di Marco Chiani
Basta una lettera scambiata per un'altra perché la grigia vita di un impiegatuccio si trasformi in un'odissea senza fine. Esattamente questo accadeva al personaggio interpretato da Jonathan Pryce in Brazil.
In Autobiografia di un finto assassino, titolo che da solo è pitch perfetto per una commedia piuttosto "teorica", così come andava di moda dire qualche tempo fa, Sam Larson è vittima di un malinteso non dissimile da quello al centro del capolavoro distopico firmato Terry Gilliam. Invece di una lettera, qui si tratta di un insieme di lettere, che vanno a formare una parola indicante una categoria ben precisa o meglio un genere.
Capita che dalla sezione narrativa il romanzo d'andazzo che Sam ha scritto non senza fatica vada a finire catalogato - complice una editor in vena del colpo grosso - nella sezione saggistica. In breve, l'omone grassoccio e naturalmente simpatico viene creduto un pericolosissimo killer, ritrovandosi al centro di una lotta che vede schierati da una parte niente di meno che la CIA e dall'altra i soliti trafficanti di droga senza scrupoli. Di mezzo, va da sé, c'è anche chi assicura la necessaria quota sexy che si confà al racconto.
Il meccanismo narrativo, quello dell'uomo qualunque risucchiato da un blob di eventi veramente pazzeschi, non è certamente nuovo, ma la fortuna di questo film originale Netflix è l'averlo capito fino in fondo. E l'aver lavorato di conseguenza.
La forza di Autobiografia di un finto assassino non sta tanto nelle giravolte del destino o nei momenti in cui la sospensione dell'incredulità è ancor prima del personaggio che dello spettatore, ma nell'incastro tra l'uno e l'altro aspetto.
Il coefficiente comico, certamente anche assicurato dalla fisicità di gomma di James, emerge in maniera spontanea dai momenti in cui le sequenze e i tipi più codificati, si pensi anche alle scelte di casting, vengono esplosi - letteralmente e metaforicamente - da un elemento estraneo. Non a caso, lo script - Wikipedia dixit - "fu inserito tra le migliori sceneggiature non prodotte del 2009".
Partendo dall'incrocio tra Sogni proibiti, ovviamente nella versione Ben Stiller, e un action à la Expendables qualsiasi, il film diretto da Jeff Wadlow segue un sentiero piuttosto divertente che ha il merito di cercare in un immaginario non strettamente contemporaneo.
Nonostante un apparato visuale di tutto rispetto e assolutamente al passo coi tempi, Autobiografia di un finto assassino possiede, infatti, un sapore che flirta con gli anni Ottanta: dalla locandina, con cerchio "avventuroso" e personaggi ben ancorati ai caratteri che avranno, fino all'idea, magari peregrina, che un ruolo del genere trent'anni fa sarebbe stato di Chevy Chase.
Al timone dell'operazione, Jeff Wadlow, un regista che non ha certo iniziato bene (Nickname: Enigmista), ma che migliora di film in film: il suo Kick Ass 2, per alcuni migliori del primo capitolo, ha stupito lo stesso Tarantino.