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Woody Allen: 49 film in 49 anni

ONDA&FUORIONDA di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

Woody Allen (Allan Stewart Konigsberg) (88 anni) 30 novembre 1935, New York City (New York - USA) - Sagittario. Interpreta Joe nel film di Woody Allen Tutti dicono I love you.

domenica 27 settembre 2015 - Focus

Sta per uscire nelle sale Irrational Man, l'ultimo film di Woody Allen. È il suo 49esimo a partire dal 1966, dunque in 49 anni. Ma c'è un'altra data importante per Woody, il primo dicembre compirà 80 anni. E se significa qualcosa in termini di tempo vitale, non significa nulla in termini di energia artistica. La media è di un film all'anno e la cadenza è sempre la stessa di quando l'artista aveva quarant'anni, cinquanta e così via. Il suo primo film accreditato è Che fai, rubi? del 1966, appunto.
Un paio di memorie a definire: c'era ancora la guerra del Vietnam, e Mao Tse-tung dava inizio alla sua "rivoluzione culturale proletaria". E 6 parole sul cinema: da allora è molto cambiato, peggiorando. Nell'evoluzione della storia, che raramente migliora la felicità collettiva, Woody Allen si è sempre proposto come una costante che "meno male che c'era", come un amico affidabile, come un garante di evasione. E ha dettato quel surplus di sorriso e perché no, di felicità, che ha dato una mano a tutti noi. Come sempre accade la sua filmografia presenta qualità diverse, alcuni titoli sono capolavori, altri non lo sono, ma non può che essere così. La sua azione e la sua curiosità sono talmente vaste che non è possibile contenerle nelle sintesi. Certo i capisaldi ci sono, le città per esempio. A Cominciare da New York. In Manhattan si pronuncia in una appassionata dichiarazione d'amore verso la sua città. Nel testo fuori campo, incipit del film, connotando il protagonista, cioè se stesso, dopo alcuni tentativi con didascalie complicate e astratte, trova la giusta formula: "Era di New York e lo sarebbe sempre stato." New York "è" dunque Woody, che poi nel tempo ha viaggiato, esplorando altre città. E ciascuna la faceva sua, secondo storie diverse, ma sempre col denominatore della passione e dell'assunzione. Ha assunto Parigi perché là c'è tutto, il passato e il presente, l'arte e la cultura in un sortilegio esclusivo; Londra per il sarcasmo e per thriller; Barcellona per l'amore ultralibero e i colori che tutto omologano; Venezia per la sintesi di tutto e per quel magico set naturale. Roma l'ha visitata, esplorata, ma non è riuscito ad assumerla. La rappresenta in codici classici. Ma le vicende e i caratteri potrebbero essere collocate negli scenari delle altre città di Allen. Non ha colto la romanità. Non è stato fortunato nei tempi, perché se fosse incappato nel sindaco Ignazio Marino si sarebbe trovato fra le mani quell'inverosimile "attore" che sembra uscito da tante letterature: da Plauto, a Cervantes, Ionesco e Pirandello, oppure... Disney. Allen-Marino, che magnifico confronto avrebbe potuto essere. Poi c'è il modo di vivere del newyorkese, le sue allergie, i tic, le angosce. Sappiamo. Ma le indicazioni che arrivano da lui non sono mai banali, non è detto che debbano essere acquisite -sempre di talento matto trattasi- ma certo meritano attenzione. Come quando, sempre in Manhattan fa la lista di ciò per cui vale la pena di vivere. "Be', devo essere ottimista. Va bene, dunque, perché vale la pena di vivere? Ecco un'ottima domanda. Be', esistono al mondo alcune cose, credo, per cui valga la pena di vivere. E cosa? Ok. Per me... io direi... il buon vecchio Groucho Marx tanto per dirne una, e Joe DiMaggio e... il secondo movimento della sinfonia Jupiter... Louis Armstrong, l'incisione Potato Head Blues... i film svedesi naturalmente... L'educazione sentimentale di Flaubert... Marlon Brando, Frank Sinatra, quelle incredibili... mele e pere dipinte da Cézanne, i granchi da Sam Wo, il viso di Tracy." C'è molta roba americana ma anche molta universale. E poi Allen come deterrente, che è un aspetto decisamente importante. Alludo ai due schermi, grande e piccolo, portatori, in generale, di pensiero debole anzi debolissimo, di degrado, di noia. E poi di angosce che è legittimo rappresentare, ma vivaddio, che ci venga lasciato, qua e là, qualche spazio franco. Ed è lì che si inserisce l'autore ebreo. Rispetto alla sua immensa opera ho fatto una scelta di getto, una sola. È il finale di Tutti dicono I Love You, del 1996. Woody è sulla sponda della Senna, con Goldie Hawn. Sono stati sposati e ricordano quel periodo. Lei comincia a cantare "I'm Through With Love" poi è il momento del ballo, surreale, con lei che vola in alto, volteggia e scende fra le braccia, che non sono quelle di Nureyev, dell'ex marito. Infine, col fiume che riverbera nelle luci di Parigi, concludono: Goldie: "... bella la vita." Woody "È sbalorditiva... sbalorditiva." Che bel promemoria e... meno male che Woody c'è.

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