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Storia "poconormale" del cinema: puntata 107

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

Ernest Hemingway 21 luglio 1899, Oak Park (Illinois - USA) - 2 Luglio 1961, Ketchum (Idaho - USA).

venerdì 11 marzo 2011 - Focus

Hemingway e l'Italia
Visconti, De Sica, Antonioni, grandi autori italiani attivi in Milano. Scrivendo "autori", ribadisco un mio concetto reiterato, magari... acquisito: trattasi non di registi ma artisti oltre-il-cinema. De Sica, nel 1950 era stato indicato in quel senso da qualcuno molto credibile, Cesare Pavese, che aveva dichiarato al Corriere della Sera "i miei autori preferiti sono Thomas Mann e Vittorio De Sica". Omologando così le due discipline. Attivo in Milano, si può certo dire così, fu un altro grande autore, molto grande, premio Nobel, Ernest Hemingway. "Attivo" ha più significati. Il soldato Ernest visse a Milano in momenti diversi. Nel 1818, 19enne, reporter di un piccolo giornale di Chicago, aveva cercato di arruolarsi nell'esercito, ma non era stato accettato per problemi di vista. Così aveva ... ripiegato sulla Croce Rossa. Nel giugno di quello stesso anno scese da un treno alla stazione di Porta Garibaldi e cominciò la sua avventura di autista di un'autoambulanza della Croce Rossa americana. Per qualche settimana trasportò, negli ospedali di Milano e dintorni, i feriti che arrivavano da fronte. Non era contento di quell'incarico il soldato Hamingway e nel giugno ottenne di essere avvicinato alla guerra vera. Fu distaccato a Fossalta di Piave ma l'8 luglio venne ferito da un mortaio austriaco. Ferita non da poco: 237 schegge e due pallottole di mitragliatrice. Fu un miracolo che non gli amputassero la gamba destra. Venne ricoverato nella sede della Croce Rossa in Milano. Da dove scrisse al padre: "... Dalla veranda riesco a vedere la sommità del Duomo. È molto bella, come se contenesse una grande foresta." A Milano, in via Armorari, c'è una targa che ricorda la presenza dello scrittore in città. Al terzo e quarto piano del palazzo si trovava allora la sede dell'ospedale americano, che era destinato anche all'istruzione delle infermiere. La targa dice: "Nell'estate del 1918 in questo edificio, adibito a ospedale della Croce Rossa americana, Ernest Hemingway, ferito sul fronte del Piave fu accolto e curato, così nacque la favola vera di Addio alla armi."

Importanza
Ed eccolo, il punto, "Addio alle armi". Che quella sede di Armorari fosse frequentato da giovani infermiere ha la sua importanza. Il ferito conobbe Agnes Hanna von Kurowsky, che nel romanzo sarebbe diventata Catherine Barkley, l'infermiera, appunto, di cui l'alter ego di Ernest, Frederic Henry, si innamora. Questa premessa per arrivare alle due versioni di "Addio alle armi". Il romanzo, che aveva inaugurato negli anni Sessanta la grande collana degli Oscar della (milanese) Mondatori, generò due film. Il primo del '32 di Frank Borzage, con Gary Cooper, l'altro del '57, di Charles Vidor con Rock Hudson. Hemingway non amava i film tratti dai suoi romanzi, tuttavia tollerò la prima versione perché era amico di Gary Cooper. Nel libro l'autore racconta Milano, anche nei dettagli. Frederic fa una gita a san Siro –allora era campagna- con Catherine, assiste alle corse dei cavalli all'ippodromo. Il film di Borzage è interamente girato in studio, Milano davvero non si vede. In quello di Vidor un po' di città è presente. Soprattutto la vicenda "lombarda" si incentra sulla traversata in barca del lago Maggiore, si vede la costa piemontese del lago e si vede Stresa. Di tanto in tanto Hemingway tornava a Milano, naturale, gli ricordava i vent'anni. E poi aveva un'amica innamorata di lui, Fernanda Pivano. Un amore non consumato, "purtroppo", come raccontava la scrittrice-traduttrice milanese (acquisita).

Talento
Una scrittrice americana meno famosa, e di minor talento, di Hemingway, Marta Albrand, si interessò a Milano. Nel 1949 vendette alla Paramount un suo romanzo, "Captain Carey". È la storia di un ufficiale distaccato in Italia dai servizi segreti americani. La sua base è nell'isola di San Giulio, al centro del lago d'Orta. La missione lo porta a seguire le tracce di una certa compagnia di acrobati che si esibisce a Milano. L'immagine che aveva Hollywood di Milano o della Lombardia era un tutt'uno con quella dell'Italia. I modelli erano le donne in nero, che gesticolano e gridano, gli uomini di bassa statura con baffi e capelli ricci. Insomma prevaleva il meridione, la napoletanità. Altro che ... EXPO. Milano viene ricostruita nel teatro che ospitava città come Casablanca o Calcutta. Cambiava davvero poco. Gli scenografi avevano aggiunto alcune scritte come "il nemico ti ascolta", oppure "Viva Coppi". Alan Ladd è il protagonista, si muove con una Topolino. Il regista era un buon mestierante, uno dei tanti, Mitchell Leisen. Una Milano secondo un altro cinema. Ed erano proprio gli anni di Visconti e De Sica. Ma si sa, "cinema" vuol dire licenza.

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