Lo sceneggiatore Eric Besnard, alla sua seconda regia, mette in scena un film ingannevole, tra bollicine che frizzano e cristalli che tintinnano.
di Tirza Bonifazi Tognazzi
Una crime story ispirata al cinema di fine anni '70
Quando Eric Besnard afferma che voleva fare un film "champagne", tra bollicine che frizzano e cristalli che tintinnano, viene subito in mente Duplicity e ai continui brindisi a suon di intrighi dell'accoppiata Julia Roberts/Clive Owen. Non si discosta molto dalla matrice indie-hollywoodiana la crime story dello sceneggiatore e regista francese che sceglie la coralità e l'orchestrazione per realizzare il suo personale Ocean's Eleven tutto in francese. Ovviamente Ca$h non è il remake europeo del primo capitolo della trilogia di Steven Soderbergh; eppure l'intrigante intreccio prende spunto, proprio come l'opera del regista di Atlanta, dal cinema della fine degli anni '70 in cui i personaggi erano intelligenti e leggeri allo stesso tempo. "Tra i miei film di riferimento" ha rivelato Besnard, "c'era sicuramente La stangata – al quale la prima scena rende un omaggio distanziato dato che sin dall'inizio la mia truffa prende un'altra via – ma anche Butch Cassidy, Il caso Thomas Crown e tutti quei crime movie in cui gli eroi prendono dei rischi senza perdere il sorriso. Inoltre, essendo cresciuto con i film di Philippe de Broca, mi piace la commedia frizzante; quello che mi interessa è il lato ludico dell'astuzia e poter giocare con lo spettatore. In Ca$h tutti i personaggi sono degli eroi. Volevo che fosse così perché gli eroi hanno sempre l'occhio che brilla, ma la verità è che non avevo previsto che per un attore spesso è difficile calarsi in questo ruolo. Sebbene in Francia ci sia una lunga tradizione di cinema di eroi – penso a Melville e a Verneuil – oggi non si fanno più film di questo genere. Volevo provare a tornare a quel tipo di personaggio, senza che risultasse caricaturale, senza falsità, senza fare un'opera 'alla maniera di'. Spero di essere riuscito a inserirmi in questa tradizione".
Una sceneggiatura intricata
Eric Besnard: Nonostante tutti gli attori conoscessero l'intera sceneggiatura, vedevo che in alcuni momenti si ponevano delle domande e di conseguenza sono dovuto diventare il garante della coerenza globale dell'interpretazione; un compito che d'altronde spetta allo sceneggiatore. Non è sempre stato un compito semplice visto che alcuni attori, non avendo scene in comune e avendo girato senza seguire un ordine temporale, non sapevano fino a che punto arrivava l'altro nell'interpretazione dell'inganno. È stata una scommessa e una grande opportunità che mi ha permesso di sapere dove stava andando ogni personaggio. Ovviamente avendo girato il finale all'inizio sapevo che funzionava e ciò mi ha rassicurato durante la lavorazione. Mi piacerebbe affermare che è stato un processo machiavellico e che avevo previsto tutto, ma in realtà è stata la conseguenza degli imperativi del piano di lavoro.
Un attore comico dotato di grande fascino
Eric Besnard: Jean Dujardin è un gran professionista. È sempre presente e lavora moltissimo, ma avevo un paio di dubbi su di lui. Primo: ha costruito la sua carriera su un tipo di recitazione basata sulle maschere, sul camuffamento con parrucche e artifici, dove spesso era lui da solo a sostenere tutto il film. Mi chiedevo perciò se sarebbe riuscito a recitare con altri dieci personaggi. Il secondo dubbio, invece, riguardava la sua componente comica: per questo film doveva riuscire a tenerla a freno. Volevo renderlo sensuale, farne un'icona di eleganza e intelligenza. Jean doveva rendersi conto di essere un eroe.
Jean Dujardin: Questo ruolo è nuovo per me, perché per la prima volta interpretavo un personaggio non fondato sull'ironia ma sul fascino immediato. Accettare di essere il "bello" per me è stato molto difficile. Prima, bisogna lasciare la scena svilupparsi, sapere quello che si vuole e parlare in modo tale che lo spettatore entri nella sceneggiatura, in seguito è necessario lavorare sull'astuzia, sullo sguardo, sui dettagli.
Interpretare il truffatore dei truffatori
Jean Reno: Maxime è un po' una leggenda nell'ambiente dei truffatori. È un maestro, un esteta della truffa, uno che ispira i più giovani e meno esperti. Sa di poter finire in prigione, ma corre il rischio perché la verità è che non sa fare altro e credo che ami il gioco e il pericolo. Non si sa niente della sua vita affettiva e questo lo colloca un po' al lato dell'azione. Tuttavia, se il cinema è un'arte, è comunque un'arte di gruppo. Quello che devi esprimere deve essere in linea con quello che esprimono gli altri, ogni pezzo deve essere al suo posto nel puzzle. A volte si hanno quasi tutte le melodie da suonare mentre a volte siamo nell'orchestra solo grazie a tre colpi di triangolo. Nel caso di Ca$h adoravo la musica che si suonava e avrei accettato il ruolo che mi è stato offerto anche se fosse stato solo per tre giorni di riprese.