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Kathryn Bigelow: il cinema d'azione sottratto al dominio maschile

Con The Hurt Locker Kathryn Bigelow raggiunge il punto di non ritorno del suo fare cinema.
di Giancarlo Zappoli

L'arte come rilettura della realtà

lunedì 13 ottobre 2008 - Approfondimenti

L'arte come rilettura della realtà
"Ero sempre molto sola. Penso che avesse a che fare con l'essere alta due metri e mezzo. Ci sono nata con quest'altezza! Mi sentivo socialmente esclusa e diventavo timida. Ho imparato a osservare. L'arte è stato uno straordinario modo di crearmi uno spazio tutto mio, in cui non venivo ostracizzata e non ero una voyeur"
Kathryn Bigelow

"Fuori da questa scuola dovrai avere gli occhi anche dietro la testa"
L'istruttore a Megan Turner in Blue Steel

È tra questi due interventi (una dichiarazione e una battuta di sceneggiatura) che si può collocare l'universo cinematografico di Kathryn Bigelow. L'arte come occasione di elevazione di uno sguardo da osservazione introversa della realtà a sua rilettura capace di 'avere gli occhi dietro la testa' per poter meglio cogliere l'ambiguità dell'esistere. Tutto ciò con una capacità di messa in scena in grado di coniugare la profondità dell'analisi psicologica con il meglio di un cinema di azione reinventato e sottratto al dominio maschile. "Ci sarà, speriamo, un tempo in cui il sesso di un regista non sarà più rilevante. A me non piace utilizzare ciò che solitamente è inteso come femminile e renderlo ovvio nei film. È per questo stesso motivo che i miei film non sono in qualche modo associabili al sesso, cioè al fatto di essere girati da un uomo o da una donna. Secondo me si deve pensare ai cineasti come a persone che danno alle loro immagini qualcosa in cui c'è il portato delle loro esperienze, delle loro impressioni, a prescindere dal loro sesso".

The Loveless e la rinascita dei generi
L'artista californiana sin dal suo primo lungometraggio (codiretto con Monty Montgomery) mostra di avere le idee ben chiare anche se ancora fortemente ancorate a uno sguardo 'pittorico' dei cui vincoli si libererà ben presto. The Loveless pur con i manierismi dell'opera prima di una pittrice indica in modo preciso la volontà della Bigelow di non gettarsi alle spalle il cinema di genere ma di volerlo in qualche modo sottrarre alla stereotipizzazione (siamo nel 1982) in cui rischia di soffocare. La morte dei generi è in agguato ma Kathryn non intende partecipare al funerale così come non vuole assistere passivamente alla decomposizione dei 'corpi' cinematografici. Ecco allora che ci racconta di bikers che non corrono sulle moto di cui Easy Rider ha cantato la tragica epopea. Sono uomini colti, come quelli di Alexander Kluge sotto la tenda del circo, in una fase di stasi, in uno di quei momenti in cui non si corre da un luogo all'altro e la realtà, con il suo carico di orrori, può raggiungerti e colpirti con il dolore della giovane Debbie. Il cinema della Bigelow sarà d'ora in avanti decisamente cinetico almeno fino all'autoreclusione nei sommergibili di K-19. Ma l'ambiguità del reale sarà ormai, proprio a partire da questo film, saldamente inoculata in essi così come l'inestinguibile carico di morte che la vita stessa inevitabilmente porta con sé.

Il buio si avvicina: vampiri itineranti
Che siano i temibili 'non morti' vampiri itineranti di Il buio si avvicina o il mortifero Eugene Hunt sempre troppo vicino ma, fino al finale, sempre troppo 'lontano' per poter essere fermato nella sua folle corsa verso la distruzione, per la Bigelow il fascino resta intatto e multiforme tanto da stimolarla ad esplorarne in continuum le sfaccettature. Inizialmente avviene una sorta di scambio di ruoli: il maschio Caleb, morso da Mae, diviene un vampiro (happy end a parte), la femmina poliziotto Megan metaforicamente 'morsa' da Eugene sente crescere dentro di sé una violenza che si colloca sotto il segno della legge ma resta comunque violenza.
La possibilità della commistione tra Bene e Male (utilizzando una semplificazione riduttiva) trova poi il suo apice nell'incontro tra Johhny Utah (ancora una volta un poliziotto) e il rapinatore Bodhi. Qui i corpi dei protagonisti, dopo l'esplorazione dell'estensione metallica data dall'arma nel film precedente, trovano nell'acqua (quell'elemento primario che costituirà il centro de Il mistero dell'acqua con il suo ben più simbolico titolo originale The Weight of the Water) e nell'aria (memorabile la sequenza della caduta libera) la possibilità di espandere, simbolicamente liberi da costrizioni che non siano quelle della Natura, quella molteplicità di sensazioni che fanno sì che l'Uomo della Legge e il Bandito possano 'sentire' allo stesso modo. Consapevoli entrambi che la Morte (quella con la M maiuscola) è presente più che mai in quegli apici di piacere.

Strange Days e la tecnologia del futuribile
Non è allora un caso che lo squid di Strange Days venga biecamente applicato per far 'sentire' a chi subisce una violenza sessuale cosa 'prova' il suo violentatore. La 'piccola morte' dell'orgasmo viene fagocitata dalla tecnologia del riproducibile e messa a disposizione di chi non ha il 'coraggio' di agire in prima persona. Ancora azione portata quasi all'estremo in questo film così come negli episodi delle serie Wild Palms e Homicide diretti dalla regista che non teme di 'sporcarsi le mani' con un prodotto televisivo (qualità questa che condivide con molti suoi colleghi d'Oltreoceano, non ultimo Spike Lee che ha diretto il pilot di Shark).

The Hurt Locker: il punto di non ritorno
Ma Bigelow, proprio perché da sempre attenta a intervenire sulla commistione tra i generi cinematografici e la realtà, dopo la ricerca 'letteraria' de Il mistero dell'acqua ha quasi un bisogno fisico di confrontarsi con l'uomo sprofondato nella dinamica talvolta lucidamente assurda della guerra. Se inizialmente, quasi si trattasse di un esercizio di riscaldamento, affronta l'ambiente militare nel claustrofobico spazio di un sommergibile che trasporta testate nucleari il suo affondo viene lanciato con The Hurt Locker che diviene, per chi conosce il suo cinema, una sorta di punto di non ritorno. La regista ha il 'coraggio' di ricordarci che la guerra (il 'fare' la guerra) con i suoi orrori e i suoi massacri che la tecnologia rende al contempo sempre più devastanti e raffinati può divenire un virus contro il quale non ci sono anticorpi non tanto nel tessuto sociale ma nella coscienza stessa degli individui che la combattono.
È una verità senz'altro scomoda ma non per questo meno vera. Come il Francis Ford Coppola del mai abbastanza lodato Giardini di pietra ci portava a leggere la 'sporca' guerra del Vietnam dalla parte di un istruttore che vedeva i propri giovani allievi mandati al macello per poi tornare in bare avvolte dalla bandiera, così Kathryn Bigelow torna, ancora una volta, ad esplorare i territori in ombra dell'animo umano. Quelli in cui la separazione tra bene e male, giusto e ingiusto, umano e disumano non è così netta come troppo semplicistiche definizioni vorrebbero farci credere. Quelli da cui il Cinema, se vuole rimanere tale, non può distogliere lo sguardo.

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