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Psicanalisi di Hollywood

I percorsi mentali di Maps to the Stars.
di Roy Menarini

In foto Julianne Moore in una scena di Maps to the Stars.
Julianne Moore (Julie Anne Smith) (63 anni) 3 dicembre 1960, Fayetteville (Arkansas - USA) - Sagittario. Interpreta Havana Segrand nel film di David Cronenberg Maps to the Stars.

domenica 25 maggio 2014 - Approfondimenti

Ora che i suoi film sono così imprendibili e rarefatti, Cronenberg rischia di essere frainteso o peggio relegato alla nicchia cinefila, dopo aver scolpito l'immaginario degli anni Ottanta e Novanta. Eppure, è proprio in questi ultimi tempi che il regista canadese sta regolando i conti, in maniera geniale e imprevedibile, con le sue fonti di ispirazione. In particolare, la psicanalisi, l'economia e il cinema. Nel primo caso, l'aver affrontato direttamente i personaggi di Freud e Jung nel suo A Dangerous Method ha permesso di nascondere - sotto l'apparenza di un irreprensibile dramma in costume - tutti i nodi del suo fare cinema analitico. Cosmopolis ha invece affrontato per via metaforica, e lavorando sul testo omonimo di Don DeLillo, la crisi finanziaria e, più in generale, il rapporto tra capitalismo, violenza e corpo. Infine, con questo Maps to the Stars, compie l'incontro oramai meno differibile, quello con Hollywood.
Se è vero che prima o poi tutti i grandi cineasti fanno un film sul "fare film" (da Otto e mezzo a Effetto notte, per limitarci ai più noti), e se è vero che Hollywood ama fare film sulla sua stessa industria (da Il bruto e la bella a Gli ultimi fuochi), Cronenberg sembra semmai (a prima vista) ricollegarsi alle recenti disanime mortuarie del divismo e del sogno californiano divenuto orrore - pensiamo a Mulholland Drive di David Lynch, The Canyons di Paul Schrader, The Bling Ring di Sofia Coppola.
Eppure (e c'erano pochi dubbi a riguardo) Cronenberg vira in tutt'altra direzione. All'inconscio profondo di Lynch, all'autopsia erotica di Schrader, al lato oscuro del culto per le media celebrities della Coppola, sostituisce una sorta di gelida commedia famigliare, un delirante ma controllatissimo saggio sul contemporaneo, una lettura appunto psicanalitica di Hollywood. Aver girato gli interni in Ontario e i pochi esterni in America già è scelta "politica" di appartenenza e distanza al tempo stesso. Ma se è con l'immaginario hollywoodiano che Cronenberg ha formato la propria alterità (prima attraverso l'horror, poi costeggiando molti generi, fino alla commedia qui presente), il suo ingresso nella vera Tinseltown - primissima volta che il regista canadese gira sequenze in America - diventa, più che un bisturi, un'analisi in piena regola. I dialoghi dei protagonisti sono tutti su base "anale" e non è un caso che nel film il soggetto principale sembrino essere gli escrementi (citati ironicamente, venduti su Internet, o spudoratamente espressi in pubblico, come fa la protagonista Julianne Moore seduta sul water mentre dialoga con l'assistente). Le azioni sono distruttive. I rapporti tra i personaggi sono incestuosi, madre/figlia, fratello/sorella, ecc. La sostituzione identitaria viene esperita attraverso il cinema: la figlia deve interpretare la madre ma è troppo vecchia per farlo - un vero tocco di genio satirico di Cronenberg e di Bruce Wagner alla sceneggiatura. Le immagini ormai morte dell'epoca di un audiovisivo diffuso e confuso (dove sit com, spot, serie tv, commedie per famiglie e blockbuster abitano insieme le colline californiane) sono materia di interpretazione mentale, sono scene e sogni pronti per la terapia (se mai ci sarà).
Hollywood è un enorme sintomo, e i personaggi ne sono portatori talvolta inconsapevoli, spesso malevoli, sempre destinati alla sconfitta. Rispetto a un tempo, Cronenberg rinuncia a sangue e poetiche della "nuova carne". Attenzione però al ragazzino che a un certo punto dice di sua mamma: "Fa male, picchia forte, ma senza lasciare segni sul corpo". Un po' la poetica recente del regista canadese.
Maps to the Stars è un film spiazzante, destinato a sicuro insuccesso, ancor più ermetico di Cosmopolis, eppure è quello che ancora ci aspettiamo da un autore di "art-movies" (per usare una categoria americana) con tanto da dire sul cinema e su di noi.

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