«Noi ragazzi cresciuti negli anni Ottanta, da quando siamo piccoli vediamo la politica in tv sempre associata agli scandali, alle varie Tangentopoli. Molti trentenni si disinteressano, leggono poco le cronache parlamentari, dicono: tutti uguali, tutti ladri o, come diceva Jannacci, l’è una roba sporca... Tendiamo a fidarci delle persone e non delle ideologie. Uno scontro fra settantenni non è proprio il massimo per coinvolgerci. Walter Veltroni, per esempio, è stato un errore non averlo usato come leader nazionale della sinistra, Rutelli ha una storia pulita, e – pur non condividendo le sue idee – andrei a cena volentieri con Gianfranco Fini, sembra intelligente e divertente. Certo, Silvio Benlusconi è unico. Ha portato io spettacolo nella politica, come fece Ronald Reagan in America, è un grande comunicatore: ha promesso agli italiani che ciascuno potrà diventare imprenditore di se stesso. Penso che sarebbe riuscito in qualunque mestiere, non l’ho mai incontrato, ma lo immagino piacevole nella vita privata...»
Fausto Brizzi è un bel ragazzo: normale, camicia a quadri, capelli corti, faccia spiritosa e stretta di mano sicura. Puntuale, arriva dopo aver piazzato la moto davanti alla gelatenia Giolitti di via Settembrini. Regista, scrittore, il primo film della sua vita, Notte prima degli esami, genialmente dedicato alla canzone di Antonello Venditti sulla maturità, ha sbancato, incassando dodici milioni di euro. Lui sembra ancora non crederci: «E non è finita. E da mesi in libreria il romanzo del film, sotto forma di diario di Luca e Claudio, i due protagonisti, e con le classifiche degli anni Ottanta, le cose da dimenticare, quelle per cui valeva la pena emozionarsi. Dopo il dvd, uscirà il prossimo 14 febbraio, giorno di san Valentino, il sequel, la seconda parte della storia, ancora con Giorgio Faletti e tutti i ragazzi confermati ma con una new entry speciale, infine nel 2008, ma non sarò io a girarla, la fiction tv a puntate. Ho soltanto raccontato i miei compagni di scuola, i miei amici scout, il cazzeggio anni Ottanta, il mio rapporto terribile con gli esami, l’ansia incontrollabile che mi impediva di dormire e di ragionare per settimane, prima dell’appuntamento fatidico».
Lui, alla maturità scientifica, ottenne «un misero 43, copiai il compito di matematica». Figlio di Sabino, avvocato, e di Alba Maria, dirigente ministeriale in pensione, Fausto era un ragazzino irrequieto e a suo modo geniale: «Al ginnasio Orazio, a Montesacro, saltavamo la scuola per andare di fronte, dov’erano gli studi della Dean-Nomentano, allora affittati a Mediaset. Lì giravano, al mattino, le puntate di Drive In, mitica trasmissione tv, con quelle due meraviglie di Carmen Russo e Tinì Cansino. Noi sedicenni, in fuga dal greco e dal latino, venivamo usati come pubblico palpitante dai comici Ezio Greggio, Marco Columbro, una pacchia». Fuggire dalle classi per ammirare le curve delle primedonne della tv commerciale, alla fine, si è rivelato un imprinting utile, prezioso (non molti anni dopo quelle indimenticabili mattine, sarà proprio Brizzi a scrivere diverse sceneggiature per Greggio e Columbro). Quando i genitori di Fausto iniziano a preoccuparsi, lui dribbla il classico e passa allo scientifico, però si annoia: «Appena compiuti i diciotto anni, iniziai a firmare da solo le giustificazioni: il lunedì, dopo l’uscita in campagna con gli scout del gruppo Roma 66, dormivo beato, e il martedì, mercoledì... uguale. Mio padre mi voleva avvocato, come lui, ma a Legge ho resistito un anno solo. Sono passato a Lettere, poi ho vinto il concorso per il Centro sperimentale di cinematografia. Finalmente mi sono sentito a casa». Rapida trafila di commedie teatrali e di corti, «il primo era ambientato nei sotterranei del Centro sperimentale, dove immaginavo che fossero reclusi gli aspiranti registi terrorizzati dal momento dell’esordio», e a poco più di vent’anni, Fausto incontra Enrico Vanzina e inizia a lavorare come sceneggiatore per Tifosi, di Neri Parenti, e per una lunga serie di fiction, prodotte da Rai e Mediaset. Dal 1999, è fra gli autori dei film natalizi di Boldi e De Sica. Nel divorzio fra i due «sono rimasto con Cristian De Sica e Neri Parenti: sarà una guerra fratricida, un duello all’ultima sala... (ride). Stiamo scrivendo in questi giorni». Il plurale è d’obbligo: Brizzi scrive in coppia con Marco Martani da sedici anni. Tutti i giorni, tranne il sabato e la domenica, «dalle 9 e 30 alle 19, come in ufficio, ci ritroviamo nei nostri studi al quartiere San Lorenzo, due stanze, una sopra all’altra. Il primo che arriva bussa sui pavimento e l’altro sale, o scende. Scriviamo su ordinazione, a pagamento, o anche a vuoto. Tutti i giorni: abbiamo i cassetti pieni di storie mai messe in scena. Sai, adesso, dopo il film, i produttori vorrebbero comprare tutto... a scatola chiusa. E il bello è che, fuori dal lavoro, Marco e io non ci vediamo quasi mai».
Il ragazzo prodigio del cinema italiano viene sempre interrogato sulla formula segreta del successo. Domanda inevitabile, risposta sincera e disarmante: «Tanti ragazzi vogliono raccontare le loro idee attraverso un film, ma quello riesce soltanto ai geni come Nanni Moretti, Woody Allen, o Pedro Almodovar. Noi normali dobbiamo immaginare a chi vendere la storia, come se andassimo al mercato a vendere patate, quelle piacciono a tutti... Non vorrei essere banale, ma se io girassi Caro diario, nessuno andrebbe a vederlo. Una classe di studenti, invece, ha funzionato. Come funzionano i film di Natale... E Le Iene in tv: fare scherzi e prendere in giro in modo nuovo il Palazzo è una buona idea, costa poco e fa tanto ascolto. Post-ideologico, pratico, artigianale ma perfezionista, Brizzi ha lavorato per tanti produttori. Senza farsi troppi problemi, dice salutando-mi con un gran sorriso, «il conflitto d’interessi non esiste. O meglio, il conflitto d’interessi è l’Italia. Vedi, la destra e la sinistra sopravvivono per voi, per noi più giovani sono concetti superati. 1o sono nato nel Sessantotto, e penso che oggi don Camillo e Peppone, se rinascessero, andrebbero a cena e magari anche a giocare a golf insieme. Ah, se ci fosse ancora Giorgio Gaber... Lui sì, aveva capito tutto».
Da Registi d’Italia, Rizzoli, Milano, 2006