Anno | 2000 |
Genere | Giallo |
Produzione | USA, Giappone, Gran Bretagna |
Durata | 110 minuti |
Regia di | Takeshi Kitano |
Attori | Takeshi Kitano, Omar Epps, Claude Maki . |
Tag | Da vedere 2000 |
MYmonetro | 3,25 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 12 settembre 2014
Nono film del giapponese Takeshi Kitano, vincitore nel 1997 del Leone d'oro a Venezia con Hana-Bi (Fiori di fuoco). Al Box Office Usa Brother ha incassato nelle prime 3 settimane di programmazione 356 mila dollari e 60 mila dollari nel primo weekend.
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CONSIGLIATO SÌ
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Dopo una resa dei conti tra clan yakuza, Yamamoto è costretto a lasciare il Giappone. Destinazione Los Angeles, dove ad attenderlo c'è il fratellastro Ken, divenuto un pesce piccolo dello spaccio di droga locale. Yamamoto prende a cuore la sua causa e trasforma la combriccola del fratello in una delle gang più letali di L.A..
Al novero di variazioni sul canovaccio yakuza eiga di Kitano Takeshi ancora mancava la contaminazione con il buddy movie all'americana. Brother si spiega soprattutto così, come l'ennesimo esperimento di un cineasta che non teme alcuna sfida e la ricerca di un impossibile ibrido tra il gangster movie nipponico e quello a stelle e strisce. Un predecessore nobile come Black Rain - Pioggia sporca rende solo relativamente l'idea, perché Brother è in tutto e per tutto un film di Kitano, con modifiche minime allo stile che lo ha reso celebre. Trasferirsi a L.A. e recitare in un film quasi interamente parlato in inglese è innanzitutto un'ottima scusa per non aprire bocca e rendere così Yamamoto una figura ancor più silenziosa e ieratica di quelle a cui il regista ci aveva abituato in Sonatine o Hana-bi. Il ricordo dei quali è sempre presente ma contemporaneamente assai distante in Brother: Yamamoto non si mescola all'ambiente estraneo, bensì porta con sé il proprio mondo e le proprie catene, trascinando i suoi nuovi "fratelli" in una parossistica e nichilista danza di morte.
Senza un perché né una parola di spiegazione, come vuole la tradizione di Kitano, quasi a rendere il viaggio negli States un sogno di pre-morte, l'anticipazione di un destino in ogni caso inevitabile. Sembra non disporre di libero arbitrio Yamamoto, condannato a ripetere i medesimi gesti e a generare quella reazione a catena di vendette e spargimenti di sangue che accomuna le mafie di tutto il mondo. Il lavoro di sottrazione di Kitano, che elimina ogni residuo dell'introspezione e dell'approfondimento piscologico che caratterizzavano le sue opere precedenti, porta a un action puro, di cui evidenziare il nudo scheletro.
Un'operazione che guarda ancora una volta a Fukasaku Kinji e insieme a Sam Peckinpah: l'intento è chiaro e l'esito a tratti affascinante, specie quando Kitano costruisce il suo esercito dal nulla, con la pura forza di un gelido death wish. Ma resta la sensazione di assistere a un capitolo minore della filmografia del regista giapponese, in cui viene sfiorato il rischio di una convenzionalità (o di una spersonalizzazione) inedita nel suo corpus cinematografico.
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Stessa faccia immobile di sempre,triste,impenetrabile e ironica,parole al contagocce,vestito e occhiali neri,sta cercando il fratello americanizzato,dopo l'annientamento della sua famiglia mafiosa in una guerra tra bande a Tokyo. Lo step successivo sarà una guerra feroce per la supremazia nel traffico della droga,lo yakuza/movie più disseminato di morti,dita tagliate e atrocità varie che Kitano [...] Vai alla recensione »
Venuto dopo il notevole “Hana-bi”, film che contribuì alla consacrazione internazionale di Kitano, “Brother” rappresenta il primo e (finora) ultimo film di Kitano girato in terra americana. Meno romantico, più politico e più tradizionale del precedente, “Brother” è comunque un noir comunque notevole.
Per introdurre brother di Takeshi Kitano basta introdurre la presentazione che si fa del suo personaggio principale: un uomo solo, in terra straniera, presentato da un'incerta inquadratura sghemba. Passano i minuti e scopriamo cosa si nasconde dietro i suoi silenzi e la sua presenza in quei luoghi in cui è del tutto estraneo: Feroce gangster della yakuza, si è trovato davanti al crollo totale del valore [...] Vai alla recensione »
Yamamoto “Aniki” è un boss della yakuza. Deve fuggire da Tokyo dopo la sconfitta del suo clan. Non appena arrivato a Los Angeles, incontra il fratello, che intanto è diventato un pusher. Conosce la sua piccola banda e subito si propone di guidarli in una guerra per il controllo del territorio. Prima ancora di annusare l’aria, di mettere le mani “in [...] Vai alla recensione »
Una banda Yakuza viene sgominata da un'altra banda rivale, tanto da essere costretta ad affiliarsi ad essa. Uno di loro, Yamamoto, però non ci sta e viene spedito dai suoi ex compari a Los Angeles sotto falso nome per fingere di averlo ucciso. Qui si ricongiunge col fratello minore, membro di un piccolo gruppo di spacciatori. E Yamamoto non perderà tempo a tentare di imporre la sua [...] Vai alla recensione »
Kitano,al suo primo film "made in usa",vuole rivendicare la propria autonomia d'autore("Faccio la guerra anche in America!").Il protagonista è ancora lo stoico personaggio pronto ad accettare la morte,la violenza abbondante e astratta,l'ironia sempre impeccabile,ma rivolgendosi ad un pubblico più vasto,è inevitabile che il film ci perda in imprevedibilità,e il senso di deja vù non manca.
C'è tutto quello che deve esserci, sparatorie a non finire, Yakuza, mignoli tagliati e via dicendo. Un buon film per chi ama il genere, di puro intrattenimento, sinceramente fatico a vedere messaggi subliminali o approfondimenti antropologici. Molto semplicemente, è un film che, a mio giudizio, è nato per intrattenere, il che non è poco, se l'intento riesce.
La famiglia del capomandamento Yamamoto(kitano) si è sfaldata dopo la morte dell'anziano boss; lui non può neanche concepire l'idea di passare con i suoi uomini al clan rivale e, per non venire uuciso, scappa a Los Angeles dove vive un suo fratellastro; il ragazo, ufficialmnte in America per studiare, è un picolo spacciatore che opera con due compari(tra cui il personaggio di Omar Epps) per conto di [...] Vai alla recensione »
film veramente bello! tra i migliori film gangster di sempre!
Non ho mai visto niente di così violento (forse City of God arriva a livelli simili). La gratuità e l'insensatezza di tanti sbudellamenti e omicidi compiuti con una crudeltà infinita mi hanno reso incredibilmente triste.
Gran film, violenze feroci: facce che esplodono ai colpi di pistola, disegnando sulla parete grandi fiori rosso sangue; bastoncini infilati nelle narici e spinti con una manata verso l'alto, sino a perforare il cervello; teste mozzate; falangi del mignolo recise col coltello e offerte al boss in segno di pentimento d'una mancanza di rispetto (secoli fa, era un uso e un rito dei samurai).