Un'epica saga targata Dreamworks. Dal 23 dicembre solo su Netflix.
di Lorenza Negri
Senza paura non c'è coraggio, e quindi, senza di lei non si può diventare eroi: a Jim Lake jr., liceale quindicenne, lo ha insegnato... un troll. Jim sarebbe un teenager come tanti - alle prese con la prima cotta, i dispetti dei compagni di classe ipertrofici e bulli, il desiderio di sentirsi accettato e una mamma single che lo iper responsabilizza - se non fosse per l'implacabile anelito all'avventura: più indomita è, più lui è felice.
La serie è creata da Guillermo del Toro e trae ispirazione dal romanzo fanta-horror "Young adult" dello stesso del Toro e da Daniel Kraus. Prodotta da Marc Guggenheim - già padrino delle serie tv Arrow e Legends of Tomorrow incentrate sugli eroi della DC comics - Trollhunters è una serie firmata DreamWorks.
Del Toro non segue fedelmente la propria opera: Jim non è più il discendente di una dinastia di "trollhunter" - di guerrieri eletti votati a proteggere umani e creature della città sotterranea dai troll più cattivi e feroci - ma è un ragazzino normale scelto per essere il primo rappresentante della sua specie a vegliare sui due mondi. Un'armatura e una spada che potenziano la forza e la destrezza di chi le usa ne fanno un valido combattente, ma il coraggio di sfidare mostri ferali e inarrestabili li dovrà trovare dentro se stesso, e non nel sangue di una lunga dinastia. Come la fonte letteraria, anche la serie animata è rivolta a un pubblico che, più che "young adult", è preadolescenziale.
L'intento di ispirare le generazioni più giovani è evidente e del Toro lo affida a un teenager per nulla speciale che lo diventa grazie alle proprie ambizioni, traendo forza dalla lealtà degli amici e imparando a convivere con le proprie paure fino a diventare tanto coraggioso da sfidare i mostri.
I compagni che affiancano l'inesperto eroe Jim (uno degli ultimi ruoli di Anton Yelchin) nella sua quest fantasy sono l'entusiasta amico Toby, il saggio mentore Blinky e il gigante pacifista (evocativo del Bubo di Labyrinth) che nasconde un passato violento dal quale redimersi.
L'amicizia tra quest'ultimo e l'iperattivo e rotondetto Toby (un del Toro in miniatura) scaturisce dall'amore del regista messicano per i mostri, per i diavoli rossi dall'aspetto minaccioso e le perturbanti creature dalle ali occhiute con cui ha giocato lungo tutta la sua filmografia.
Il regista attinge all'originale bestiario che popola l'universo soprannaturale da lui creato stemperandone le declinazioni orrorifiche e sdrammatizzando i momenti più spaventosi con grottesca ironia.
In Trollhunters si viene nuovamente lanciati in una delle realtà immaginarie scaturite dalla sua fantasia, un contenitore dove Guillermo ha stipato creature, luoghi e situazioni a lui (e al suo pubblico) familiari.
Il mondo di sotto, il Trollmarket, è popolato da una selva di troll granitici, goblin dispettosi, mostriciattoli chiaramente imparentati con i Terribili terrori di Dragon Trainer (film DreamWorks che fa anche capolino da un televisore) e pestiferi David gnomo dai denti appuntiti. Qui, Jim affronterà un duello a colpi di spada - perpetrato tra ingranaggi e pedane sfalsate come in Hellboy 2: The Golden Army - con un avversario più forte di lui. Anche le voci originali degli antagonisti principali (il trucido Bular e il mellifluo Strickler) sono riconoscibili dal pubblico che bazzica la sua filmografia, perché appartengono a Ron Perlman, attore feticcio del regista messicano, e a Jonathan Hyde, arruolato direttamente da The Strain.
La buia città sotterranea, illuminata da luci fluorescenti, tanto caratteristica da risultare inconfondibile eppure tanto evocativa dei labirinti ultraterreni attraverso i quali ci ha guidati Del Toro, entra in contrasto con quella sovrastante, tanto anonima da potersi scambiare per qualsiasi nucleo della provincia americana degli ultimi quarant'anni e tanto noiosa da far venire voglia di combattere i mostri.