Primo ruolo full-time per Sharon Stone in una serie televisiva (Agent X) che conferma l'istinto biondo e lo charme senza tempo della diva hollywoodiana.
di Marzia Gandolfi
Regina di bellezza a Meadville, mannequin a New York, Barbie elastica a Hollywood, bionda glaciale nel talamo, teeneger urlante sotto la doccia, apparizione muta dietro un vetro, cocainomane ai tavoli verdi, cougar ironica in salotto, gioco di gambe sans culotte nelle stazioni di polizia, esploratrice cotonata nelle miniere di re Salomone, Sharon Stone è una reduce accanita e tenace.
Sopravvissuta alla vita, al suo agente, ai suoi film e a Hollywood, che vedeva in lei soltanto una 'cosa bionda' promossa a colpi di 'rompighiaccio'.
Ma lei, mélange sofisticato tra Kim Novak (La donna che visse due volte) e Grace Kelly (La finestra sul cortile), licenzia il suo agente, prende in mano la sua carriera e arresta una caduta che scavava già nel cinema di serie Z. Più forte di tutto (e di tutte) risorge negli anni Novanta con un atto di forza. A partire da quel momento e da Paul Verhoeven la sua ascensione non deve niente all'azzardo ma alla sua determinazione di arrivare. Un giorno. E quel giorno si presenta finalmente al debutto degli anni Novanta.
Sono svariati e sorprendenti gli avvenimenti che marcarono quel decennio: le dimissioni di Margaret Thatcher nel Regno Unito, la svolta della Bolognina in Italia, la conferma del genio e del titolo dello scacchista Garry Kasparov in Russia, i colori dell'indipendenza e della bandiera in Ucraina. Eppure in quella stagione che chiudeva l'ambigua euforia degli anni Ottanta e apriva sugli anni immediatamente successivi al postmoderno, Paul Verhoeven innesca con approccio ironico e smaliziato il massimo di intensità concettuale con il minimo di forma, graffiando per sempre sguardo e immaginario dello spettatore. Nella sala interrogatori del quartier generale della polizia di San Francisco, in un arco di luce azzurra e quasi catodica, Catherine Tramell (Sharon Stone) emerge hitchcockiana e imperiale nel suo mini abito bianco e aderente.
Troneggiante a gambe incrociate e in faccia a un banco di poliziotti concupiscenti, Sharon Stone prende possesso dello spazio col corpo e lo sguardo di chi non ha davvero nulla da nascondere.
Come per aggiungere un'interpunzione alle domande degli ispettori, fissa lungo la linea delle dita che stringono la sigaretta il più infiammato e smanioso tra loro e pronuncia la sua battuta, sciogliendo e incrociando le gambe. È un baleno, un intervallo brevissimo, un movimento che lascia sbirciare il suo sesso.
La scena dura qualche secondo ma è destinata, come il film che la include come una gemma, (Basic Instinct) a occupare la mitologia contemporanea. Il sesso nudo ed esibito di Sharon Stone inverte la straordinaria denegazione dell'innamorato di Roland Barthes, che dietro gli "occhiali scuri" rivela la passione che vuole nascondere ("Frammenti di un discorso amoroso"). Se gli amanti in ambasce di Barthes finiscono per esibire celando le lacrime versate per l'altro, l'eroina di Sharon Stone nasconde mostrando. L'intimità esposta di Catherine Tramell funziona da schermo che, lontano dall'essere confessione di debolezza o vulnerabilità, rinforza il potere della protagonista, frustrando il desiderio di vedere (davvero) dell'altro. L'accavallamento mitico dissimula pensieri e possibile colpevolezza, rovescia i codici abituali del thriller virile, ribalta ruoli sociali e posizioni routinarie tra le lenzuola.
Eroina forte e predatrice, l'attrice scala grattacieli (Sliver) e risale la china fino alla nomination all'Oscar nel 1995 (Casinò), che 'rompe il ghiaccio' sulla superficie e accende la scintilla in un film di deflagrazioni. Un film, quello di Martin Scorsese, che esplode e chiude un'epoca, l'età d'oro di un certo cinema e di un certo modo di vedere e di fare (bene) le cose. Anche per la diva, da quel momento incapace di decidere una carriera degna del mito che incarna e votata a collezionare nomination e vittorie ai Razzie Awards. Il tracollo è indotto da ruoli che istigano i suoi istinti più bassi e rifanno disinnescati i suoi personaggi passati, 'fatti' di sesso, coca e furia.
Se sul set la sua bionditudine viene meno, fuori campo la Stone sposa con successo cause umanitarie e una carriera da produttrice che la conduce addirittura alla Casa Bianca.
Vice-presidente in Agent X, la spy-serie che Mediaset Premium lancia in apertura di stagione, Sharon Stone recupera il suo istinto biondo e ancora una volta regge e conduce il potere maschile, dissimulato dallo sguardo blu di Jeff Hephner. Nervi saldi e pistola alla mano è l'agente del titolo al servizio del Paese e di una diva di temperamento e risorse che ricomincia dalla televisione.