Femmine in gabbia. Correva l'anno 1974, agli apici della Nuova Hollywood, e un signore molto scaltro e dal grande intuito, Roger Corman, cresceva la sua Factory. Industria indipendente di film di serie B, attiva già da un ventennio, famelica di giovani talenti. Tra loro Jonathan Demme, classe 1944, al quale viene assegnato il compito di realizzare un WIP, acronimo di women in prison, il filone carcerario declinato al femminile. Il risultato è appunto Femmine in gabbia. Non un capolavoro, del resto non voleva esserlo, ma un classico dell'exploitation. Oggi Jonathan Demme firma Enzo Avitabile Music Life, un documentario dedicato a uno dei più grandi musicisti contemporanei italiani, girato nella sua Napoli. Il regista di Napoli sa ben poco, ma si mette in gioco con la sola "merce di scambio" di cui dispone in abbondanza. Lo sguardo. Pur accompagnato da Avitabile, che si muove tra i quartieri della città come un leone nella sua foresta, Demme veste i panni dell'esploratore discreto, curioso, a volte stupefatto, certo coinvolto dalla musicalità dell'ambiente, oltre che dal genio dell'interlocutore.

Fin dal 1984 Jonathan Demme ha sviluppato un suo personale percorso nel rockumentary, del quale Enzo Avitabile Music Life fa parte, nonostante la proposta musicale di Avitabile sfugga alle classificazioni. Con Stop Making Sense (1984) racconta uno show dei Talking Heads come se vi prendesse parte, trattando David Byrne e soci al pari di compagni di viaggio (suoi e dello spettatore) e non rockstar, senza alcuna retorica. Nel 1995 dirige Murder Incorporated, un mediometraggio che testimonia una prima riunione di Bruce Springsteen e la E Street Band preludio di quella definitiva che porterà poi, nel 1999, al leggendario Reunion Tour. Il gruppo viene ripreso mentre registra live il video di Murder Incorporated, e naturalmente è conseguente alla collaborazione di Demme e Springsteen per Philadelphia (1993), film del quale il Boss firma la canzone dei titoli di testa ("Streets of Philadelphia"). Last but not least i tre film su Neil Young, il migliore e più importante dei quali è certamente il primo Neil Young - Heart of Gold (2001), al quale hanno fatto seguito Neil Young Trunk Show e Neil Young Journey, rispettivamente nel 2009 e nel 2011. Demme sceglie in tutti i suoi rockumentary un punto di vista complice ma mai accondiscendente. Se non conosce la materia e lo scenario, come nel caso di Enzo Avitabile, si intrufola con l'avidità del neofita tra le note e le esperienze. Ma anche con Bruce o Neil Young non si abbandona al cronachismo epico per fan ma sceglie anzi lo sguardo di chi partecipa in prima persona (come ai tempi dei Talking Heads) sorprendendosi sempre. Eccolo, il segreto dei suoi documentari musicali: lo stupore. Fuori e dentro il palco.

Ora: se si sceglie di tralasciare la produzione a soggetto di Demme, da Il segno degli Hannan (ottimo thriller hitchockiano del 1979) a Qualcosa di travolgente (di nome e di fatto, anno domini 1991), fino al capolavoro Il silenzio degli innocenti (1991), non va però trascurato l'impegno nel documentario politico. Bellissimo The Agronomist (2003) sulla figura di Jean Dominique, attivista haitiano assassinato nel 2000 (il regista lo aveva conosciuto ancora ai tempi di Baby Doc Duvalier, negli anni 80). Ma non va sottovalutato Jimmy Carter Man From Plains (2007) insolito film sull'ex presidente Usa seguito in tour negli States durante le presentazioni di un suo libro sul conflitto israelo-palestinese. La simpatia del regista per l'anziano presidente, che proprio a causa della politica estera si giocò la rielezione (ma gli accordi di Camp David tra Begin e Sadat furono merito suo, va ricordato), è evidente. Anche qua, però, nessuna acquiescenza, solo rispetto e voglia di capire.