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Suburra: lezione di astuzia

Il film di Sollima è assolutamente funzionale: al pubblico, al momento, al marketing, al dibattito. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto Pierfrancesco Favino in una scena del film.

domenica 25 ottobre 2015 - Focus

Suburra è un film assolutamente funzionale: al pubblico, al momento, al marketing, al dibattito. Qualche film l'ho visto (e scritto), qualche storia l'ho letta (e scritta), e mi inchino alla professionalità, e alla perfetta scaltrezza degli autori. I nomi vanno fatti: Giancarlo de Cataldo e Carlo Bonini, che firmano il romanzo, e gli immancabili marpioni Rulli e Petraglia (coppia di grandi successi televisivi, come La piovra, e altri).
La missione era: dobbiamo inventare i personaggi più odiabili dell'era recente, stuzzicare nel pubblico la parte recondita, cattiva e voyeuristica, facendo leva sulla base vera della vicenda, il piccolo schermo che quotidianamente, anzi, ora per ora, informa sul degrado rilanciandola con la peculiarità "creativa" della fiction. Anche se con la Roma di quest'epoca c'è poco da inventare. Ecco, anche questa contingenza fortuita, ha aiutato.

Mafia Capitale eccetera. Il lemma "suburra" nel dizionario recita: "Nome proprio (Suburra, lat. Subura o Suburra, di etimo ignoto) di una zona di Roma antica compresa tra i colli Quirinale, Viminale, Celio e Oppio, che alla fine della repubblica era diventata un quartiere popolare di piccoli commercianti, gente di malaffare e sede di postriboli; da qui la parola è passata a indicare i quartieri più malfamati di qualsiasi grande città, e la gente che vi abita". "Gente di malaffare" è una risibile definizione riferita a certi romani attuali, molti in verità, della politica e della criminalità.
Sappiamo. Il film presenta, all'inizio due momenti efficaci, diciamo così. Con Papa Ratzinger nella sofferenza e nella meditazione. Sta decidendo di abdicare. Lo confessa a un suo assistente che lo confessa a un cardinale. Il passaggio successivo è quello della grande corruzione, finanziaria, niente pedofili, del vaticano. L'altro momento è di tortura, con un malcapitato al quale rompono le ossa con una mazza. E sangue che schizza dovunque. Sono scene opposte ed estreme a toccarsi ed è notorio che il trucco possiede grande valenza drammaturgica. Solo mi domando se Ratzinger... fosse proprio un'astuzia necessaria.

I soggetti principali sono: l'onorevole Malgradi (Favino), il politico corrotto; il Samurai (Amendola) il grande boss che regge gli equilibri della criminalità romana; il numero 8 (Borghi), boss emergente, arrogante e ambizioso, della zona di Ostia; Sebastiano (Germano) organizzatore di incontri, vigliacco e sottomesso; Manfredi (Dionisi) zingaro che più cattivo non si può. E altri di quella qualità. Gli incroci politica-criminalità riguardano un certo abnorme appalto: Ostia diventerà una Las Vergas.
Occorre che passi una legge. Ci penserà il politico corrotto e altri politici pronti a farsi corrompere. E quando si dice "corrotto" non si fanno sconti. Vediamo Favino/Malgradi incontrare due escort, una efebica e minorenne e l'altra ben dotata, scena di nudo patinato: lavorano benissimo, si arrampicano sull'onorevole, fanno tutto quello che devono fare, servono la cocaina. Sequenza lunga, l'efebica muore per overdose. Altri guai che si accumulano per il politico. E poi la violenza, senza sconti. Si spara nei supermercati, muore gente che non c'entra nulla, si sgozza, si investe con la macchina. Certo, roba conosciuta, ma ben riproposta. Lo zingaro ultracattivo minaccia il sottomesso Sebastiano davanti alla gabbia di un cane assassino: "ti chiudo lì dentro se non fai quello che ti dico". Quella scena insistita, troppo, ti annuncia che sarà richiamata dopo e sarà utile per qualche funzionale contrappasso. Si arriva all'"apocalisse". Gli autori sono troppo scaltri per permettere che i cattivi la facciano franca, al pubblico si deve dare soddisfazione e catarsi, così ecco il castigo corale, terribile. Si uccidono l'un l'altro e il "sottomesso" riesce a chiudere lo zingaro nella tana del cane. Il contrappasso, appunto. L'ultimo ad essere punito è il supersamurai. A giustiziarlo è la "tossica" che vuole vendicare il numero 8, suo compagno ucciso: la droga non le impedisce di sparare come un "seals". Il politico non viene ucciso ma gli va malissimo, perde il posto in parlamento. Giustizia è fatta, ma tutta a combustione interna. "Roba nostra". Non vedi un poliziotto o un carabiniere, niente divise.

Da inguaribile passatista continuo a pensare che a una storia serva un eroe, magari disgraziato, un agente corrotto solo al novanta per cento, o un delinquente pentito al dieci per cento, e a credere che, seppure quasi invisibile, ci sia una linea di demarcazione fra buoni e cattivi. Una linea che non serve più, solo di cattivi trattasi. Di "morale" naturalmente non se ne parla, almeno che sia "adattata" a immagine e somiglianza dei modelli detti sopra. Il tutto raccontato molto bene dal regista Sollima, che ormai si è fatto le ossa. Impeccabili gli attori. Sì, ottima lezione di furbizia, biglietti assicurati.

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