Nonostante sia uno dei cineasti europei di maggior talento, Olivier Assayas (classe 1955) resta pressoché sconosciuto al pubblico italiano. Persino il "milieu" cinefilo lo trascura un po', forse perché difficilmente collocabile. Addirittura uno dei suoi titoli principali, forse il più apprezzato in Francia, Les destinées sentimentales (2000), è inedito da noi. Figlio dello sceneggiatore Jacques Rémy eredita dal padre, capace di passare dal copione impegnato di Il bosco degli amanti di Autant-Lara al divertente L'ispettore spara a vista di Lautner, il gusto per la contaminazione non solo dei generi ma dei toni. Alto e basso, senza però alcuna ruffianeria "midcult". Pura passione per il cinema, espressa in gioventù scrivendo su "Métal Hurlant" e sui "Cahiers du cinéma". Per Assayas il concetto di caméra-stylo si può interpretare in entrambi i sensi: la macchina da presa libera come una penna, con il regista demiurgo del racconto al pari di uno scrittore, ma anche la penna che sappia evocare suggestioni cinematografiche durante l'esercizio della critica, per scoprire mondi di celluloide. A metà degli anni 80, ben in anticipo sulle mode del decennio successivo, con un memorabile dossier dei "Cahiers" Assayas fa conoscere ai cinéphiles occidentali il cinema di Honk Kong, il wu xia pian e in particolare un maestro come King Hu.

Eppure i suoi film, almeno agli esordi (Désordre - Disordine, 1986; Contro il destino, 1991) paiono legati alla Nouvelle Vague per stile e ispirazione. Affreschi giovanili tormentati e non convenzionali, dove si fanno i conti anche con genitori disillusi (memorabile Jean-Pierre Léaud/Antoine Doinel che in Contro il destino fa il... padre) senza alcuna concessione al cinema francese popolare e "borghese" dell'epoca. Con L'eau froide (1994), episodio della serie tv Tous les garcons et les filles de leur âge, Assayas firma il suo capolavoro, storia di due giovanissimi amanti coinvolti all'inizio degli anni 70 in turbamenti esistenziali ed epocali. Aderendo epidermicamente alla colonna sonora rock, ispirandosi ai Creedence Clearwater Revival e a Nico, il regista s'inventa uno stile narrativo fluido, originale e affascinante, capace di coniugare in modo altissimo due scritture, quella letteraria della sceneggiatura e quella invece puramente visiva. In questo senso L'eau froide può essere considerato un primo magnifico passo verso il nuovo film Qualcosa nell'aria (Après Mai), nelle sale dal 17 gennaio, premiato alla Mostra di Venezia per la migliore sceneggiatura.

Senza rimanere imprigionato nel filone giovanilistico-generazionale, Olivier Assayas, con la sua compagna di allora Meggie Cheung, già musa di Wong Kar-wai, realizza Irma Vep (1994), omaggio a Hong Kong e a Louis Feuillade; e soprattutto Clean (2004) sulla vicenda di una musicista emarginata dopo la morte per overdose del marito, ex popstar. Una storia rock che poteva benissimo essere raccontata da una canzone, o emotivamente da una melodia. La vera sorpresa è però Carlos, uno sceneggiato del 2010 coprodotto dall'emittente franco-tedesca ArtE sulla vita del più famigerato terrorista internazionale, Ilich Ramirez Sanchez nome di battaglia Carlos. Il film dura cinque ore e 16 minuti ed è stato presentato a Cannes, prima fiction in assoluto a essere accolta tra le braccia del festival più blasonato. Carlos è l'opera complessa e grandiosa di un regista capace di emozionare mostrando due tipi che parlano di Marx e Proust per dieci minuti, in camera fissa, e subito dopo raccontando con ritmo americano il loro assalto armato alla sede viennese dell'Opec.