Perché non dovrei dirlo: non mi piace il Festival di Sanremo. A volte, per mestiere sono costretto a cascarci dentro. Lo considero un contenitore ipertrofico dove ci viene schiacciato dentro tutto. Punta a tutte le identità e finisce per non averne nessuna. Attenzione, oggi è tutto legittimo e tutto possibile. Certo una piattaforma così elefantiaca è appetita da tutti e da tutto. Puoi inserire la politica ma devi avere lo stile e la cultura necessari. E poi, e anche questo può starci in questa epoca di comunicazione, non esiste un aggettivo che non sia un superlativo e sono sempre baci e abbracci a chi magari non li meriterebbe.

Il segnale inconfutabile, invasivo, esteticamente opprimente sono le scenografie. Fagocitano tutto, a cominciare dai cantanti, relegati là sotto, quasi invisibili. Dicevo... “segnale”: è quello dell’effimero, dell’iperbole, del colosso, a fronte della sostanza. Certo, la sostanza, nella nostra epoca è difficile da scovare e rappresentare. Figuriamoci a “Sanremo”.

Ma veniamo a una “sostanza”, pessima purtroppo. Mercoledì “Sanremo” è caduta nel blasfemo. Ha ospitato John Travolta e lo ha “sanremizzato”, ignorando del tutto che cosa rappresenti quello che è l’artista più talentuoso dell’epoca moderna del cinema. Dotato di una grazia dall’alto, estranea a tutti gli altri.  Non è mia discrezione, ci sono prove inconfutabili. Basta ricordare la potenza e l’appeal della sua camminata e dei suoi balli ne La febbre del sabato sera. Divenne l’idolo dei giovani di tutto il mondo. Nel successivo Grease (guarda la video recensione) si riconfermò con un altro stile. Ma non gli è bastato, ha sempre ricercato e si è evoluto. Gli stili, John, li ha dominati tutti. In Staying Alive trova una combinazione fra danza moderna e classica, mostrando anche un fisico perfetto, che ha incantato i più critici puristi. Ma c’è l’attore. E come tale Travolta esplora altri registi, compreso quello comico nella serie Senti chi parla.
Passano i decenni, non tutte le performance sono all’altezza dei suoi classici, finché Quentin Tarantino lo chiama per il ruolo di Vincent Vega in Pulp Fiction. Travolta che balla il twist – uno scherzo per uno come lui - con Uma Thurman è un momento che fa parte dell’antologia più nobile dello spettacolo. John non balla più salvo un intermezzo in Michael, dove fa un angelo che coinvolge tutti nelle sue azioni. Da ricordare titoli “diversi” come La figlia del generale, Codice: Swordfish, Be Cool, e la strepitosa prova di attore in Grasso è bello. In sintesi, a chiudere: nessuno come lui.

E poi John Travolta arrivò a Sanremo. Dopo la sua citazione de La strada di Fellini, opportuna e un po’ fuori registro, John è sempre sembrato estraneo e smarrito, come a dire “ma dove sono capitato?”. Certo, se hai Travolta, lo fai ballare, e così è stato. Prima con Amadeus, che non è stato così insopportabile, ma poi quando è arrivato Fiorello, John è stato “fiorellizzato”. Trascinato in quelle girandole grottesche, ultrapop e umilianti. Stavo male per lui. Che disastro, un fenomeno coinvolto in quell’insopportabile trash. Il peggio del peggio.
Si dice che gli abbiano dato qualche centinaio di migliaia di euro. E allora lo si può anche capire. Ma sembra che, finita la tortura, rivedendosi, John non abbia dato la liberatoria. Così non ci saranno riproposte del grottesco. Deve aver pensato, a compensare quella figuraccia “dovevo chiedere di più“. Evidentemente si rifarà con l’azienda di scarpe. A che prezzo? (Compreso quello di noi contribuenti) ancora non si sa.