra due ragazzini al parco è l’occasione per far incontrare, più o meno civilmente, i loro genitori, i Longstreet e i Cowan. L’appartamento dei Longstreet è il teatro dell’intera vicenda: sembra esserci una forza oscura e superiore che scaraventa i Cowan dentro, per un caffè o una fetta di torta, non appena essi si dirigono verso l’uscita. Basata sull’opera teatrale Il dio del massacro di Y. Reza, e da lei scritta con R. Polański, questa commedia isterica più che graffiante, a volte divertente ma spesso sconclusionata, passa dall’apparente buonismo iniziale alla più violenta guerra verbale. Personaggi interessanti e credibili, grazie a un bel quartetto di attori: la rissosa J. Foster, la dispiaciuta K. Winslet, l’irritante C. Waltz e il mite J.C. Reilly. L’obiettivo, parzialmente raggiunto, è quello di mostrare l’ipocrisia e il disprezzo che si nascondono sotto un sottile strato di cordialità artefatta. Come suggerisce il titolo, è un “massacro” che trascende lo status dei suoi interpreti: racchiusi in una cornice di eleganza visiva e stilistica, essi sono perfino più umani quando mettono da parte la buona educazione e si abbandonano al più sfrenato turpiloquio.
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theophilus
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lunedì 4 novembre 2013
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l'uomo è più che mai dentro le caverne
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CARNAGE
Il chiuso di una stanza esaspera la compressione e manda letteralmente per aria il lungo processo con cui l’uomo ha sperato di governare la conquista della convivenza.
In questo film, Polanski non fa sconti e non concede alibi a nessuno. Ricordi del passato come l’acquisizione di un modus vivendi sociale sono frantumati, esplodono in un pulviscolo indistinguibile di cui i 4 protagonisti della storia (per non parlare del criceto) sono un simbolo.
La guerra di Carnage è senza frontiere. In un vertiginoso ma controllato crescendo che non ha nulla di rossiniano, vengono divelte le barriere messe a protezione di miti creduti solidi, tanto da essere dimenticati.
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CARNAGE
Il chiuso di una stanza esaspera la compressione e manda letteralmente per aria il lungo processo con cui l’uomo ha sperato di governare la conquista della convivenza.
In questo film, Polanski non fa sconti e non concede alibi a nessuno. Ricordi del passato come l’acquisizione di un modus vivendi sociale sono frantumati, esplodono in un pulviscolo indistinguibile di cui i 4 protagonisti della storia (per non parlare del criceto) sono un simbolo.
La guerra di Carnage è senza frontiere. In un vertiginoso ma controllato crescendo che non ha nulla di rossiniano, vengono divelte le barriere messe a protezione di miti creduti solidi, tanto da essere dimenticati. Vanno a pezzi non tanto il bon ton o le buone regole imposte dalla necessità sociale, quanto tutto il mondo che ci sta dietro e che di quell’insieme di norme si fa ipocritamente scudo per sbandierare una forza che non esiste più, semmai sia esistita. All’interno di questa guerra avvengono passaggi intermedi, momentanee alleanze incrociate fra generi e sessi, si tenta di fare fronte comune contro nemici che si rivelano improvvisi e inattesi, finché non c’è il tutti contro tutti.
Polanski non sciupa e non perde niente dell’energia medianica di questa trama diabolica. Della sceneggiatura (come del maiale) non si butta via niente. Nessuna parola, ma nemmeno nessuna immagine è superflua. Le singole prove – come pure l’insieme corale – dei 4 protagonisti ci sono parse assolutamente inattaccabili e ci sembrerebbe ingeneroso privilegiare l’aspetto messo in luce in maniera più forte da uno o più degli attori a scapito degli altri. Kate Winslet, Christoph Waltz, Jodie Foster, John C. Reilly vivono dal di dentro questa sorta d’incubo domestico e ci pare difficile pensare che non ne siano usciti almeno un po’ trasformati.
Alla fine, Carnage è un film nichilista o forse una tragedia? Né l’uno, né l’altra a nostro avviso.
Lo sguardo del regista è sì di mefistofelico distacco dalle false meschinerie con cui l’uomo si crea certezze artificiali per la propria sopravvivenza, però, nella scena conclusiva, sembra più volersi fare beffe dell’uomo. ‘L’oggetto del contendere’ viaggia per conto suo a prescindere dalla guerra che gli si è scatenata attorno e persino il mondo animale più fragile sopravvive agevolmente lontano dalla ‘carneficina’ che l’uomo sembrerebbe non riuscire ad evitare. Come dire che l’essere umano non fa che accampare pretesti per prevaricare gli altri e si rivela incapace di una visuale ad ampio spettro.
Enzo Vignoli
3 ottobre 2011
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great steven
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lunedì 24 novembre 2014
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4 genitori si scontrano per colpa dei loro figli.
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CARNAGE (FR/GERM/SP/POL, 2011) diretto da ROMAN POLANSKI. Interpretato da JODIE FOSTER – KATE WINSLET – CHRISTOPH WALTZ – JOHN C. REILLY § Carnage= carneficina. In un parco di New York, Zachary Cowan ferisce con un bastone il compagno di scuola Ethan Longstreet. I quattro genitori s’incontrano in casa Longstreet, famiglia della middle class colta e progressista, mentre i Cowan sono upper class, più ricchi, meno colti, più abituati a comandare. Per più di un’ora, discutendo tra loro, attraversano le situazioni del conformismo per abbandonarsi, sfiniti, allo sconforto di chi è consapevole, in nome dei figli, di aver gettato la maschera nel disperato tentativo di salvare loro stessi dal fallimento come genitori.
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CARNAGE (FR/GERM/SP/POL, 2011) diretto da ROMAN POLANSKI. Interpretato da JODIE FOSTER – KATE WINSLET – CHRISTOPH WALTZ – JOHN C. REILLY § Carnage= carneficina. In un parco di New York, Zachary Cowan ferisce con un bastone il compagno di scuola Ethan Longstreet. I quattro genitori s’incontrano in casa Longstreet, famiglia della middle class colta e progressista, mentre i Cowan sono upper class, più ricchi, meno colti, più abituati a comandare. Per più di un’ora, discutendo tra loro, attraversano le situazioni del conformismo per abbandonarsi, sfiniti, allo sconforto di chi è consapevole, in nome dei figli, di aver gettato la maschera nel disperato tentativo di salvare loro stessi dal fallimento come genitori. Intanto i due ragazzi fanno pace. Scritto dal regista con Yasmina Reza dalla sua pièce Il dio del massacro, spostando l’azione da Parigi a New York. Polanski chiude spesso in trappola – in uno stato chiuso – i suoi personaggi. Qui lo fa con implacabile lucidità come un gioco al massacro in forma di kammerspiel. Polanski fa, nel suo pessimismo, un film laico. Per lui, polacco, ogni dio si è estinto con la Seconda Guerra Mondiale: nel titolo rimane soltanto il massacro. Nei dialoghi si cita Francis Bacon e i riferimenti alla sua pittura sono espliciti e significativi. Nonostante il puntiglioso naturalismo stilistico, diventata baconiana anche l’atmosfera. La sceneggiatura tratta dal testo teatrale rispetta l’originale e traduce in immagini audiovisive la situazione in cui due uomini e due donne, divisi in un paio di coppie, partono da convenevoli di ottime maniere e tradizionali buonismi per poi arrivare a sbranarsi, sfoderando il peggio di sé in un crescendo rossiniano di umiliazioni, freddezze, insulti, provocazioni, ringhi e violenze verbali. Le interpretazioni costituiscono il fiocco orgoglioso e non troppo altero dello stupendo frac di cui quest’opera eccezionale si veste con misurata fierezza e calcolata sagacia: la Foster è una scrittrice appassionata di popolazioni africane rimaste all’età paleolitica, e tiene moltissimo ai suoi libri fotografici riccamente artistici e decorati, però nasconde pure un’isteria latente che la porta non solo a picchiare il marito, ma anche a sparare una serie interminabile e veemente di improperi sardonici e nevrotici; la Winslet è un’operatrice finanziaria che non regge bene l’alcool, e proprio sotto l’effetto delle bevande rivela tutti i particolari scabrosi della sua vita coniugale e perde ogni controllo della propria parlantina, lasciandosi andare a soliloqui offensivi e determinanti nonché ad azioni sconsiderate e impulsive, come la distruzione degli splendidi fiori delle persone ospitanti e la cancellazione del telefono cellulare del marito, buttato in una vaschetta piena d’acqua; Waltz è un avvocato misogino, quello che più di tutti rimane flemmatico e paziente, sempre attaccato ad un cellulare e con la testa altrove, che non intendeva fin dall’inizio partecipare a quell’incontro fra genitori, e che lancia provocazioni scottanti e focose all’indirizzo di tutti, senza risparmiare nemmeno la moglie, e inoltre considera la violenza carnale e bellicosa come l’unico mezzo di affermazione prepotente possibile in un mondo dominato dagli antagonismi e dagli egoismi; infine, Reilly (l’unico fra i quattro attori a non aver ricevuto finora un Oscar, ma comunque preparato e bravissimo) è un costruttore di maniglie per cessi e rappresentante di suppellettili che, pur provando al principio a calmare i dissensi che sorgono fra le due coppie, rivela ben presto il suo pessimo carattere e accantona tutte le convenzioni buoniste per catapultarsi in un immondo pianeta di filosofie del far niente e cantonate da uomo affetto da pigrizia inguaribile. Polanski, che ha esordito nel cinema con un film girato a bordo di una barca, riesce a creare drammi potenti e appassionanti in un’area di settanta metri quadrati, cavando fuori dagli interpreti che dirige con fiuto incomparabile e guizzi di genio rilevanti le potenzialità che si possono esprimere in una serie di sequenze che vanno a formare un’unica scena che riproduce sé stessa per tutti gli ottanta minuti della proiezione, senza mai annoiare e, al contrario, interessando gli spettatori che non rimangono mai delusi e godono di una rappresentazione scenica ben congegnata e finemente lavorata anche nei dettagli dei discorsi, dove nessuna parola viene lasciata al caso ma, a differenza di molti drammi da camera, si aggancia a precedenti elucubrazioni, imbastendo un continuum spazio-temporale che procede spedito come una Ferrari su una tangenziale. Ci sono poi dei particolari eccellenti e formidabili (il dito alzato di Waltz per chiedere il whisky, la degustazione della torta, la questione del criceto creduto morto ma poi ritrovato vivo, l’ascensore che non viene mai effettivamente utilizzato) che fanno gridare a pieni polmoni: è il cinema! Un altro particolare fondamentale: un pigionante dell’appartamento in cui abitano i genitori ospitanti, attratto dal rumore provocato dai litigi, esce e dà un’occhiata per valutare la situazione, e viene immediatamente ricacciato dentro il loft dalla Foster. È un dettaglio cinefilo stuzzicante, che rimanda a un altro film di Polanski: è come se l’inquilino del terzo piano da lì non se ne fosse mai andato. Fotografia di Pawel Edelman. Musica di Alexandre Desplat. Scene di Dean Tavoularis. Costumi di Milena Canonero. Un quartetto di interpreti che non sbagliano un colpo, una sfumatura. Geniale la scena del vomito di Kate Winslet.
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viola96
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domenica 25 settembre 2011
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polanski romanziere inaspettato.
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L'ultima opera di quel regista tanto pazzo e tanto amato che risponde al nome di Roman Polanski è un ispirato percorso filmico,chiuso in 81 minuti di lotte,insulti e tenebrose emozioni."Carnage" è uno di quei film che ti rimane dentro e ti lascia un certo senso di spossatezza,come se lo spettatore fosse stato colpito in fondo al cuore e più volte nello stomaco ed ora risenta molto delle sue critiche capazità di giudizio.Quello che "Carnage" e Polanski auspicano è un iper-cinema,un ampliamento della macchina dei sogni,al teatro,alla letteratura.In un dramma da camera borghese affidabilmente setacciato nella sua eccessiva non curanza dei barocchi particolari,nella sua completa stanza in pochi metri,chiude quattro grandi attori e li costringe a un gioco sadico.
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L'ultima opera di quel regista tanto pazzo e tanto amato che risponde al nome di Roman Polanski è un ispirato percorso filmico,chiuso in 81 minuti di lotte,insulti e tenebrose emozioni."Carnage" è uno di quei film che ti rimane dentro e ti lascia un certo senso di spossatezza,come se lo spettatore fosse stato colpito in fondo al cuore e più volte nello stomaco ed ora risenta molto delle sue critiche capazità di giudizio.Quello che "Carnage" e Polanski auspicano è un iper-cinema,un ampliamento della macchina dei sogni,al teatro,alla letteratura.In un dramma da camera borghese affidabilmente setacciato nella sua eccessiva non curanza dei barocchi particolari,nella sua completa stanza in pochi metri,chiude quattro grandi attori e li costringe a un gioco sadico.Preceduto da un incipit possente e potente,in cui il (vero) figlio di Polanski,picchia un altro bambino,come se fossero due adulti intenti a darsi lezioni sul significato della parola violenza,"Carnage" è cinema allo stato puro,sotto forma di cerchio concentrico e di spiccato egocentrismo pudico e ludico.Due coppie di borghesi dalle buone maniere,che dovrebbe incarnare la famiglia felice,si accoglie a vicenda per poter dialogare civilmente su ciò che è accaduto ai propri figli(vedi sopra).La discussione degenera e gli adulti si riscoprono non proprio così adulti."Carnage" è un undicesimo comandamento.Non desiderare il dialogo.Perchè il dialogo civile non potrà mai e poi mai arrivare.Tra una dose malsana di houmor nero e di eccessività che rendono il racconto estremamente appassionante e divertente,Polanski chiude quattro persone come animali,ampliando il meccanismo de "L'angelo sterminatore" bunueliano,costringendoli a fare come Liz e Richard in "Chi ha paura di Virginia Woolf?" e darsele di santa ragione,anche a parole.Quello di Polanski è un kammerspiel nudo e crudo,che accentua l'avvicendarsi di figure di una disarmante semplicità.Ma alla fine neanche lui s'incanta nell'incantevole incanto della decantazione di mostruosi atti di cultura uniti ad insulti di ogni tipo.Ma alla fine è l'essere troppo cauto,che non rende "Carnage" un capolavoro.Polanski si mette dalla parte del torto,con ambizione da vouyer(grandiosa la scena del vicino) ridotta a scala,in un abisso di coscienza delizioso e hithcockiano,al livello della forma stilistica manierista e surreale che fa tanto cinema francese,e diventa un meccanismo di chiusura più che di apertura."Carnage" è soprattutto un invito alla presa di coscienza che il mondo sta cambiando lentamente,senza che noi ce ne fossimo minimamente accorti,nè potessimo averlo fatto in precedenza.Quali valori potremmo insegnare ai nostri pargoli? Mentre si smuovono le coscienze e calano le maschere dei protagonisti della vicenda con il mite assecondarsi di piani su ripiani ripiegati e tesi,con un invidiabile ritmo narrativo,Polanski sembra avvicinarsi molto,nello stile,al miglior Stephen King.Probabilmente lo scrittore del Maine,prossimo ad un romanzo interessante,come suo solito,ha certo osato di più nelle sue storie in questo senso,ma Polanski tenta la carta della virtù che scaccia il Male,come un chiodo scaccia chiodo.Ma deve fare i conti con un manierismo progressivo che rende la vicenda adeguatissima al reale ed effervescente.E alle fine,come ciliegina sulla torta,le mie lacrime di gioia,davanti ad un finale straordinario.
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maria f.
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domenica 27 gennaio 2013
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evviva i buoni film!
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I genitori di Zachary ed Ethan si riuniscono per stilare insieme una denuncia perché uno dei ragazzi di dieci anni ciascuno, ha colpito l’altro con un bastone provocandogli la rottura di due incisivi.
Sia i genitori del ragazzo”carnefice” sia quelli della vittima, cercano molto civilmente di appianare, minimizzare l’accaduto, comporre in modo dignitoso la situazione, via via però s’infervorano, le voci si alterano, ripiegano poi cercando di darsi un tono e tentando di arrivare a una finta conciliazione scambiandosi gentilezze e fingendo interessamento per poi riprendere a punzecchiarsi, mandando a segno stilettate e infiggendo con parole mielose punte acuminate.
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I genitori di Zachary ed Ethan si riuniscono per stilare insieme una denuncia perché uno dei ragazzi di dieci anni ciascuno, ha colpito l’altro con un bastone provocandogli la rottura di due incisivi.
Sia i genitori del ragazzo”carnefice” sia quelli della vittima, cercano molto civilmente di appianare, minimizzare l’accaduto, comporre in modo dignitoso la situazione, via via però s’infervorano, le voci si alterano, ripiegano poi cercando di darsi un tono e tentando di arrivare a una finta conciliazione scambiandosi gentilezze e fingendo interessamento per poi riprendere a punzecchiarsi, mandando a segno stilettate e infiggendo con parole mielose punte acuminate. Col passare del tempo la rabbia monta, le due coppie scoppiano e appaiono quattro persone che litigano fra loro dicendosi con la bava alla bocca frasi furibonde che non hanno più niente a che vedere con la motivazione di partenza. Sputano tutto il loro rancore trattenuto da chissà quanto tempo e per altri motivi, non riescono più a frenare la collera che da anni sedimentava nei loro animi e ora straripa su tutto e tutti proprio come il vomito di una delle due raffinate signore.
L’ultima scena del film mostra i due ragazzini che chiacchierano insieme, come se niente fosse stato, il regista vuole forse trasmetterci – semplificando al massimo - che i bambini perdonano e dimenticano tutto e non nutrono rancore?
Ma non è così.
Se siamo offesi, maltrattati, in tutti noi a qualsiasi età resta un segno indelebile che col tempo può scemare, ma non sarà mai cancellato, salvo che non si tratti di interventi a scopo educativo (sicuramente non punizioni corporali) fatti da persone da cui noi siamo certi di essere profondamente amati e dalle quali accettiamo regole di comportamento pur contestando e polemizzando.
Film che merita di essere visto perché tratta in modo egregio un argomento di grande attualità e per la immensa capacità degli attori.
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stanleyy
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domenica 19 ottobre 2014
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quattro stelle di hollywood. poi nulla.
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L' attributo che, a mio avviso, dipinge meglio questa pellicola di Roman Polansky è il seguente: arrogante.
Carnage è un film che nasce( e muore) prevalentemente in un'unica location, che ruota intorno a dialoghi all' apparenza brillanti, ma in realtà poco più che artifici retorici, che non sviluppa particolari evoluzioni nella storia e che sembra poggiare su un unico elemento di fascino: essere un film di Polansky, interpretato da quattro stelle del cinema(tra l'altro, a onor del vero, con magnifiche prestazioni).
Non è raro che un film si svolga interamente in una location. Più raro è che , in suddetta location, non solo non avvenga nulla o quasi a livello di azioni, ma che la qualità dei dialoghi e il loro "climax" nell' arco della pellicola sia così ininfluente, così monotono, fintamente paradossale, ma quasi patetico.
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L' attributo che, a mio avviso, dipinge meglio questa pellicola di Roman Polansky è il seguente: arrogante.
Carnage è un film che nasce( e muore) prevalentemente in un'unica location, che ruota intorno a dialoghi all' apparenza brillanti, ma in realtà poco più che artifici retorici, che non sviluppa particolari evoluzioni nella storia e che sembra poggiare su un unico elemento di fascino: essere un film di Polansky, interpretato da quattro stelle del cinema(tra l'altro, a onor del vero, con magnifiche prestazioni).
Non è raro che un film si svolga interamente in una location. Più raro è che , in suddetta location, non solo non avvenga nulla o quasi a livello di azioni, ma che la qualità dei dialoghi e il loro "climax" nell' arco della pellicola sia così ininfluente, così monotono, fintamente paradossale, ma quasi patetico.
Film come "Sunset Limited" di Tommy Lee Jones, per esempio, dimostrano che una buona qualità di dialoghi, non solo renda più interessante un film ambientato prevalentemente in un ambiente, ma ne connoti la grande originalità e velocità, canalizzando l' interesse dello spettatore al pregio dei dialoghi o, quantomeno,alla loro godibilità. Al contrario, l' utilizzo del dialogo in Carnage sembra improntato in alcuni momenti a meri giochi di parole, in altri alla pura superficialità e pesantezza dei colloqui tra i personaggi, costruiti nella forma, dapprima originale, poi francamente esasperata delle diverse "fazioni" contrapposte; prima le due coppie l' una contro l'altra, poi i due uomini contro le due donne e così via, in modo del tutto innaturale.
Un' opera autoreferenziale e emblematicamente arrogante,che riesce a comunicare quel poco che può solo grazie all' interpretazione di quattro autentici fenomeni di Hollywood.
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ludwig1889
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giovedì 24 settembre 2015
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la servitù della parola
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In Waking Life si dice che un buon film non dovrebbe farsi schiavizzare dalla sceneggiatura. In Carnage accade proprio questo. Polansky fa cioè leva su una sceneggiatura superba, inscenata da interpreti d’eccezione, in un film narrativamente sopraffino ma registicamente impalpabile.
Una coppia di genitori (Foster e Reily) ne invita un’altra (Winslet e Waltz) nel proprio appartamento per discutere di un incidente di giochi.
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In Waking Life si dice che un buon film non dovrebbe farsi schiavizzare dalla sceneggiatura. In Carnage accade proprio questo. Polansky fa cioè leva su una sceneggiatura superba, inscenata da interpreti d’eccezione, in un film narrativamente sopraffino ma registicamente impalpabile.
Una coppia di genitori (Foster e Reily) ne invita un’altra (Winslet e Waltz) nel proprio appartamento per discutere di un incidente di giochi. Il film inizia con un’inquadratura statica a campo lungo su un gruppo di ragazzini in un parco. Ivi, accompagnato dal notevole brano minimalista di Alexandre Desplat (compositore in Grand Budapest Hotel e The Tree of Life), accade il fattaccio: una bastonata. Il resto del film si svolge nell’appartamento dove quattro, imbeccati dall’incidente, scatenano una catartica lotta di intensità progressiva volta alla reciproca sopraffazione psicologica.
La sceneggiatura è coinvolgente a tutti i livelli (evidente la mano della drammaturga Yasmina Reza). Dal concept, sfruttare un episodio banale ma emotivamente coinvolgente a mo’ di arpione atto a uncinare il lato più visceralmente umano (troppo umano, verrebbe da dire) dei quattro protagonisti, ciascuno armato delle sue convinzioni, contraddizioni ed idiosincrasie, all’effettiva stesura dei dialoghi e delle situazioni sceniche. I personaggi sono psicologicamente complessi e sfaccettati, idealizzati quel tanto che basta a farne delle maschere credibili di taluni strati sociali, ma mai manierati.
Il maggior pregio della sceneggiatura è una struttura narrativa che fa dei concetti di gradualità e sviluppo due punti fermi.
Le psicologie dei quattro, inizialmente scialbe e incolori, acquisiscono poco alla volta forma e sostanza, sino a farsi quasi sfacciate, impudiche nel vicendevole rimarcarsi le proprie nudità. Meno di ottanta minuti di pellicola filano come un frattale con andamento spiraliforme che accompagna le esistenze dei quattro protagonisti in un vorticoso attorcigliarsi su se stesse sino al laconico epilogo sancito dalla Winslet, che suona come l’enunciazione di un teorema al termine di una lunga dimostrazione: faticosa e ineluttabile. Guardare Carnage è come concentrarsi su un frattale. Lo si osserva e, individuate certe regolarità, si crede di potersene fare un’immagine attendibile per poi imbattersi, indugiando appena un attimo in più, in formazioni tanto barocche quanto precedentemente inopinabili, celate sotto qualche ingrandimento appena.
Detto questo, un film non è solo psicologia, concetto e dialogo. Un film è prima di tutto immagine e, visivamente, Carnage è insipido. Vero è che non è facile brandire degnamente la cinepresa quando, come set, si hanno a disposizione solo una manciata di stanze di un anonimo appartamento borghese di New York. Ci è voluto Tarantino per mostrare come uno dei migliori thriller degli ultimi decenni si possa girare per buona parte in un magazzino abbandonato. È vero che in Reservoir Dogs abbondano i flashback mentre Carnage è rigidamente confinato all’interno dell’appartamento, ma nella pellicola di Tarantino sono proprio le scene del magazzino quelle più incisivamente dirette e magistralmente tese. Per quanto mi riguarda, dire di un regista che non regge il confronto con Tarantino è, più che una critica, quasi un’ovvietà. Il problema è che Polansky non è un regista qualunque e da lui sarebbe lecito aspettarsi di meglio. Tutto considerato, il film non è neanche troppo vacuo, ma gli avvenimenti risultano eccessivamente imbrigliati nelle rigide logiche di ripresa tipiche delle scene di parlato (un film dallo stile, dai ritmi e dalle tempistiche alleniane; quindi magistralmente scritto e interpretato, ma registicamente mediocre).
Generalmente, farsi aggiogare dalle consuetudini stilistiche di un certo genere cinematografico non è un appunto contestabile ai registi normali. Ma Polansky è molto più genio che bestia da soma e, come tale, da lui si pretende che infranga prometeicamente i vincoli della settima arte piuttosto che perdere il suo tempo a subirne il giogo.
In sintesi: ben scritto e ben recitato (i quattro sono sempre all’altezza, con una speciale nota di merito per Foster e Winslet, mai dome), ma complessivamente deludente.
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sophielle
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domenica 18 settembre 2011
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la lenta agonia delle infrastrutture sociali
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"Carnage". Un titolo tanto foneticamente crudo da rimandare all'Apocalisse biblica, alle pagine più insanguinate della storia umana. Un titolo i cui echi appaiono inizialmente iperbolici allo spettatore, ma che trovano conferma nei successivi minuti di proiezione. La straordinaria ordinarietà della trama e degli ambienti (due coppie di genitori impegnati a risolvere una questione tra i rispettivi e discoli figli, il salotto di una casa) fanno da contrappunto alle molte anomalie di questa pellicola. Anomalie non solo di carattere stilistico (la presa diretta, l'assoluta mancanza di ellissi temporali tranne che per il prologo e l'epilogo, il quadrato di attori che rege magistralmente le sorti del film)ma anche e soprattutto contenutistico.
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"Carnage". Un titolo tanto foneticamente crudo da rimandare all'Apocalisse biblica, alle pagine più insanguinate della storia umana. Un titolo i cui echi appaiono inizialmente iperbolici allo spettatore, ma che trovano conferma nei successivi minuti di proiezione. La straordinaria ordinarietà della trama e degli ambienti (due coppie di genitori impegnati a risolvere una questione tra i rispettivi e discoli figli, il salotto di una casa) fanno da contrappunto alle molte anomalie di questa pellicola. Anomalie non solo di carattere stilistico (la presa diretta, l'assoluta mancanza di ellissi temporali tranne che per il prologo e l'epilogo, il quadrato di attori che rege magistralmente le sorti del film)ma anche e soprattutto contenutistico.
Polanski fotografa non senza una certa abilità l'etologia di due famiglie newyorkesi, svelandone cinicamente debolezze e contraddizioni. Riduce all'essenziale i movimenti della macchina da presa, per focalizzare l'attenzione sul salotto di casa,assurto a vero coprotagonista nonchè ad emblema delle ipocrisie del vivere civile. In questo senso risulta altrettanto significativo il subitaneo vomitare di Kate Winslet sul salotto stesso, ad alloegorizzare implicitamente il lento ma inesorabile decadere di ogni norma sociale. Non c'è pietà nello sguardo del regista, come non ce n'è nei cuori dei protagonisti, i quali, nel corso della pellicola, arrivano a mettere i discussione la propria e l'altrui coppia, in uno sfrenato e labile gioco di alleanze. Ogni legame viene scisso ed a rimanere intatto è solo l'individuo; esso, nella sua ceca superbia ,innesca una lotta all'ultimo sangue per la propria sopravvivenza.
Un film realistico dunque, che induce a riflettere non poco sui meccanismi della socialità. Un film altrettanto furbo, forse, ma con molte frecce al suo arco: non ultime una sceneggiatura tanto tagliente quanteguio apparentemente innocua e l'interpretazione magistrale dei quattro attori, che giocano con disinvoltura le loro istrioniche carte.
Ciononostante "Carnage" ci riserva anche alcuni inevitabili momenti di noia ,paradossalmente seguiti da scene che catalizzano di colpo l'attenzione dello spettatore. E'lo stesso crinale costellato da alti e bassi percorso dai protagonisti, finchè essi divengono metafora superba di falsità e debolezza.
Polanski, strizzando ancora una volta l'occhio a chi è in sala, inserisce nel finale un lampo di ottimismo, a ribadire quanto siano rapidi e labili gli scismi e le coalizioni tra noi creature "razionali". Un film riuscito nonostante alcune trascurabili pecche, che soprattutto negli ultimi minuti sublima la condanna a doppiezze e conformismi umani.
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andrea miniello
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lunedì 28 novembre 2011
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dietro sorrisi e finzioni della società odierna
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Dramma o commedia? Difficile a dirsi. Sarà perché la nostra realtà non ha ancora un genere. Come si può definire un uomo “disperato” dopo aver perso dei documenti su cui stava lavorando? Dai, qualcuno si sarà fatto una risata.
Questo film, tratto dalla opera teatrale di Yasmina Reza Il Dio del Massacro (il perchè del nome lo scoprirete presto) vede Polansky infrangere le convenzioni ormai poste dal cinema, proponendoci una condizione di realtà famigliare quasi portata al limite del parodico.
L’ incipit è semplice quanto ricco di spunti: due famiglie, i Longstreet (Jodie Foster e John Reilly) e i Cowan (Kate Winslet e Christoph Waltz), si ritrovano nella casa dei primi a prendere un caffè, ed a discutere del perché i loro figli abbiano litigato, rompendo un dente al piccolo Longstreet.
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Dramma o commedia? Difficile a dirsi. Sarà perché la nostra realtà non ha ancora un genere. Come si può definire un uomo “disperato” dopo aver perso dei documenti su cui stava lavorando? Dai, qualcuno si sarà fatto una risata.
Questo film, tratto dalla opera teatrale di Yasmina Reza Il Dio del Massacro (il perchè del nome lo scoprirete presto) vede Polansky infrangere le convenzioni ormai poste dal cinema, proponendoci una condizione di realtà famigliare quasi portata al limite del parodico.
L’ incipit è semplice quanto ricco di spunti: due famiglie, i Longstreet (Jodie Foster e John Reilly) e i Cowan (Kate Winslet e Christoph Waltz), si ritrovano nella casa dei primi a prendere un caffè, ed a discutere del perché i loro figli abbiano litigato, rompendo un dente al piccolo Longstreet.
Presto la amichevole visita degenera in discussione, e infine in una assurda lite, dove troveremo i quatto protagonisti spogli, privati della loro barriera esteriore, fatta di ipocrisia, sorrisi e buone maniere, e anche del loro senso etico, della loro civilizzazione e scolarizzazione.
I Cowan spesso sono persino tentati di andarsene e porre fine a tutto ciò, ma cos’è che li trattiene? Un cane che abbaia, un ascensore rotto… potremmo dire il caso, la mal provvidenza, o meglio il dio cinico e carnefice a cui si riferisce il titolo del film, che non accontentandosi riesce a metter altra benzina sul fuoco con un ossessivo cellulare, una torta andata a male, una borsa rovesciata. La cosa che più riesce a colpire, oltre all’ottima recitazione, è la totale assenza di un montaggio, dato che non vi sono distacchi temporali, e una scenografia minimalista composta dall’appartamento di Brooklyn della famiglia Longstreet: elementi che riportano alla cultura teatrale minimalista; nel film è possibile addirittura individuare la suddivisione in tre atti di questa opera, che corrispondono ai momenti in cui i Cowan cercano di uscire dall’abitazione e sono costretti a rientrarci più furiosi e infelici. Il finale ironico e sospeso racchiude l’essenza del film e di una società a cui basta poco per perdere la propria politica della correttezza.
In conclusione, un degno omaggio al teatro, al buon cinema, al black humour, e all’ipocrisia che ormai rende ermetici tutti noi.
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