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Il Festival del Film di Roma si apre con il nuovo film di una vecchia conoscenza

Triage: il primo red carpet.
di Gabriele Niola

Tanovic: "Non sono un regista di guerra!"
Danis Tanovic (55 anni) 20 febbraio 1969, Zonica (Bosnia-Herzegovina) - Pesci. Regista del film Triage.

venerdì 16 ottobre 2009 - Approfondimenti

Tanovic: "Non sono un regista di guerra!"
Dopo il trionfo internazionale che qualche anno fa accompagnò No Man's Land, e che culminò poi con l'Oscar, si pensava a Denis Tanovic come ad un regista di guerra. Il film che quest'anno porta al festival di Roma, Triage, sembrava anche confermare l'impressione ma lui assolutamente rifiuta l'etichetta e non per non essere identificato con un solo genere quanto perchè lui, davvero, i film di guerra non li vorrebbe fare, prova troppo dolore.
Ormai amico del festival, dopo la presidenza della giuria nell'edizione dello scorso anno, Denis Tanovic porta quest'anno un film pieno di star. Ci sono Paz Vega, il solito Brank Djuric, Colin Farrell e anche il vecchio leone Christopher Lee ad interpretare una storia di reducismo che non ha al centro un soldato come spesso accade ma un fotografo tornato da una zona calda. Così accade sul serio che non sia tanto la guerra al centro della pellicola ma i suoi effetti su chi vi prende parte e anche su chi in quei luoghi non c'è mai andato, perchè come ripete spesso Tanovic: "Tutto è interconnesso".

L'impossibilità di essere neutrali
Innanzitutto c'è il libro omonimo, scritto da Scott Anderson, un'opera che ha colpito moltissimo Denis Tanovic il quale non smette di consigliarlo a tutti neanche avesse una partecipazione nei profitti delle vendite, un libro rispetto al quale il suo film "vale solo un decimo" dice il regista. Ecco, prima di leggere quel libro Tanovic non voleva fare più film di guerra, questa infatti fu la prima risposta che diede ad Anderson quando gli propose l'adattamento filmico. Poi però il libro l'ha letto e ha capito che il film andava fatto, inizialmente si propose come scrittore e basta, poi alla fine è capitolato.
Il perchè di tanta resistenza sta nella storia personale di Tanovic, coinvolto in prima persone nel conflitto bosniaco e riluttante ad affrontare di nuovo la rielaborazione di quei drammi sul set e poi nelle mille interviste: "Non faccio spesso questi film, perchè è come prendere un biglietto per luoghi dove non vuoi andare tanto volentieri. No man's land mi portò in giro per il mondo e dovetti parlare tantissimo, tanto che alla fine mi sentivo una macchina. Conoscevo le mie risposte anche prima di darle perchè ripetevo sempre le stesse cose".
Il punto, secondo Tanovic, è che "non tutti reagiscono allo stesso modo, alcuni sono colpiti da certe cose e altri da altre. Dopo essere sopravvissuto alla guerra mi lascio coinvolgere da tutti i conflitti. Ecco perchè l'anno scorso sono andato a Kabul a costruire un cinema, credo che sia una delle cose più importanti per loro. Ho trovato una cassetta l'altro giorno a casa mia, non mi ricordavo cosa contenesse, l'ho guardata e ho visto immagini di guerra girate da me. Ho dovuto interrompere, non ce la facevo".
Mettendo un fotografo al centro degli eventi il flim compie anche un discorso non banale sui media e la loro influenza nel conflitto: "Tutto è interconnesso, come la teoria dei quanti: se li osservi si comportano in maniera diversa da quando non li guardi. In molte guerre se non fosse per i media le situazioni sarebbero ancora peggiori. Ma la domanda che mi faccio è quanto vadano in profondità. Non credo nella neutralità ma nella giustizia, che è diversa, ed è un discorso che si può fare anche con i media".
Un altro pallino di Tanovic è infatti anche l'impossibilità di essere neutrali: "Non c'è neutralità nel guardare qualcuno violentare un altro. Che vuol dire non fare nulla? Non è neutralità quella. Devi prende una posizione e non è facile. Ma mi sembra che la neutralità sia una facile scappatoia, magari qualche volta funziona ma non per le vittime, semmai per quelli che attaccano".

I racconti di guerra di Christopher Lee
Paz Vega è gioviale come le piccole stelle avviate alla celebrità, Branko Djuric è severo anche quando scherza mentre Christopher Lee si è fatto proprio vecchio! Il grandissimo eroe di tanto cinema inglese tornato sulla ribalta con Il signore degli anelli è qui interprete di un ruolo di grande vecchio della psicologia, e vecchio lo è di sicuro anche nella realtà. Alla veneranda età di 87 anni (sic!) Lee non ha freni e definisce questo film "uno dei migliori che io abbia mai visto sulla guerra" perchè "vedendolo ho l'impressione di non avere davanti degli attori che leggono delle battute ma i veri personaggi". Lui la guerra l'ha fatta, la seconda guerra mondiale, sballottato tra Africa, Italia e altri paesi con mille compiti diversi e per 5 anni. E non manca di raccontare diversi e lunghi aneddoti al pubblico della conferenza stampa con il piglio tranquillo e moderato degli anziani.
Alla guerra poi paragona la vita ad Hollywood, dove ha passato 10 anni e dove è dovuto "sopravvivere" nel vero senso della parola, tuttavia non si sente in grado di poter insegnare qualcosa a qualcuno: "Non potrei mai dire cosa fare ad un giovane attore, devono impararlo da soli e certe volte è durissimo, come è capitato a me. Tutti gli attori imparano come possono per avere l'esperienza e la conoscenza giuste quando arriva l'opportunità di una parte grande in un film grande".
Occasione che sta attendendo da tempo Paz Vega, nuovo talento e nuova bellezza emersa negli ultimi anni dal cinema spagnolo e ormai al quinto film straniero. Scherza molto e dice di aver accettato il ruolo perchè nei primi incontri con Tanovic la sua autorità e il suo fare slavo le avevano messo paura, dunque non osava contraddirlo. Mentre per Christopher Lee ha le consuete parole di lode che si tributano ad attori della sua età: "E' un maestro, lavorare con lui è stato fantastico perchè è un mito. Mi sono sentita molto fortunata ad averlo come partner, sa tutto sulla recitazione o su come stare sul set. E' stato un onore dividere lo schermo con lui".
Più interessante invece Branko Djuric che con Tanovic aveva già lavorato in No man's land e che questa volta, dice, ha avuto più difficoltà: "Ma non difficoltà con il regista, questa volta i problemi sono stati con il ruolo. Solitamente io cerco i punti in comune con la mia personalità, in questo caso invece di punti in comune non ce n'erano davvero, non sono riuscito a trovare nessun appiglio e alla fine mi sono detto che stavolta mi toccava davvero recitare...".

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