Andrew Lau, nome ricorrente se si parla dell'industria cinematografica di Hong Kong, è una figura controversa del panorama orientale recente. Dopo esordi promettenti, l'autore è oggi noto in patria e all'estero, oltre che per il proprio talento, per la propria discontinua ispirazione: passa infatti tendenzialmente da successi clamorosi a preoccupanti stecche, vittima sia della propria smania realizzativa che di un cieco e pretenzioso ardore pionieristico verso nuove tecnologie produttive.
Nato ad Hong Kong il primo Gennaio 1960, Wai Keung Lau dimostra appena adolescente interesse per il cinema e la fotografia, entrando, non appena conclusa la scuola dell'obbligo, a lavorare come tecnico negli studi degli Shaw-Brothers.
Dopo aver maturato esperienza in numerosi progetti, tra i più noti figura Legendary Weapons of China (1982) di Liu Chia-Liang, ed aver lavorato da aiuto operatore con l'icona Sammo Hung, il giovane Lau riesce ad affermarsi come direttore della fotografia grazie anche al proprio personalissimo stile freddo ma al contempo avvolgente.
Dopo essersi fatto apprezzare in titoli quali vari episodi della serie Mr.Vampire (part 2 e part 3, rispettivamente 1986, 87) e City on Fire (1987) di Ringo Lam, viene preso sotto l'ala protettiva di Wong Kar Wai, che gli offre l'opportunità di lavorare in As Tears Go By (1988), e di conoscere un maestro del calibro di Chris Doyle.
Andrew Lau, deciso ad intraprendere la carriera da regista, curerà in seguito la fotografia di quasi tutti i propri film e lo stesso Wong Kar Wai gli chiederà ancora una volta di dirigere la fotografia in Hong Kong Express (1994).
L'esordio alla regia arriva nel 1990 con Contro tutto, un modesto gangster movie, seguito da una serie di titoli di 'gavetta' tra i quali The Ultimate Vampire (1991) e Raped by an Angel (1993), significativi esempi di un percorso sinusoidale tra horror e gangster movie 'umano'.
Il preludio al boom definitivo arriva nel 1994 con To Live and Die in Tsimshatsui, seguito da Mean Street Story (1995), a consolidare l'esperienza dell'autore nel filone action. Siamo in piena età dell'oro per Lau, e, dopo il successo della storia di mafia 'teen-age oriented' carica di lirismo narrativo raccontata dai sei episodi della serie Young and Dangerous (i primi tre risalenti al 1996), con l'introduzione dell'attore feticcio Ekin Cheng, arriva un clamoroso successo commerciale: The Stormriders (1998), pretenzioso adattamento dal budget altisonante di un noto fumetto di Hong Kong.
Pregno di digitale fino al midollo, The Stormriders salva la Golden Harvest da una imminente crisi economica e lancia definitivamente Lau nell'olimpo dei cineasti orientali a livello di fama, prestigio e incassi.
Fondata nel 1996, assieme al vecchio compagno di merende Wong Jing, la casa di produzione BOB & Partners, Andrew Lau comincia a calcare il piede sull'acceleratore della spinta produttiva a discapito della qualità, sfornando in pochi anni (1999-2002) una decina di titoli diretti personalmente, quasi tutti di caratura trascurabile. Nel post-Stormriders Lau sembra essere abbandonato anche dal proprio pubblico, fallendo miseramente al botteghino, rinchiuso in una gabbia di autocitazioni infinite e fumosa testardaggine digitale (di cui A Man Called Hero (1999), The Duel (2000) e The Wesley's Misterious Story (2002) sono, tra gli altri, un eloquente esempio). Ma la vecchia volpe è dura a morire, e proprio quando si era smesso di sperare ecco comparire dal nulla la trilogia di Infernal Affairs, uno strepitoso successo firmato da Lau ed Alan Mak, con un cast d'eccezione capitanato dall'immenso Andy Lau, al punto da convincere addirittura Scorsese ad acquistarne i diritti per il remake hollywoodiano.
Neanche il tempo di festeggiare, però, che Lau sforna un altro capolavoro di bassezza digitale: The Park (2003), un horror pseudo-tridimensionale pretenzioso quanto inconsistente, capace di cementare la controversa fama del proprio autore.