chesko
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sabato 20 settembre 2008
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brother – “fratello di sangue e non”
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Il grande Takeshi Kitano ci porta alla scoperta della yakuza dove i patti di sangue tra i membri sono più forti che in altre associazioni mafiose.
Ognuno è pronto a sacrificare, sigillando con il proprio sangue, anima e corpo al proprio capo e ai propri adepti in segno di legame eterno.
A Tokyo, durante la continua lotta tra bande rivali, si mettono male gli affari per Yamamoto costretto a cambiare identità e a trasferirsi negli States da suo fratello Ken.
A Los Angeles si inserirà immediatamente come leader all’interno del gruppetto di spacciatori di cui Ken fa parte, “shockkando” i ragazzi con le sue azioni e la sua incredibile esperienza…
Partirà così il “gioco della guerra” sul modello d’importazione orientale, costruito sull’astuzia, la freddezza, il controllo, la violenza e il rispetto.
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Il grande Takeshi Kitano ci porta alla scoperta della yakuza dove i patti di sangue tra i membri sono più forti che in altre associazioni mafiose.
Ognuno è pronto a sacrificare, sigillando con il proprio sangue, anima e corpo al proprio capo e ai propri adepti in segno di legame eterno.
A Tokyo, durante la continua lotta tra bande rivali, si mettono male gli affari per Yamamoto costretto a cambiare identità e a trasferirsi negli States da suo fratello Ken.
A Los Angeles si inserirà immediatamente come leader all’interno del gruppetto di spacciatori di cui Ken fa parte, “shockkando” i ragazzi con le sue azioni e la sua incredibile esperienza…
Partirà così il “gioco della guerra” sul modello d’importazione orientale, costruito sull’astuzia, la freddezza, il controllo, la violenza e il rispetto.
In breve tempo Yamamoto ricostruirà così un’associazione mirata ad assumere l’intero controllo del traffico di droga della città.
Kitano, artista bravissimo, qui regista, protagonista, produttore e sceneggiatore, crea delle atmosfere di una bellezza incommensurabile, grazie alla scelta delle inquadrature accompagnate da una colonna sonora tiepida, leggera, che accompagna i flashback che si susseguono ricostruendo come un puzzle la storia di Yamamoto.
I valori della fratellanza della Yakuza, del vincolo di appartenenza saranno svelati attraverso lo sviluppo di questo film capolavoro, che farà riflettere sulla distanza che esiste tra oriente e occidente, anche nell’infido mondo della criminalità.
L’ironia che trasporta Kitano dalle sue esperienze passate, danno un tocco di dolcezza ad un spettacolo crudo, fatto di sangue dove non esiste la pietà, dove non si può tornare indietro, dove la scelta inequivocabilmente modifica per sempre il destino di se stessi e degli altri…
Tra i personaggi di spicco troviamo Kato, braccio destro di Yamamoto, interpretato dal bravo Susumu Terajima che credo lascierà di stucco molti spettatori, Denny (ottimo Omar Epps) rappresenta il contrasto, non solo di colore, con il protagonista e farà riflettere sul tema di “brother” sulla possibilità della sussistenza del vincolo di sangue tra fratelli e non.
Da sottolineare nuovamente la colonna sonora del grande Joe Hisaishi, che ha ancora una volta ha lavorato, raggiungendo i soliti ottimi risultati, con l’ormai amico Takeshi Kitano.
Come al solito, voglio svelare il meno possibile, ed è bene fermarsi qui.
Auguro a tutti una buona visione alla scoperta del cinema di “beat Takeshi”.
“suo fratello” Francesco Ciabatti.
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paola di giuseppe
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martedì 29 giugno 2010
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uno yakuza a los angeles
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Stessa faccia immobile di sempre,triste,impenetrabile e ironica,parole al contagocce,vestito e occhiali neri,sta cercando il fratello americanizzato,dopo l'annientamento della sua famiglia mafiosa in una guerra tra bande a Tokyo.
Lo step successivo sarà una guerra feroce per la supremazia nel traffico della droga,lo yakuza/movie più disseminato di morti,dita tagliate e atrocità varie che Kitano abbia messo in scena.
Appena l’inquadratura fuori dell’aeroporto da sghemba torna a raddrizzarsi,Yamamoto sale sul taxi.E’ proprio lui,Beat Takeshi il killer leggendario che ammazza come nessuno, basta che tenda il braccio, immobile, implacabile,ne fa fuori dieci in un colpo(“A chi hai detto fottuto giapponese?”e scarica il caricatore a completare l’opera delle pistole incollate sotto il tavolo, nell’incontro al vertice tra capi mafia per il controllo del territorio).
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Stessa faccia immobile di sempre,triste,impenetrabile e ironica,parole al contagocce,vestito e occhiali neri,sta cercando il fratello americanizzato,dopo l'annientamento della sua famiglia mafiosa in una guerra tra bande a Tokyo.
Lo step successivo sarà una guerra feroce per la supremazia nel traffico della droga,lo yakuza/movie più disseminato di morti,dita tagliate e atrocità varie che Kitano abbia messo in scena.
Appena l’inquadratura fuori dell’aeroporto da sghemba torna a raddrizzarsi,Yamamoto sale sul taxi.E’ proprio lui,Beat Takeshi il killer leggendario che ammazza come nessuno, basta che tenda il braccio, immobile, implacabile,ne fa fuori dieci in un colpo(“A chi hai detto fottuto giapponese?”e scarica il caricatore a completare l’opera delle pistole incollate sotto il tavolo, nell’incontro al vertice tra capi mafia per il controllo del territorio).
Cinema di altissima qualità autoriale,privo della minima sbavatura,prende per il collo una caratteristica innata nell’uomo,la sete omicida, la guarda negli occhi,la sbatte in primo piano con evidenza plateale e,saltando a piè pari tentazioni retoriche e piagnistei,psicologismi e sociologismi,compiacimento e spettacolarità,mette in scena la più efferata carneficina si riesca a compiere con pistole e mitragliette, riuscendo ad intitolarla,appunto,Brother.
Un cinema di altissima moralità,quello di Kitano,e la trasferta americana non snatura il suo stile inconfondibile,anzi,gli offre il pretesto per strizzare l’occhio a Coppola e Scorsese,Van Damme e Spike Lee,invece che a Kurosawa,stavolta, e prodursi in qualche gag in più, irresistibile, sugli americani che guardano i giapponesi.
Una violenza così esibita potrebbe sembrare addirittura caricaturale, molto suggestionata dallo splatter di Tarantino, se non ci fossero una mano di ferro registica e uno stile personalissimo a renderla unica.
Kitano ci parla dell’uomo,è questo il fulcro, e lo fa con tono austero e scontroso,autoironico e grottesco,divertito e commosso.
Il nero dell’ultima scena,the real brother,infila una sequela di “Oh cazzo!” forse unica nella storia del cinema,ma riesce a parlarci,e quanto!di amicizia e fratellanza,vita che s’impone prepotente, nonostante tutto,destino che fa i suoi giochi e trappole in cui l’uomo va ad infilarsi,neppure lui sa spesso come.
C’è qui l’America trash,quella scorticata dei vicoli all’odor di spazzatura e quella degli hotel lussuosi,dove le mafie internazionali tengono briefing e cene di lavoro con succulenti cortei di escort al seguito.
C’è il paesaggio scabro, polveroso,dell’America on the road, delle lunghe strade che si perdono all’orizzonte e il mare si fa fatica a trovarlo, ma per un attimo c’è,e il gioco alla Sonatine, la roulette russa con beffa nella variante americana,ha luogo.
La musica di Hisaishi segue Kitano in trasferta e respira l’aria degli States,tesse accordi in cui il Giappone sembra un’eco lontana,con prevalenza di archi e fiati,commenta e alimenta il cambio di scena inaspettato,la brusca variatio che lascia straniati,fino a che ci ricordiamo che è la vita a cambiare sempre accordi.“Voi giapponesi siete imperscrutabili” dice il vecchio barista nell’ultima sosta, mentre dietro i vetri appaiono le macchine dei sicari.
Un sorriso appena accennato sfiora il viso sghembo e cicatrizzato di Kitano, si gira ed esce, la porta rossa si chiude alle sue spalle, un attimo e sarà perforata da colpi che si distribuiranno sul legno in un disegno armonioso.
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dave san
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venerdì 21 febbraio 2014
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il dragone furioso
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Yamamoto “Aniki” è un boss della yakuza. Deve fuggire da Tokyo dopo la sconfitta del suo clan. Non appena arrivato a Los Angeles, incontra il fratello, che intanto è diventato un pusher. Conosce la sua piccola banda e subito si propone di guidarli in una guerra per il controllo del territorio. Prima ancora di annusare l’aria, di mettere le mani “in pasta”, Yamamoto picchia ferocemente l’uomo che controlla il racket del fratello. Poi lo elimina. Una volta accordatosi con i nuovi soci, inizierà il conflitto giustiziando i rivali in città. Il cineasta non sembra soffermarsi troppo sulla marketing-azione dei traffici.
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Yamamoto “Aniki” è un boss della yakuza. Deve fuggire da Tokyo dopo la sconfitta del suo clan. Non appena arrivato a Los Angeles, incontra il fratello, che intanto è diventato un pusher. Conosce la sua piccola banda e subito si propone di guidarli in una guerra per il controllo del territorio. Prima ancora di annusare l’aria, di mettere le mani “in pasta”, Yamamoto picchia ferocemente l’uomo che controlla il racket del fratello. Poi lo elimina. Una volta accordatosi con i nuovi soci, inizierà il conflitto giustiziando i rivali in città. Il cineasta non sembra soffermarsi troppo sulla marketing-azione dei traffici. Occasionalmente riprende la banda mentre batte cassa. Da Los Angeles, Kitano disegna inoltre eloquenti e descrittivi flashback ambientati a Tokyo. La polizia non influisce granché sulla situazione. Al più fa da paciere. Yamamoto esporta con sé, un’aggressività in bilico tra samurai e kamikaze. Il cineasta lo sa bene. Da notare la sequenza lirica dell’aereoplanino lanciato dalla cima del loro covo. Dimentichiamoci i “raffinati” mobster pseudo borghesi di Cronenberg (la promessa dell’assassino) o gli aberranti Colin Sullivan (The Departed). Yamamoto è più simile al Libano di Romanzo Criminale. Kitano ritrae un gangster impulsivamente guerriero, d’onore e per niente amorfo. Un paradosso e un azzardo per ogni criminale: ancor più se fuori casa e in carriera. Diversamente dal Nostro, Anaki, conosce già il suo destino. Ne trarrà in qualche modo un’opportunità.
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no_data
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giovedì 1 ottobre 2015
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la spirale di violenza dello smarrimento
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Per introdurre brother di Takeshi Kitano basta introdurre la presentazione che si fa del suo personaggio principale: un uomo solo, in terra straniera, presentato da un'incerta inquadratura sghemba. Passano i minuti e scopriamo cosa si nasconde dietro i suoi silenzi e la sua presenza in quei luoghi in cui è del tutto estraneo: Feroce gangster della yakuza, si è trovato davanti al crollo totale del valore portante del proprio codice etico-esistenziale, la famiglia, ed è stato così costretto a fuggire verso la lontana America, in cerca di un fratello perduto.
Ovviamente davanti al proprio smarrimento il protagonista non può che reagire attraverso quella che pare essere la condizione naturale della sua esistenza : la guerra.
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Per introdurre brother di Takeshi Kitano basta introdurre la presentazione che si fa del suo personaggio principale: un uomo solo, in terra straniera, presentato da un'incerta inquadratura sghemba. Passano i minuti e scopriamo cosa si nasconde dietro i suoi silenzi e la sua presenza in quei luoghi in cui è del tutto estraneo: Feroce gangster della yakuza, si è trovato davanti al crollo totale del valore portante del proprio codice etico-esistenziale, la famiglia, ed è stato così costretto a fuggire verso la lontana America, in cerca di un fratello perduto.
Ovviamente davanti al proprio smarrimento il protagonista non può che reagire attraverso quella che pare essere la condizione naturale della sua esistenza : la guerra. Guerra che, come quella identificata da Hobbes, non può che manifestarsi in una ripetuta e sempre più feroce spirale di violenza in cui i protagonisti agiscono impassibili davanti alla morte, che possa essere altrui o propria.
Ma Brother non è un film nichilista, è un film morale. E così ecco che, nel finale, viene esposta tutta la necessità etica della fiducia e dei rapporti umani. Perché un mondo di fratelli, e questa volta di scelta e non di sangue, è l'unica alternativa ad un mondo di assassini.
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movieman
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giovedì 27 febbraio 2020
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quando kitano è andato in america
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Venuto dopo il notevole “Hana-bi”, film che contribuì alla consacrazione internazionale di Kitano, “Brother” rappresenta il primo e (finora) ultimo film di Kitano girato in terra americana. Meno romantico, più politico e più tradizionale del precedente, “Brother” è comunque un noir comunque notevole.
La storia racconta di un gangster, Aniki Yamamoto, della yakuza che, in seguito al tradimento della sua gang da parte di uno dei suoi due fratelli, decide di emigrare in America sotto falso nome e di andare a trovare il fratello minore, convinto di averlo fatto studiare e di averlo aiutato con i soldi che lui gli ha mandato nel corso degli anni.
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Venuto dopo il notevole “Hana-bi”, film che contribuì alla consacrazione internazionale di Kitano, “Brother” rappresenta il primo e (finora) ultimo film di Kitano girato in terra americana. Meno romantico, più politico e più tradizionale del precedente, “Brother” è comunque un noir comunque notevole.
La storia racconta di un gangster, Aniki Yamamoto, della yakuza che, in seguito al tradimento della sua gang da parte di uno dei suoi due fratelli, decide di emigrare in America sotto falso nome e di andare a trovare il fratello minore, convinto di averlo fatto studiare e di averlo aiutato con i soldi che lui gli ha mandato nel corso degli anni. Ottenuto un passaporto falso (con metodi assai discutibili), l’uomo arriva in America e trova l’ennesima delusione: il fratellino si è dato allo spaccio della droga alleandosi con dei pusher locali e vive nei bassifondi. Arrivato a questo punto, il gangster decide di dare una mano al consanguineo nella conquista del territorio e, dopo una diffidenza iniziale, stringe amicizia con Danny, un pusher afroamericano. Aniki e la sua banda cominciano, quindi, la scalata al potere, fra tradimenti e uccisioni efferate (in questo film muoiono tutti molto male e c’è perfino chi fa harakiri), ma la parabola arriverà alla sua catarsi quando il gruppo si scontrerà con la mafia.
In questo film Takeshi Kitano ha affrontato un tema che, nella cultura giapponese, è molto presente dal secondo dopoguerra in poi: lo scontro fra la cultura giapponese e quella americana. Questo argomento era già stato affrontato, per esempio, in un bellissimo film di Akira Kurosawa, “Rapsodia in agosto”. Ma se Kurosawa usava la metafora della bomba atomica per parlare del conflitto fra le due culture, Kitano si è confrontato con il tema usando i codici del genere noir. Il regista giapponese , in questo film, ha messo sotto la lente d’ingrandimento tanto la società occidentale quanto quella orientale e le ha analizzate mettendo in evidenza tematiche come l’assimilazione culturale, l’emarginazione, l’individualismo e i pregiudizi razziali (evidenziati anche dal fatto che Anaki, un emarginato, stringerà una vera amicizia proprio con Danny, guarda caso un esponente di una minoranza perseguitata), tutti aspetti che vengono inaspriti dal fatto che i personaggi sono malviventi e si muovono in un sottobosco che non è per nulla ospitale. Su tutto e tutti domina un senso di solitudine e e di fatalità dove, però, nell’ultima parte affiora una voglia di riscatto morale. Ma siamo in un noir, appunto, e questo riscatto avverrà solo dopo un bagno di sangue e non prima (attenzione: parziale spoiler in arrivo!) di una simbolica rinuncia alla vendetta.
Film molto violento, più freddo del precedente, ma (come ho già detto) anche piuttosto notevole. Colpiscono l’eleganza della messinscena in generale e i toni freddi della fotografia (grazie ai quali, però, risaltano ancora di più i momenti di violenza) che usa soprattutto colori funerei e colpisce anche l’apparente lentezza della narrazione che trasmette l’inquietante sensazione che tutte le situazioni possano degenerare da un momento all’altro. E, nonostante tutto, Kitano ( che è anche un comico conosciuto, in Giappone, con il soprannome di “Beat Takeshi”) ha lasciato scorrere, in filigrana, una vena di salutare ironia che non guasta mai.
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luca scialò
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mercoledì 11 agosto 2010
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yakuza vs mafia
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Una banda Yakuza viene sgominata da un'altra banda rivale, tanto da essere costretta ad affiliarsi ad essa. Uno di loro, Yamamoto, però non ci sta e viene spedito dai suoi ex compari a Los Angeles sotto falso nome per fingere di averlo ucciso. Qui si ricongiunge col fratello minore, membro di un piccolo gruppo di spacciatori. E Yamamoto non perderà tempo a tentare di imporre la sua legge anche lì...
Dopo "L'estate di Kikujiro", un outsider rispetto ai soliti film di Kitano, il regista giapponese torna a parlare di Yakuza e lo fa mostrando il lato più volento e crudele di essa. Non mancano al contempo, spazi dedicati ai buoni sentimenti.
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