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Festival di Giffoni, è l'ora del count-down

A due giorni dalla chiusura si respira aria di smobilitazione.
di Ilaria Ravarino

In foto l'attore Rocco Papaleo.
Rocco Papaleo (66 anni) 16 agosto 1958, Lauria (Italia) - Leone.

mercoledì 20 luglio 2011 - News

Aria di smobilitazione al Festival di Giffoni, a due giorni dalla chiusura. Lo leggi negli occhi dei ragazzi, che tirano tardi il più possibile alle festicciole notturne nel giardino della cittadella del cinema. Lo vedi sulle magliette dei giurati, ormai completamente coperte di dediche, e sui cartelloni dove lasciare firme e ricordi di amicizie "per sempre" e di amori "indimenticabili". Cala la sera nel Parco Hollywood, dove i genitori sono ammessi solo se accompagnati entro e non oltre le 20:00, e qualche furtiva sigaretta si accende in fondo al prato. I ragazzi giocano e chiacchierano, quel che è fatto è fatto e i gruppi dopo tanti giorni sono definiti. I più piccoli si divertono col pallone, squadre miste, gli afghani sono fortissimi. Gli adolescenti li riconosci subito, cappuccio calato in testa, aria imbronciata, sorseggiano coca cola come birra seduti in circolo e c'è chi si abbraccia e si scambia segretissimi baci. Oltre alle transenne del parco, i ragazzi di Giffoni Vallepiana e di Salerno si sbracciano per salutare l'amico, la ragazza, il "tipo strano" con cui hanno legato nonostante loro, del festival, tecnicamente non facciano parte. «Non siamo iscritti alla giuria», spiega uno con l'aria grave, il braccio ingessato e un telefonino colorato in mano. Genitori e insegnanti ciondolano tra cinema e strada storditi dalla confusione e dal cibo. Ormai hanno rinunciato al controllo sui loro allievi, e anche i parenti rimasti a casa se ne sono fatti una ragione. «Hanno smesso di rompere sulle patatine fritte», si confessa una preside del nord Italia che per una settimana ha gestito anche le ansie alimentari dei genitori. Il cinema che aveva unito i ragazzi, nel fotofinish del festival, è un dettaglio. La masterclass di Ascanio Celestini diventa una scusa per incontrarsi di nuovo e per sedersi vicini, il red carpet di Vittoria Puccini è un'occasione per l'ultimo autografo dopo il quale scappar via, che il parco al tramonto diventa territorio giovane e franco. Oggi sarà la volta di Rocco Papaleo e Donatella Finocchiaro, che i ragazzi ricordano soprattutto per le rispettive prove televisive, e dell'ultimo 3D del festival con l'ultima preview de Lo schiaccianoci di Andrei Konchalovsky, nel pomeriggio dell'ultima masterclass prima delle ultime anteprime, Almeno tu nell'universo di Andrea Biglione e Diario di una schiappa di T. Freudenthal. Giornata di premi, sanciti dalle votazioni di Elements +6 e Elements +10, mentre i maggiorenni potranno ancora godersi i film finali del concorso: Suicide Room del polacco Jan Komasa, sull'alienazione giovanile al tempo delle nuove tecnologie, e Kaddish for a friend di Leo Khasin, storia di rabbia e integrazione di un ragazzo libanese a Berlino.

I giurati raccontano: Spagna e Colombia
Federico Rodriguez ha una cascata di riccioli in testa e 17 anni anche se a prima vista non lo diresti mai. I lineamenti sono quelli dolci di un ragazzino, mentre la testa è parecchio più avanti. È colto, gentile, educato. Dà l'impressione di essere sicuro di sé e di sapere perfettamente dove sta andando. Lo guardi e te lo immagini in una foresta tropicale, zaino in spalla e telecamera in mano. In qualche modo, ha il physique du rôle. Raül Hernandez arriva un po' in ritardo. Si ravviva i capelli, cortissimi, con un piccolo gesto narciso. Non è alla sua prima intervista. Ne ha già fatte molte altre e si informa, professionale, su durata e contenuto. Ha 13 anni. Diresti qualcuno di più, da come si guarda intorno e sorride alle ragazze curiose che ci ascoltano.

Da dove vieni?
Federico: Cartagena. Nel nord della Colombia.
Raül: Barcellona, Spagna.

Che lavoro fanno i tuoi genitori?
F: Mamma è nella pubblica impresa, si occupa di tasse. Papà è un economista in pensione.
R: Papà è avvocato, mamma casalinga.

Che lavoro vorresti fare da grande?
F: L'antropologo.
R: L'attore.

Qual è il tuo film preferito?
F: Mi piacciono i film indipendenti.
R: Le commedie.

L'autore preferito?
F: Tim Burton. Come attrice, Helena Bonham Carter.
R: George Lucas.

Ti piacciono i film d'amore?
F: Sì, perché l'amore è un sentimento importante. L'amore è ovunque, unisce i popoli. Un mondo senza amore sarebbe solo morte e distruzione.
R: Dipende. Mi piacciono quando non sono Barbie-film.

Sei mai stato innamorato?
F: Penso di sì. L'amore si può provare in mille sfumature.
J: Sicuramente si.

Ti piacciono i film horror?
F: Da piccolo ne vedevo molti, mi piaceva il fatto che mi spaventassero. Era un sentimento un po' masochista.
J: Mediamente. Amo la suspance. Mi dispiace che non siano film adatti a tutta la famiglia.

Il mostro più spaventoso?
F: L'odio.
R: Gli insetti giganti.

Cosa faresti con la bacchetta di Harry Potter?
F: Vorrei poter materializzare davanti a me tutte le persone che voglio, da qualsiasi parte del mondo.
R: Il teletrasporto per viaggiare.

Un pregio e un difetto dell'Italia?
F: Sto bene qui, i nostri popoli hanno molto in comune e mi sento come a casa. La gente si preoccupa di te, ti rimpinza di cibo come da noi. Però in pochi parlano inglese.
R: L'arte italiana è magnifica. Ma c'è scarsa educazione stradale, il traffico e la macchine sono pericolosissimi.

Un pregio e un difetto del tuo paese?
F: La cosa più bella della Colombia è la diversità delle culture. In un'epoca consumistica come la nostra, noi abbiamo l'esempio degli indigeni che vivono secondo regole ancestrali. La gente dovrebbe apprezzare di più questa ricchezza, focalizzarsi sulla cultura e smetterla con le discriminazioni.
R: Del mio paese amo il cibo. Non mi piace il fatto di essere invasi dai turisti, soprattutto nella mia città.

Vinci l'Oscar. A chi lo dedichi?
F: A mia mamma, che mi ha aiutato a crescere e che è parte di me.
R: A tutta la mia famiglia e a chi ha creduto in me.

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