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Storia "poconormale" del cinema: puntata 106

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto Alberto Sordi in una scena del film Mafioso di Alberto Lattuada
Alberto Sordi 15 giugno 1920, Roma (Italia) - 24 Febbraio 2003, Roma (Italia). Interpreta Antonio Badalamenti nel film di Alberto Lattuada Mafioso.

venerdì 4 marzo 2011 - Focus

Milano
In Mafioso, di Lattuada, del 1962, Alberto Sordi è Antonio. Lavora in un'industria milanese. È caporeparto, controlla i tempi del lavoro a catena. Si muove con autorevolezza e sicurezza, come si muoverà, per altri compiti, il professore Tersilli. È l'inizio dell'estate, Antonio, siciliano, sta per tornare, in vacanza, a casa. Il direttore lo chiama e gli fa i complimenti per l'efficienza. Con precisa cadenza lombarda, il capo gli dice che il suo lavoro non è da meno di quello dei suoi colleghi milanesi, anzi. Tornato nell'isola Antonio torna ... picciotto. La gente di rispetto del luogo, legata agli "amici americani" gli assegna un compito: uccidere un infame a New York. Antonio, suo malgrado, eseguirà.
È un segnale interessante di cinema. La Sicilia e ciò che rappresenta, e Milano e ciò che rappresenta.

Giò
Ne La notte, di Antonioni, del 1960, le prime inquadrature scendono dalla cima del palazzo Pirelli, la struttura di Giò Ponti, allora il più alto edificio italiano, disegno essenziale e d'avanguardia, oggetto di copertina di tanti libri di architettura. Il "Pirellone" rappresentava Milano, secondo Antonioni. Un segnale di ricchezza e di borghesia, ma anche un'estetica che poteva evocare, oltre a operosità e progresso, anche distacco e freddezza. Si trattava di Antonioni, appunto. Dieci anni prima, il regista ferrarese aveva usato il set milanese per Cronaca di un amore, un titolo che viene indicato come le fine della gloriosa corrente neorealista. È una storia squisitamente milanese. Lucia Bosè è una giovane moglie della borghesia ricca della città. Atelier di moda, gioiellieri, macchine di lusso. La donna, annoiatissima –sempre di Antonioni trattasi- trasgredisce facendosi un amante ambiguo, senza mezzi, pronto a tutto, Massimo Girotti. I due si vedono in alberghetti squallidi, camminano lungo le sponde dell'Idroscalo. Il sole non si vede mai, ci sono i Navigli, sempre immersi nella nebbia. Milano è anche questa.

Duomo
E poi, il Duomo naturalmente. La cattedrale avoca a sé alcune primogeniture, è legittimo. Lo citano i fratelli Lumière nel loro Catalogo italiano ed è oggetto del primo documentario girato sulla città, Stramilano, di D'Errico. Siamo nel 1929. Il Duomo, un gotico spurio, è pur sempre un gotico. Un richiamo dai paesi del nord, dove la luce è soffusa e occorrono alte finestre. Milano è città di non abbagliante luce, il Duomo può essere quella metafora, anche nei film. Anche se poi sarà tutto, da Totò, a Gassman, a De Sica, Sordi e tanti altri. Il primo vero film milanese si apre proprio sul Duomo, e porta due nomi importanti, Mario Camerini direttore e Vittorio de Sica protagonista: Gli uomini che mascalzoni, 1932. Un titolo da doppio o triplo culto. Ai cineasti si aggiungevano due nomi forse meno noti, ma che vanno fatti, Ennio Neri e Andrea Bixio, paroliere e compositore di "Parlami d'amore Mariù", la strepitosa canzone che De Sica e Pia Lotti ballano nella taverna sul lago Maggiore, dunque Milano "allargata". I due risolveranno amore ed equivoci alla Fiera Campionaria, dunque Milano&Milano. Il rapporto Duomo-De Sica avrà altri momenti, uno altissimo, con De Sica non più attore ma regista del mondo, Miracolo a Milano. Quel film era una suggestione e un contrappasso, magari una provocazione. Era la storia di "angeli poveri e matti" che vivono nelle baracche della periferia. Quella chiave, legata a Milano non poteva che essere "surreale", appunto. Ma De Sica andava bene comunque, si era conquistato tutte le franchigie, anche quella di rappresentare Milano come "baracche".

Terzo
De Sica, Antonioni, non può mancare il terzo eroe, milanese autentico, Luchino Visconti di Modrone, nobile vero dunque, e non solo, ma figlio anche della borghesia ricca, anzi ricchissima: la madre era una Erba. La Milano di Visconti è quella, è notorio, di Rocco e i suoi fratelli. Una famiglia della Lucania emigra a Milano, ma l'impatto è difficile, anzi, duro e drammatico. La grande città, con le sue regole, fa emergere i contrasti interni. Delon e Salvatori non sono attrezzati per integrarsi. Il sud e il nord sono diversi. Soprattutto la Lucania e Milano lo sono. Anche in "Rocco" uno dei teatri protagonisti è l'Idroscalo. Ma lì non si limitano a passeggiare la Bosè e Girotti, Salvatori e la Girardot sono protagonisti di una selle sequenze più violente del cinema di quegli anni. Anche quella era Milano.

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