Il primo film di Sjöberg, il muto Den Starkasre (1929), è un racconto sui cacciatori di foche nel Mare di Groenlandia e sul loro ritorno, a fine di stagione, nelle tranquille zone agricole. Oltre a essere un documento sui paesaggi artici e sulle spedizioni, il film narra con una certa dose di umorismo una storia di amori contrastati, di prove di forza e di onore vendicato. Il suo stile fa già intuire la statura artistica del regista; Sjöberg riesce infatti a creare atmosfere e ambienti suggestivi indugiando sulle psicologie e sui paesaggi con evidente propensione a fondere gli aspetti visivi con quelli drammatici. Con evidente padronanza del mestiere alterna sequenze lente e veloci e fonde in maniera magistrale la pacatezza dei dialoghi al rapido susseguirsi degli avvenimenti.
Dopo essere rimasto senza lavoro per un decennio, proprio a causa di un talento decisamente originale, solo nel 1939 Sjöberg realizzerà un secondo film, A rischio della vita (Med Livet soms Insats). Si era alla vigilia del secondo conflitto mondiale e il film lanciò un messaggio pacifista raccontando di individui coinvolti contro la loro volontà in una rete di potere e di intrigo. L'azione si svolge 'in qualche luogo in Europa' dove i democratici lottano contro un governo repressivo. In questo lavoro appaiono per la prima volta numerosi elementi stilistici che avrebbero caratterizzato l'opera del regista nel decennio successivo, ma soprattutto si nota una fluidità narrativa che riecheggiava quella propria degli ultimi anni del cinema muto. Lo stile di Sjöberg ebbe modo di esprimersi meglio nel film L'uomo che smarrì se stesso (Hem fån Babylon, 1941), dove si racconta con ironia di un innamorato che ritorna da un paese distrutto dalla guerra 'in qualche località dell'Asia' all'idilliaca e remota campagna svedese da cui la sua fidanzata sta per partire verso le sfavillanti luci di Parigi. Il film si conclude con immagini agresti della Svezia: simbolo di quella neutralità politica del paese, che è sentita allo stesso tempo come una benedizione e una disgrazia.
Strada di ferro (Himlaspelet, 1942) provocò diverse critiche a Sjöberg. Tentando un difficile connubio tra la ricostruzione di atmosfere arcadiche e gli umori moderni del drammaturgo svedese Rune Lindström, il film è ricco di riferimenti biblici e ispirato a una rigida etica calvinista che lascia chiaramente intendere come il divino, per il regista, si identifichi in un'autorità tirannica. L'intreccio non è privo di spunti avvincenti: un giovane e ingenuo contadino (impersonato dallo stesso Lindström) è stato fidanzato con una ragazza arsa viva come strega dopo che la peste ha colpito il villaggio in cui abitavano. Ispirato dagli affreschi di una chiesa locale, il protagonista si avvia sulla 'strada celeste' in cerca di pace e giustizia, e nel corso di questo viaggio rivive la storia dell'umanità, dalla tentazione alla salvezza. Mentre il giovane ringrazia Dio per aver accettato la sua anima, la macchina da presa scorre sulle pitture che narrano la storia stessa del film.
Spasimo (Hets, 1944), interpretato da Mai Zetterling, ottenne invece vari riconoscimenti internazionali e segnò il debutto di Ingmar Bergman come sceneggiatore e aiuto-regista.
Il film parla della vita scolastica e della 'tirannide' degli insegnanti. Un adolescente critica severamente i propri genitori, offende la propria insegnante e diventa l'amante di una prostituta allo scopo di affermare la propria personalità e di avvalersi così anche del diritto di essere infelice. Caligula, l'insegnante dilatino, viene tratteggiato da Bergman come una figura demoniaca che incarna il male, e Sjöberg lo riprende mentre legge un giornale svedese filo-nazista con occhiali montati in acciaio. Se per Bergman il protagonista è un malvagio, Sjöberg lo in-quadra sotto un ritratto di Carlo XII per suggerire che in questo sadico vi è anche lo spirito di un dittatore. Le scelte di una fotografia poco luminosa, di un'atmosfera opprimente e di un'inquietudine diffusa riassumono una tradizione espressionistica che permea tutto il film.
Resan Bort (1945), una parodia della vita in una cittadina del litorale, il più elaborato saggio di 'realismo critico' di Sjöberg, fu ritenuto inaccettabile dalla maggioranza dei critici svedesi, perché troppo impreciso nella definizione di tematiche che si intrecciano in modo confuso. Il signor Bovary e sua moglie, una coppia di provinciali, ricevono la visita di un'imbroglione dilettante (ex compagno di scuola del marito), deciso a rapinare la banca in cui il signor Bovary lavora, e che tra l'altro seduce la signora Bovary. Contemporaneamente una giovane operaia aiuta l'innamorato che appartiene alla resistenza a raggiungere l'Inghilterra per entrare a far parte della RAF. Mescolando illusione e delusione, il film analizza i distorti caratteri dei personaggi e il mondo di finzione in cui vivono.
Iris, fiore del Nord (Iris och Löjnantshjàrta, 1946) occupa un posto particolare nella filmografia di Sjöberg per delicatezza di espressione, sensibilità e tocco pungente. Descrive i superstiti di una 'importante' famiglia che siedono a sontuose tavole imbandite mentre la società cui appartengono sta disgregandosi nella delusione del dopoguerra.
Dopo tre anni di inattività, Sjöberg realizzò Solo una madre (1949), tratto da una novella di Ivar Lo-Johanson. Il film narra la storia di una povera contadina in cui Sjöberg vede incarnarsi i valori della vergine-madre della tradizione cristiana e quelli della madre 'impegnata' trasmessi dalla nuova cultura socialista. Ne La notte del piacere (Fröken Julie, 1951), il suo film più conosciuto, il regista rimane fedele all'opera originale di Strindberg, pur trasformandone il testo ai fini cinematografici. Fa uso di flash-back e di spostamenti 'narrativi' e tratta passato, presente e futuro senza frantumare l'azione né allentare la tensione. Grazie a tecniche apprese sui palcoscenici teatrali Sjöberg riesce ad attuare un montaggio temporale degli elementi sonori e a porre in evidenza gli intenti sociali contenuti nell'opera del grande drammaturgo. Ancora una volta l'intreccio è centrato sull'aridità di una ricca famiglia dalle tradizioni immutabili.
Il successo riscosso dalla Notte del piacere incoraggiò la casa di produzione Sandrews a imbarcarsi in una dispendiosa realizzazione spettacolare, Barabbas (1953), adattamento letterario del romanzo di Pär Lagerkvist, da poco insignito del premio Nobel, un film non del tutto riuscito per l'allegoria troppo elaborata e la ricerca eccessiva di significati.
Karin Mònsdotter (1954) è tra i più originali film di Sjöberg. All'epoca in cui fu realizzato, tuttavia, la sua struttura sconcertò il pubblico svedese e irritò non poco i recensori. Nella prima parte del film la moglie-bambina di Erik XIV viene presentata come la principessa dei libri di fate, cara alla fantasia popolare svedese, il cui passaggio dalla povertà alla ricchezza si svolge tra fondali colorati di nero.
Nei successivi 25 anni, Sjöberg realizzò solo cinque film, che possono essere considerati come altrettanti tentativi di ritrovare nelle mutate condizioni storiche il tono delle sue opere migliori. Si tratta spesso di film molto elaborati ma avvincenti. I personaggi che vi figurano appaiono sempre dominati e traditi, ciascuno di essi avrebbe potuto parlare come il giovane conte nel film On (1964): «L'uomo è soltanto una pedina in un gioco del quale non conosce le regole».