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Salvatores. Il regista che cambia registro

Una cartina di tornasole di ciò che accade in quel determinato momento.
di Rossella Farinotti

In foto Gabriele Salvatores e John Malkovich sul set di Educazione siberiana.
Gabriele Salvatores (74 anni) 30 luglio 1950, Napoli (Italia) - Leone.

martedì 12 marzo 2013 - News

Gabriele Salvatores è nella sale con Educazione siberiana, tratto dall'omonimo romanzo di Nicolai Lilin, di cui si è molto parlato. I romanzi si addicono a Salvatores, del resto molti registri gli si addicono. In questo senso il regista d'acquisizione milanese - è napoletano d'origine, ma è stata Milano a consacrarlo nel mondo dello spettacolo, partendo dal teatro quando, nel 1972, fondò con Elio De Capitani e Ferdinando Bruni, il Teatro dell'Elfo, per poi passare al cinema - è un autore anomalo. Non si fa riconoscere, può essere detto in altro modo: riesce a non farsi riconoscere.

Tornando ai romanzi non si può non evocare Niccolò Ammaniti, scrittore ben accreditato che ha fornito a Salvatores storie intense come Io non ho paura e Come dio comanda.
Educazione siberiana è stata una ricerca interessante, che combina il "vecchio col nuovo". L'ambiente è suggestivo, con tratti inediti: un girone dell'inferno, neve, cielo nero, baracche orrende, e violenza, tanta violenza. Dopo quella siciliana, il cinema ha scovato, nel tempo, la mafia russa, ebrea, cinese, giapponese, albanese e così via. Funzionavano. Adesso c'è la mafia (non servono le virgolette) siberiana. Del resto alcuni richiami sono sensibili. Nonno Kuzya (Malkovich) con le sue massime e i suoi codici - rifiuta la droga - ha molto in comune con don Vito Corleone. E i due protagonisti Kolima e Gagarin ricordano certo i De Niro e Woods di C'era una volta in America. Dunque, ricerca e registro inedito per Salvatores.

"Educazione" e i due titoli citati, sono comunque esempi di film legati da quello stile di racconto reale, crudo, con tocchi alti di narrazione "alla Salvatores", ma molto diversi tra loro. Perché Salvatores, come pochi autori, sa cambiare registro. E l'ha fatto sempre, nel bene e nel male. I grandi registi, da Hitchcock a De Sica, da Lynch a Fellini, o ancora da Ford a Truffaut, Almodòvar e Burton, hanno un'imprescindibile firma, il loro riconoscibile timbro, portati avanti con un fil rouge che non si tradiva mai. Hitchcock lo riconosci subito insomma. Anche Kubrick è tangibile, seppure con stili e risultati diversi. Lo riconosciamo per l'attenzione minuziosa nei dettagli, per le musiche, per il racconto lento, ma da Arancia meccanica a Barry Lyndon le cifre cambiano, eccome. È così anche per un altro maestro come Visconti, elegante e perfetto sempre, ma neorealista tra i più neorealisti in opere come La terra trema e Bellissima, elegante, "storico" e raffinato come ne Il gattopardo.

Salvatores è dunque un narratore che si evolve. Spesso. È il regista goliardico, divertente, ironico e molto "italiano" di Marrakech Express (1989), Puerto Escondido (1992) o Mediterraneo (1991. Oscar come miglior film straniero nel 1992, tra l'altro), film in cui tanti si sono riconosciuti. Ma Salvatores è anche quello di Come Dio comanda (2008), Quo Vadis, Baby? (2005), Denti (2000), film duri, che raccontano di una realtà nella quale pochi vogliono riconoscersi, ma che esiste più dell'altra, ed è dolorosa. E ancora film come Sud (1993), o Io non ho paura (2003), una delle pellicole migliori che il cinema italiano abbia prodotto negli ultimi anni: storie di denuncia di un'umanità pericolosa, e di una società in allarme, come quella dell'Italia del Sud. E poi pellicole che esulano da questo stile, come Nirvana (1997) quasi fantascientifico, e un film patinato come Happy Family (2010), racconto divertente e teatrale dai toni colorati.

Salvatores assume dunque registri diversi, sempre in aderenza con il reale: ecco che tocca codici e linguaggi diversificati, ma sempre con passo accurato, mai banale o superficiale, dal racconto da bar, al romanzo crudo. Salvatores è spesso la cartina di tornasole di ciò che accade in quel determinato momento.

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